La preparazione alla guerra non è solo un fatto militare: è soprattutto un fatto politico-ideologico. Come la storia insegna, il pacifismo e il neutralismo assai facilmente si trasformano in bellicismo e sciovinismo, ed è per questo che entrambe le posizioni vanno seguite attentamente, per poterne fare l’oggetto di una puntuale critica. Così come non va trascurato il significato politico dell’antiamericanismo, posizione politico-ideologica che non pochi sostenitori recluta all’estrema “sinistra” come all’estrema “destra” del nostro Paese.
Niente è più sbagliato, sul piano storico come su quello politico, che associare l’antiamericanismo all’antimperialismo, i quali esprimono due posizioni radicalmente diverse, anzi opposte. Infatti, chi vede negli Stati Uniti d’America il solo imperialismo esistente sulla faccia della Terra, o comunque quello di gran lunga più pericoloso e meritevole di particolari attenzioni, e che per questo sostiene le ragioni degli altri Paesi o poli imperialisti (Russia, Cina, Unione Europea) concorrenti, si lega mani e piedi al carro dell’imperialismo mondiale. Nell’epoca della Società Capitalistica Mondiale, chi sostiene uno schieramento imperialista, sostiene indirettamente l’imperialismo nel suo insieme, l’imperialismo in quanto sistema mondiale di dominio e di sfruttamento di risorse umane e naturali. L’antiamericanismo è dunque una delle forme politico-ideologiche che assume la guerra sistemica interimperialistica. Per questo la lotta contro la NATO va posta sui binari dell’antimperialismo (“a 360 gradi”) e dell’internazionalismo, per non portare acqua al mulino della concorrenza – e del nazionalismo tricolore!
Non è certo un caso se gli antiamericanisti più attempati delle opposte tifoserie politico-ideologiche ricordano ancora con la lacrimuccia agli occhi il “sussulto di dignità nazionale” che vide protagonista Bettino Craxi nella mitica Notte di Sigonella (1). Gli opposti che condividono lo stesso “terreno di classe” (quello capitalistico) non raramente si toccano. Da molti nostalgici dello stalinismo Putin è visto come l’erede più degno della tradizione “sovietica”; da molti nostalgici del nazifascismo Putin è visto come la figura politica che più si avvicina alle “virili e volitive” personalità di Hitler e Mussolini, e le due escrementizie nostalgie concordano nel considerare il dittatore russo come l’incarnazione del revanscismo antiamericano, l’uomo che può vendicare sciagurate sconfitte storiche (2). Di qui il paradossale – ma comprensibilissimo – cortocircuito estrema sinistra-estrema destra che osserviamo nel campo dei sostenitori del macellaio di Mosca – il copyright non è del Presidente americano: come ho scritto qualche giorno fa, «personalmente ne parlo in quei termini dai tempi della Seconda guerra cecena (1999-2009); giudizio confermato negli anni soprattutto dai massacri consumati dall’esercito russo ad Aleppo».
La narrazione del regime putiniano spinge su questo punto: «Noi non stiamo combattendo contro l’Ucraina (che peraltro non esiste come entità nazionale) ma contro i nazisti e la Nato». Applausi dalle opposte ma convergenti tifoserie che sventolano la Zeta.
A proposito di antiamericanismo! Nel campo dei nemici “storici” del noto Impero del Male si è registrata una significativa defezione. Alludo all’intervista che Paolo Flores D’Arcais, filosofo e direttore di MicroMega, ha rilasciato oggi al Corriere della Sera: «Mi sembra evidente che si può definire Resistenza quella che stanno facendo in Ucraina. C’è stata un’invasione. Che un pacifista assoluto come Tomaso Montanari, in controversia streaming con me sul sito di Micromega, ha definito “aggressione imperialista mostruosa”. Porre in dubbio il massacro di Bucha, realtà già acclarata, mi è sembrato incredibile. L’ho giudicata e la giudico un’oscenità ai valori della Resistenza. Significa oltraggiare la Resistenza. […] L’unico paese che sta mandando in parte armi adeguate sono, purtroppo, gli Stati Uniti d’America. Purtroppo perché sono passati esattamente sessant’anni da quando sono sceso in piazza per la prima volta contro un presidente americano. E da allora ne ho fatte decine e decine di manifestazioni. Ora però è diverso. Dopo ennesimi atti di imperialismo dei suoi predecessori Biden sta facendo la cosa giusta. E non capisco perché se una volta tanto un presidente americano fa la cosa giusta non ci si debba rallegrare». Evidentemente per il Nostro filosofo l’imperialismo è una categoria dello spirito, o della mera politica, e non un fatto strutturale e permanente della società capitalistica ormai da oltre un secolo, soprattutto nei Paesi capitalisticamente più sviluppati.
«Tanti mi chiedono: “Perché non dici o non disegni la tua sull’Ucraina?”. Ma io ho difficoltà a dare risposte tranchant e diffido di chi lo fa. Il fatto stesso che io mi debba barcamenare in questa cosa dà l’idea di quanto ci informiamo male. C’è chi crede di potersi fare un’opinione seguendo un influencer! Oppure chiedendo a me! Ma io non ho gli strumenti per fare un’analisi geopolitica, posso solo ripetere quello che ho letto. Ma ci si dovrebbe informare con la complessità, non con la semplificazione» (Zerocalcare, Sette – Il Corriere della Sera). Per quel che posso, anch’io cerco di dare un contributo alla comprensione del conflitto in Ucraina, cercando di coglierne la sostanza sociale, più che la dinamica geopolitica, perché solo chiarendo appunto la natura sociale (capitalistica, imperialista) del bagno di sangue possiamo sottrarci all’abbraccio mortale delle ragioni che fanno capo a tutte le parti in campo – e che personalmente respingo in blocco come ragioni ostili all’umanità, alla felicità, alla libertà degli individui. Alle ragioni degli Stati, delle Nazioni, delle Potenze e delle Patrie occorre opporre le ragioni di chi subisce in qualche modo le conseguenze di un mondo regolato, con assoluta necessità, dalla disumana logica del potere – economico e politico. Io credo che queste ragioni offese e negate possano trovare una loro precisa e potente espressione politica. Si tratta di una possibilità, beninteso.
Come ho scritto altrove, non si tratta di semplificare fatti complessi, ma di afferrare il bandolo che dà senso e direzione alla complessa trama degli interessi e degli eventi, passati e recenti. Non bisogna avere una grande preparazione geopolitica per maturare una coscienza radicalmente anticapitalista, alla luce della quale analizzare il conflitto sistemico (economico, tecnologico, scientifico, militare, geopolitico) sottostante ai conflitti armati. È dunque alla luce dell’anticapitalismo che invito chi legge ad approcciare, ad esempio, la storia della Russia da Stalin a Putin (spero nei prossimi giorni di scrivere qualcosa a tal proposito), la dinamica nei rapporti fra le grandi potenze negli ultimi 77 anni e il conflitto russo-ucraino dal 2014 ai nostri giorni. Porsi sul terreno dell’anticapitalismo significa respingere al mittente qualsiasi richiesta di schierarsi «dalla parte giusta della storia» (quella russa? quella ucraina? quella americana? quella europea? quella cinese?) che ci viene dalle classi dominanti.
Mentre l’esercito russo completa l’opera di annientamento della popolazione di Mariupol (e gli “esperti” nostrani si dividono su come classificare il massacro: crimine di guerra o genocidio?), il famigerato reggimento Azov (che per me sarebbe famigerato anche se “battesse” bandiera stalinista o “democratica”) si esibisce nella sparata propagandistica che segue: «Gloria all’Ucraina!Ieri ci siamo riuniti con i valorosi combattenti del battaglione dei Marines, veri soldati, fedeli al giuramento e al popolo dell’Ucraina. Questi uomini difendono e difenderanno la città di Mariupol insieme a noi. Questi sono uomini veri che hanno scelto la via della guerra. Non chiamate eroi quei disertori che si sono arresi. Hanno scelto la via della vergogna. Quelle persone non sono eroi» (Denis Prokopenko, colonnello del reggimento Azov).
Per chi scrive la diserzione rappresenta invece la sola via di fuga possibile ed onorevole che rimane a chi non vuole morire e non vuole uccidere. Magari si potesse trasformare la diserzione in una rivoluzione sociale! Sto forse dando una precisa indicazione politica alle classi subalterne ucraine e russe? Diciamo che non credo (ancora!) di essere né Napoleone né Lenin. Dall’Italia posso solo esprimere il mio sentimento di solidarietà politica e umana alla popolazione assediata e violentata dell’Ucraina e ai militari, russi e ucraini, che sono costretti a servire la Patria, ossia il Moloch assetato di profitti, di potere e di sangue.
Dice il Santissimo Padre: «Il mondo è in guerra! La Siria, lo Yemen… Dappertutto c’è guerra (3). Perché il mondo ha scelto, è duro dirlo, ma ha scelto lo schema di Caino. E la guerra è mettere in atto il “cainismo”, cioè uccidere il fratello». Mi permetto di correggere il Papa (nientedimeno!): il mondo ha “scelto”, ormai da qualche secolo, lo schema del Dominio – di classe. Ancora Francesco: «Dio stesso è la Pace!» Probabilmente Egli allude al Dio del Nuovo Testamento, non certo al Dio del Vecchio Testamento: «Quando il Signore ti avrà dato la città del nemico nelle tue mani, ne colpirai a fil di spada tutti i maschi; ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda; mangerai il bottino dei tuoi nemici» (Deuteronomio). Ma non voglio impelagarmi in dispute teologiche inaccessibili al mio debole intelletto. Volevo solo dire che a mio modestissimo avviso che il Capitale stesso è la guerra – quella che definisco sistemica, ossia la guerra di tutti contro tutti che non raramente assume l’orrenda forma del conflitto armato.
(1) «Era ancora un’Italia che non si era scrollata completamente di dosso la ferita dell’8 settembre ‘43 quella che si presentava armata nella notte del 10 ottobre 1985 sulla pista della base Nato di Sigonella. Ma i carabinieri al comando del generale Bisognero (padre dell’attuale ambasciatore italiano a Washington) che presidiavano il Boeing egiziano con a bordo i dirottatori dell’Achille Lauro non si sarebbero opposti con tanta fermezza alla Delta Force americana senza una catena di comando unitaria e una guida politica inflessibile, quella di Bettino Craxi, che li guidò in quelle difficili ore restituendo quell’onore perso in guerra quarant’anni prima davanti agli occhi del mondo» (G. Pelosi, Il Sole 24 Ore, 16 ottobre 2015).
(2) «In Germania i “sinistrorsi di destra” si trovavano soprattutto tra i giovani. Vedevano il loro nemico capitale nella Francia e, in forma meno accentuata, nell’Inghilterra; l’Occidente era corrotto, era l’antitesi della Germania e dello spirito tedesco. Per contro la Germania aveva molti lati in comune con l’unione sovietica e tra questi l’interesse a soffocare la Polonia. La Germania e la Russia erano i “popoli giovani”, i popoli cui apparteneva il futuro. I nazionalbolscevichi ammiravano Lenin e Stalin, uomini forti e decisi che avevano guidato il paese alla rinascita nazionale, in netta antitesi con le decadenti democrazie occidentali» (W. Laqueur, La Repubblica di Weimar, p. 137, Rizzoli, 1979). Mai fidarsi delle «decadenti democrazie occidentali»: tedeschi, italiani e giapponesi del secolo scorso ne sanno qualcosa… «La convinzione di Hitler che l’Occidente, avendo già capitolato una prima volta a monaco, si sarebbe mostrato arrendevole anche una seconda volta aveva trovato conferma in una notizia fornitagli dal servizio segreto, secondo la quale un generale inglese, che aveva studiato l’organizzazione e la forza dell’esercito polacco, era giunto alla conclusione che la resistenza dei polacchi non avrebbe potuto essere che breve. Hitler fu pronto ad agganciare a questa notizia la speranza che lo stato maggiore britannico avrebbe fatto di tutto per trattenere il suo governo dall’imbarcarsi in una nuova guerra compromessa in partenza. Il 1º settembre, quando le potenze occidentali si decisero a presentare alla Germania i loro ultimatum, Hitler , superato il primo momento di perplessità, si affrettò a consolare se stesso e noi, dicendo che evidentemente l’Inghilterra e la Francia avevano compiuto questo passo per pure ragioni di forma, cioè per non perdere la faccia di fronte al mondo, e che, nonostante le loro dichiarazioni di guerra, alla guerra combattuta non sarebbero arrivate. “Lor signori non hanno idea di come sono queste democrazie, desiderose di cavarsela senza combattere. La Polonia, credano a me, la pianteranno bellamente in asso”. Il Führer rimase fermo nella convinzione che l’occidente fosse troppo debole, marcio e decadente per intraprendere seriamente una guerra» (A. Speer, Memorie del Terzo Reich, Mondadori, 1997). Per chi ha in odio l’Occidente sulla base di pregiudizi tanto infondati quanto volgari, il mondo liberale è sempre prossimo alla fine, è costantemente sul punto di esalare l’ultimo respiro, l’ultimo rantolo, salvo poi verificarne la “resilienza” e pagare un prezzo assai salato per l’abbaglio preso.
(3) Secondo Il Sole 24 Ore, sono una sessantina i conflitti che oggi stanno insanguinando il mondo. «Tra il 2017 e il 2018 circa 193.000 persone sono morte in Africa, Asia e Medio Oriente, a causa di conflitti a fuocodi diversa natura. Questo il quadro raccontatoci dai dati dell’Armed Conflict Location & Event Data Project. Afghanistan, Siria, Iraq, Yemen e alcune regioni dell’Africa registrano un alto numero di vittime negli ultimi due anni. In particolare, le prime due sono praticamente appaiate con numeri decisamente superiori alle altre nazioni prese in esame. Entrambe contano oltre 71.000 decessi dovuti a conflitti armati, superando di diverse unità Iraq (36.891) e Yemen (33.353»). Senza contare il conflitto armato che Cina e Stati Uniti stanno apparecchiando intorno a Taiwan. «Il 13 aprile, Ma Xiaoguang, portavoce della Cina continentale, ha criticato l’autorità del Partito Democratico Progressista (DPP) di Taiwan per i suoi tentativi di trarre vantaggio dalla situazione ucraina e mascherare la questione di Taiwan come una questione internazionale» (Quotidiano del Popolo Online). Taiwan è un problema che deve riguardare solo il Celeste Imperialismo. Com’è noto, Washington e molti i suoi alleati del Pacifico non la pensano allo stesso modo.
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