MORDONO O NON MORDONO? IL PUNTO SULLE SANZIONI

Dopo più di cinque mesi dall’inizio della guerra di aggressione russa all’Ucraina è legittimo chiedersi se davvero le sanzioni adottate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea contro la Federazione Russa stanno danneggiando più chi le ha adottate che non chi le sta subendo, secondo la nota propaganda del Cremlino che circola molto, e con un discreto successo, soprattutto nel nostro Paese.  

Intanto va precisato, per inquadrare politicamente la questione, che le sanzioni economiche sono a tutti gli effetti delle misure belliche, e che il conflitto armato altro non è che la continuazione della guerra sistemica (economica, tecnologica, scientifica, ideologica, geopolitica) con mezzi militari: ciò non muta la natura sociale della contesa tra imprese, tra Stati, tra alleanze imperialistiche. Le nazioni in conflitto possono raggiungere certi obiettivi sparando missili oppure sparando sanzioni (ma anche sfollati e immigrati): l’importante è danneggiare materialmente, moralmente e psicologicamente il nemico, metterlo nelle condizioni di trattare una “pace” che sia a lui più sfavorevole. Quanto fondamentale sia la potenza economica nel confronto strategico tra le nazioni lo dimostra nel modo più chiaro il disastroso fallimento dell’Unione Sovietica, un gigante geopolitico dai piedi economici d’argilla.

Scrive Giovanni Cagnoli su Linkiesta: «La guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina non è una rivendicazione storica di territori appartenenti a Mosca o la reazione all’espansione della Nato. È banalmente il folle desiderio di Vladimir Putin e della sua cricca di nazionalisti di stabilire un nuovo ordine mondiale in cui la Russia giochi alla pari con l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare, e non in una condizione di subordinazione determinata dalla enorme distanza di mezzi economici e di prospettive di sviluppo». Parlare di «folle desiderio di Vladimir Putin e della sua cricca di nazionalisti» magari non sarà del tutto sbagliato, ma è certamente assai riduttivo perché la “folle” sfida del regime putiniano lanciata al precedente “ordine mondiale” (quello segnato dalla fine dell’Unione Sovietica, dal relativo declino degli Stati Uniti, dal consolidamento della Germania al cuore dell’Europa e dall’ascesa della Cina sulla scena mondiale) va al di là della volontà politica di un piccolo gruppo di persone, ma va piuttosto ricondotta alle ambizioni lungamente frustrate di un Paese che, come già segnalato, ha sempre avuto nell’economia il suo punto debole: dalla Russia degli Zar alla Federazione Russa di Putin, passando ovviamente per l’Unione Sovietica stalinista.

Ecco come Cagnoli dettaglia i termini del problema economico che corrode la Russia e che la spinge verso la catastrofe, al più tardi nel breve periodo (3/5 anni): «L’economia russa prima della guerra aveva un prodotto interno lordo di circa 1800 miliardi di dollari contro circa 25mila degli Stati Uniti e altrettanti 25mila dell’area europea, quindi il rapporto di forza relativa è di 1 a 30, circa. Non solo, l’economia russa è basata unicamente sull’esportazione di materie prime ed è enormemente arretrata tecnologicamente, con un divario che si andrà allargando in modo fortissimo in conseguenza delle sanzioni. La Russia, anche dedicando un folle 10 per cento del Pil alla spesa militare per definizione improduttiva, arriverà con la contrazione dell’economia a circa 150 miliardi di dollari, cioè un decimo della spesa annua del nemico occidentale. Un disastro biblico, una povertà da Corea del Nord, una società in cui tutti quelli che potranno scapperanno come già iniziano a fare per sfuggire alla repressione ideologica, alla povertà e all’assoluta mancanza di prospettive di crescita personale. La Russia già oggi ha la natalità più bassa del mondo. La situazione demografica assumerà contorni mai visti nella storia dell’umanità anche e nonostante l’atroce inumana deportazione dei bambini ucraini». Per evitare la “fuga dei cervelli” Mosca ha pensato bene di rendere difficile soprattutto i viaggi all’estero degli ebrei russi, cosa che sta molto irritando Israele, Paese che nei cinque mesi passati ha cercato di mantenere un profilo basso con la Russia, la quale com’è noto ha molta influenza sui nemici mediorientali di Israele.

Si è tanto dibattuto nei mesi scorsi in Italia intorno a un (falso) paradosso: le sanzioni applicate alla Russia dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti colpirebbero più il fronte occidentale che quello russo: il Pil della Russia è infatti calato “solo” del 10 per cento mentre il rublo si è addirittura rafforzato, dopo l’iniziale crollo del 30% a inizio “Operazione militare speciale”. In un anno il rublo ha guadagnato oltre il 40 per cento sul dollaro americano – eppure nessuno nel capitalistico mondo scambierebbe dollari con rubli. Ma si tratta appunto di un falso paradosso, facilmente comprensibile alla luce di una conoscenza anche solo approssimativa dei meccanismi macroeconomici.

La Russia esporta quasi esclusivamente materie prime, cosa che le fa incassare valuta pregiata, con la quale essa acquista dall’estero tutto ciò che le serve sulla base della sua attuale struttura economico-sociale. Se la Russia non può acquistare dai Paesi occidentali merci e servizi, mentre vi esporta materie prime (oggi quasi esclusivamente gas e petrolio), ecco che la sua bilancia commerciale registra un surplus, che si esprime appunto nel rafforzamento del rublo, divisa che sul mercato mondiale non vale un granché, diciamo. Le misure restrittive adottate a marzo dalla Banca centrale della Federazione russa (raddoppio dei tassi d’interesse, severi controlli sui capitali, ecc.) e dal Cremlino (ad esempio, obbligo per le società che operano in Russia di scambiare la maggior parte delle loro entrate in valuta estera con rubli, creando una domanda artificiale per la valuta russa) hanno in effetti salvato la divisa nazionale dall’imminente catastrofe, ma già dopo solo alcuni mesi esse hanno mostrato tutti i loro limiti. Secondo i dati forniti a fine giugno dal ministro delle Finanze Anton Siluanov, il rafforzamento del corso della valuta di 1 rublo costa al bilancio russo, secondo diverse valutazioni, dai 130 ai 200 miliardi di rubli.

Ma è sulla cosiddetta economia reale che le sanzioni occidentali stanno avendo un impatto davvero considerevole, al punto che il regime putiniano è costretto a vendere merce molto avariata in termini di informazione sulle condizioni dell’economia russa – anche qui la continuità con il passato “sovietico” è evidente.

«Secondo gli esperti di Yale Sonnenfeld e Tian, il Cremlino non solo ha imboscato bilanci e statistiche, ma ha anche eliminato dalle stesse l’impatto delle sanzioni occidentali. Le quali stanno effettivamente disintegrando l’economia dell’ex Urss. […] Per esempio il fatto che a Mosca, sistematicamente, il governo russo ha progressivamente trattenuto la diffusione di un numero crescente di statistiche chiave che, prima della guerra, venivano aggiornate mensilmente, inclusi tutti i dati sul commercio estero. Tra questi ci sono le statistiche relative alle esportazioni e alle importazioni, in particolare con l’Europa, dati sulla produzione mensile di petrolio e gas, quantità di merci esportate, afflussi e deflussi di capitali, bilanci delle grandi società, che prima venivano rilasciati su base obbligatoria dalle stesse società, dati di base monetaria della banca centrale. Anche Rosaviatsiya, l’agenzia federale per il trasporto aereo, ha interrotto bruscamente la pubblicazione di dati sui volumi di passeggeri di compagnie aeree e aeroporti. Dal momento che il Cremlino ha smesso di rilasciare numeri aggiornati, limitando la disponibilità di dati economici a cui i ricercatori possono attingere, molte previsioni economiche hanno tenuto fuori dai calcoli la portata e l’impatto delle sanzioni» (Formiche.net).

«Che la Russia vada incontro a tempi turbolenti è quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Istituto ufficiale di statistica Rosstat. Uno dei settori più connessi all’economia globale, quello automobilistico, è vicino alla paralisi. Due fabbriche su 20 rimaste aperte, con un crollo del 97% nel numero di vetture prodotte (appena 3.700 vetture prodotte nel mese di maggio, contro le più di 108mila in febbraio). Le vendite della mitica Lada sono crollate dell’84%, i camion usciti dalle catene di montaggio sono diminuiti del 40%, del 60% i frigoriferi, le lavatrici, le locomotive. Si tratta finalmente di dati ufficiali, non voci sfuggite a qualche blogger dissidente, e quindi probabilmente nascondono una realtà a tinte ancor più fosche. A causa dell’inflazione in salita del 14%, di salari reali e pensioni erosi del 7% in un anno, il russo medio può permettersi di spendere sempre meno. Così la Russia importa sempre meno dall’estero: l’import è calato del 9% dalla Cina, del 60% da Taiwan, Corea del Sud e Giappone, del  30% dalla Turchia. Secondo il rapporto di Rosstat, il Pil di maggio andrà giù del 4,3%. Le previsioni per la fine dell’anno molto peggio: dal -7,8% della banca centrale russa al -15% dell’Institute of International Finance. […] Gazprom ha annunciato che non distribuirà dividendi per il 2021, e il colosso del gas ha perso il 30% del suo valore. Il futuro di Gazprom è incerto. Non può sopravvivere nella forma attuale senza il mercato redditizio dell’Ue. Sono in gioco affari lucrosi per i subappaltatori amici di Putin e l’energia sovvenzionata per la popolazione. Uno dei dati più preoccupanti emersi dal rapporto di Rosstat è quello demografico: per la prima volta dopo molti anni il bilancio migratorio è negativo, e unito alla strage provocata dal Covid nei due anni precedenti la Russia si ritrova ad aver perso quasi un milione di abitanti negli ultimi 12 mesi: un record dalla fine dell’Urss. Una docente di geografia economica dell’Università statale di Mosca, Natalya Zubarevich, è molto più drastica: una volta che finiranno le scorte, già nei prossimi mesi, le sanzioni paralizzeranno l’economia reale» (Wired.it). 

L’impoverimento del Paese è già sotto gli occhi di tutti, e a chi domanda (esibendo solo per questo un invidiabile coraggio!) «ce la faremo?», Putin continua a ripetere che «la sofferenza del presente sarà ripagata da un ritrovato ruolo storico della Russia nel mondo». Per adesso il Presidente russo ha dunque da offrire alla popolazione solo dosi massicce di orgoglio nazionale in salsa revanscista, confidando nella “resilienza” dei russi, molti dei quali sono abituati ai sacrifici imposti dal Cremlino (nelle sue diverse incarnazioni politico-ideologiche) e a un’esistenza molto modesta. Ma, com’è noto, non si vive di solo orgoglio nazionale (come ben sa il Celeste Imperialismo Cinese): anche il pane vuole la sua parte e lo stomaco reclama i suoi diritti! Sia chiaro: questo discorso vale anche per i Paesi occidentali, a cominciare dall’Italia, e non a caso Maurizio Landini, il leader del maggiore sindacato collaborazionista del Paese, denuncia il rischio di un devastante conflitto sociale già a fine estate. «Sono preoccupato per una crisi sociale pesantissima, sono preoccupato di quello che può succedere in autunno. Ora serve un governo nel pieno delle sue funzioni»: e io che pensavo servisse la lotta dei lavoratori e dei disoccupati contro il Capitale e il suo Stato!

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7 pensieri su “MORDONO O NON MORDONO? IL PUNTO SULLE SANZIONI

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  2. Da Le Monde:

    «Nel torpore estivo, una piccola musica si è insidiata nel dibattito pubblico. Le sanzioni occidentali contro la Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina sono state considerate un fallimento. L’embargo non solo non funzionerebbe, ma si ritorcerebbe contro gli interessi dei suoi promotori. Peggio ancora, l’economia russa mostrerebbe una capacità di recupero insospettata.Per un certo periodo questo discorso è stato confinato all’estrema destra e alle frange di un populismo miope, ma sta guadagnando influenza in un momento in cui i danni causati dall’inflazione e dalla crisi energetica cominciano a farsi sentire nell’Unione Europea (UE). È in gran parte alimentata dall’inaffidabilità delle statistiche disponibili, da quando il Cremlino ha smesso di pubblicare cifre aggiornate e verificabili a favore di dati errati e in gran parte manipolati.
    Affermare che le sanzioni sono inefficaci non è soltanto falso. Significa soprattutto dare credito alla narrazione distillata dalla propaganda russa, che ha un solo obiettivo: rompere l’unità dell’Occidente nel tentativo di allentare la morsa che minaccia di asfissiare la sua economia. L’uso dell’arma del gas negli ultimi giorni per far sprofondare le democrazie europee nell’incertezza e nella paura della penuria non ha altro scopo. L’obiettivo è fermare una discesa agli inferi che, senza un ipotetico ripensamento da parte dei leader occidentali, sembra inevitabile.
    Di fatto, la Russia si è trasformata in un villaggio “Potemkin”: dietro una facciata che dà l’illusione di resilienza, le crepe stanno già minacciando le fondamenta. La tesi della tenuta dell’economia russa si basa sul fatto che il Paese ha un surplus commerciale record, mentre il rublo sta mostrando una forza inaspettata. Ma la ragione per cui entrambi gli indicatori stanno facendo bene è quella sbagliata. La bilancia commerciale estera porta i segni del crollo delle importazioni. Per quanto riguarda il mito della moneta forte, la situazione è ingannevole perché si spiega essenzialmente con i massicci interventi della banca centrale russa a sostegno del rublo e con i drastici controlli sui cambi.
    I consumi sono diminuiti del 10% e, a causa della mancanza di componenti e di sbocchi, la produzione industriale è scesa del 7%. Nel settore automobilistico, il calo ha raggiunto il 90%. Per evitare di scendere a zero, il governo è stato costretto ad allentare gli standard di sicurezza consentendo l’uso di veicoli senza airbag e freni ABS.
    Più di 1.200 aziende straniere hanno lasciato la Russia, pari al 40% del PIL, spazzando via quasi tre decenni di investimenti stranieri, secondo un recente studio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Yale, che parlano di un’economia russa paralizzata. Anche il divieto di importazione di componenti industriali sta agendo come un lento veleno. La flotta aerea commerciale russa non è ancora a terra, ma le compagnie sono costrette a smantellare alcuni aerei per mantenerne altri.
    Più problematica per l'”operazione speciale”, il nome ufficiale della guerra con l’Ucraina, è la mancanza di componenti elettronici, essenziali per la fabbricazione di missili e carri armati di ultima generazione. Nonostante l’uso di canali di contrabbando il potenziale militare della Russia si sta riducendo perché non è tecnologicamente autonomo.
    Rimangono gli idrocarburi. Sebbene il gas russo sia al centro dei dibattiti in Europa, rappresenta solo un terzo delle entrate petrolifere del Paese. L’oro nero è quindi una questione cruciale per lo sforzo bellico. Finora i proventi del petrolio hanno continuato a riempire le casse dello Stato. Le sanzioni, annunciate a maggio, hanno fatto aumentare i prezzi mondiali, ma non saranno pienamente applicate fino a dicembre. Nel frattempo, gli europei hanno continuato ad acquistare il più costoso petrolio russo in mancanza di un’alternativa, dando l’illusione che l’embargo non abbia alcun effetto. Anche se la Cina e l’India subentreranno parzialmente acquistando petrolio a basso costo dalla Russia, il crollo della domanda occidentale a partire dal 2023 sarà un momento chiave nell’equilibrio di potere con la Russia.
    “Gli effetti delle sanzioni sono graduali e cumulativi”, afferma Agathe Demarais, direttore delle previsioni globali dell’Economist Intelligence Unit. È una maratona che richiede pazienza. La pazienza degli europei è messa a dura prova dal razionamento dell’energia e dalla recessione. Devono convincersi che il tempo è dalla loro parte per le democrazie. Rinunciare al nostro comfort energetico e al nostro potere d’acquisto ha un costo, ma difendere i nostri valori e la nostra sovranità non ha prezzo».

    Inutile qui ricordare il disprezzo di chi scrive per i valori e la sovranità del Capitalismo/Imperialismo Unitario.

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