Scrive Mattia Ferraresi: «”Viviamo tutti nel mondo di Putin”, ha scritto il politologo Ivan Krastev all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Dopo tanto strologare e sentenziare sul fatto che l’autocrate russo vivesse in un “altro mondo” (Angela Merkel), abitasse “sul lato sbagliato della storia” (Barack Obama) e fosse intrappolato “nel Diciannovesimo secolo” (John Kerry), in un attimo fatale e tremendo tutto il mondo si è reso conto che Putin non era segregato in una realtà parallela, non era la scoria di un mondo obsolescente in attesa di essere smaltita. Il suo mondo, fatto di rapporti di forza, istinti etnonazionalisti, apocalissi identitarie, mire espansionistiche e pretese violente, è anche il nostro mondo». Personalmente non ho mai avuto dubbi: il mondo di Putin è anche il nostro mondo. Si tratta piuttosto di caratterizzare sul piano storico-sociale il comune mondo che ci ospita: si tratta del mondo dominato in termini sempre più stringenti, invasivi e totalitari dai rapporti sociali capitalistici. In questo peculiare senso il mondo di Putin (e di Xi Jinping) è il nostro mondo.
Ferraresi ovviamente riflette sul mondo che il cosiddetto Occidente condivide con Putin (e con Xi Jinping) da una prospettiva radicalmente diversa dalla mia, e infatti egli lamenta il fatto che «La guerra portata dalla Russia su vasta scala, erede di molti altri conflitti sanguinosi ma ignorati o sottovalutati perché percepiti come accettabili scosse di assestamento regionali in vista della formazione di un nuovo assetto globale, ha squarciato il velo delle illusioni sull’inevitabilità dell’affermazione del modello liberale dopo il collasso dell’alternativa sovietica». Qui è l’esponente dell’Occidente democratico e liberale che si lecca le ferite; l’esponente di un mondo che pensava di aver vinto una volta per sempre la partita dell’egemonia totale (economica, scientifica, tecnologica, ideologica) planetaria, secondo la nota sentenza scritta da Francis Fukuyama, e che invece si ritrova a confrontarsi a muso duro con autoritarismi e con “democrature” che si fanno strada nel cuore stesso del Vecchio Continente. Per non parlare della “sconvolgente” esperienza trumpiana! L’Occidente ha stravinto la Guerra Fredda ma oggi rischia di sperimentare una Guerra Calda dagli esiti tutt’altro che scontati, e comunque esso per la prima volta sembra poter perdere la guerra politico-culturale con i regimi antidemocratici e illiberali.
«La guerra in Ucraina ha aperto sotto i nostri occhi un nuovo, sconvolgente capitolo dell’orrore, ma non è la storia del mondo di ieri che ritorna contro ogni aspettativa e previsione. È la storia di un mondo che non se n’è mai andato». Esatto! Si tratta del capitalistico mondo cui accennavo sopra. La continuità storica va estesa all’Unione Sovietica, la cui natura capitalista/imperialista mi è stata chiara già alla fine degli anni Settanta – ho avuto la fortuna di conoscere l’antistalinismo di matrice comunista quando ho cominciato a interessarmi “seriamente” di politica.
Ciò che chiamiamo “democrazia” è una delle forme politico-istituzionali che può assumere il dominio sociale capitalistico nelle diverse contingenze storiche e nei diversi Paesi. Per questo non ha alcun senso, ad esempio (e sempre ragionando dalla prospettiva anticapitalista), contrapporre il regime democratico-parlamentare al regime autoritario/totalitario, in quanto entrambi i regimi hanno un identico fondamento sociale: si tratta della dittatura esercitata dai rapporti sociali capitalistici sull’intera società. Oggi questa dittatura sociale è mille volte più forte ed estesa (non solo sul piano geosociale, ma anche su quello “biopolitico”) di quella analizzata, studiata a condannata nel modo più radicale da Marx e da Engels: il Moloch capitalistico del XXI secolo fa letteralmente impallidire la società borghese criticata a suo tempo dai due comunisti tedeschi. Per l’anticapitalista dei nostri disgraziatissimi tempi è oltremodo facile afferrare con il pensiero e con le mani (la «forma merce» è ovunque!) la realtà della dittatura sociale che informa la prassi collettiva e la vita di ogni singolo individuo qualunque sia la forma politico-istituzionale che questa dittatura assume nei diversi Paesi del mondo.
«Abbiamo bisogno di una rivoluzione che non passerà dalle urne», scrive sempre sul Domani Raffaele Alberto Ventura: sottoscrivo! D’altra parte l’ho sempre pensata così, anche quando in Italia la democrazia capitalistica godeva di una discreta fiducia, anche tra le classi subalterne, in non piccola parte irretite dallo stalinismo (vedi il PCI) e dall’ideologia progressista comunque “declinata”. Come lo scrittore citato, anch’io penso che oggi (e probabilmente domani) non vi siano «le condizioni per qualche sollevazione», per una rivoluzione sociale; ma non per questo posso condividere la sua idea di «infondere legittimità nelle nostre istituzioni esangui»: nel mio piccolissimo infatti lavoro in senso opposto, senza peraltro coltivare nessuna ideologica illusione – e soprattutto cercando di non fomentarla nella testa degli altri.
E con questo credo di aver detto la mia anche sulla prossima campagna elettorale – che si annuncia oltremodo repellente.
Tutto vero compagno. Diagnosi esatta,scientifica. Dunque, che fare? Quel frutto che si tocca con mano, la rivoluzione, non ci cadera’ in grembo per il determinismo delle leggi sociali. La forza di gravità esiste solo quando lo sappiamo. Allo stesso modo, è la coscienza rivoluzionaria del proletariato che fa la rivoluzione. Lenin mi sembra che sia stato chiaro: senza partito, che incarna la teoria rivoluzionaria, non c’è nessun movimento rivoluzionario. Non abbiamo bisogno di oracoli, ma di militanti. Tu che fai Saluti?Saluti rossi.
Per adesso ti ringrazio molto e ricambio i saluti. Ciao!
Ciao compagno. Su Facebook ci sono. La pagina personale. La pagina del PCL Novara. La pagina della RSA SI COBAS SUNEDISON. Tu come sei presente? A presto.
Attualmente non sono presente su F. Una buona giornata!
Ciao Sebastiano, seguo sempre i tuoi commenti con grande interesse. Come mai non posti più su facebook? Ti hanno bloccato? Saluti
Ti ringrazio. Nessun blocco, anzi Facebook mi invita continuamente a postare: «I tuoi amici attendono tue notizie». Si vede che l’algoritmo di F. non teme i miei post “rivoluzionari”: che peccato! Ciao!
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