CONTRO LA LOGICA DEL SACRIFICIO E DELLA PAZIENZA

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Perché ricordo quei lontani giorni? Perché molti
aspetti oggi ricordano quei tempi passati. Non
voglio dire che siamo di nuovo sulla strada per
la guerra mondiale. Tuttavia provo una profonda
ansietà per le conseguenze sociali e politiche
mondiali se noi scivoliamo ancora una volta
nel protezionismo e in una rottura dell’economia
mondiale in blocchi commerciali.
(Takeo Fukuda, 1977).

Ricordo a me stesso che è in corso in Europa una guerra imperialista che si combatte su tutti i fronti: da quello militare a quello economico, da quello politico a quello ideologico, da quello tecnologico a quello dell’Intelligence. E come sempre accade nelle guerre, sono in primo luogo le classi subalterne a farne le spese, come carne da cannone (per adesso solo in Russia e in Ucraina), come sfruttati e come “consumatori”.

Ieri il Presidente Macron ha dichiarato che il governo francese punta sulla «sobrietà volontaria» dei cittadini francesi per affrontare la “crisi energetica” che ci aspetta nel prossimo inverno; ma ha aggiunto che se la «sobrietà volontaria» non dovesse bastare, Parigi è pronta a varare misure coercitive all’altezza della situazione. Persuasione e minaccia, carota e bastone, come sempre.

Sul Fatto Quotidiano dell’altro ieri Donatella di Cesare prendeva di mira «l’ideologia del sacrificio» e la «necropolitica, cioè una politica che richiede la morte dei propri cittadini»: come non essere d’accordo.  Personalmente ho lottato contro la logica dei sacrifici fin dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando a propagandarla erano anche (se non soprattutto) il PCI di Berlinguer e la CGIL di Lama. Anche allora si parlava di «inflazione importata» (dovuta alla “perfida avidità” dei Paesi produttori di petrolio) e di «politica dei sacrifici» (la famigerata Austerity).

Sono sempre stato contro quella logica per principio, né ci si potrebbe aspettare altro da una persona che, come chi scrive, si dichiara radicalmente anticapitalista. Stesso discorso deve farsi ovviamene per la «necropolitica», senza mancare di aggiungere che è la stessa natura di questa società a essere mortifera. «Una potente esplosione è stata sentita dopo le 12 nella città di Energodar, nella regione di Zaporizhzhia, dove si trova la centrale nucleare più grande d’Europa. Al momento la città è senza elettricità» (Ansa, 6/9/2022). Della serie: come volevasi dimostrare. E cosa fa la popolazione europea? Attende notizie dal fronte “col fiato sospeso”!

Prendo invece le distanze, per così dire, là dove l’intellettuale complessista se la prende con «Una politica incapace di svolgere il proprio ruolo, di mediare per risolvere il conflitto», e che «lascia il posto alle armi, abdica alla violenza, chiede il sacrificio di vittime, sia militari che civili». Qui naturalmente si misura l’abissale distanza che passa tra una concezione borghese del mondo, anche quando veste i panni della critica del “mainstream” e del “sistema”, e una posizione, appunto, anticapitalista. Il concetto di conflitto – anche militare – come continuazione della politica con altri mezzi deve risultare incomprensibile a chi non è in grado di cogliere la natura necessariamente violenta e disumana della società capitalistica considerata nella sua doppia – ma sempre “dialetticamente” unitaria – dimensione: nazionale e sovranazionale.

A suo tempo Marx scoprì che la violenza risiede in primo luogo nei rapporti economici, i quali in epoca capitalistica hanno necessariamente una natura imperialista – cioè espansiva, aggressiva, depredatoria, conflittuale. Solo l’azione su larga scala del proletariato può quantomeno attenuare la violenza economica del capitalismo. Oggi quest’ azione dovrebbe avere “naturalmente” una dimensione internazionale. Dovrebbe, appunto.

Soprattutto dagli anni Settanta del secolo scorso lo scontro per l’energia rappresenta un nodo fondamentale nei rapporti interimperialistici, attorno al quale si aggrovigliano in modo inestricabile rapporti economici (monetari, finanziari, commerciali) e relazioni geopolitiche. In un’intervista al Time dell’11 giugno 1979, l’allora Cancelliere tedesco Helmut Schmidt dichiarò che «La scarsità di petrolio e i prezzi crescenti del greggio che sono una minaccia per le nostre economie, possono portare a delle guerre». Il nodo energetico rappresentò un momento centrale nella ristrutturazione del capitalismo mondiale allora in corso, dal quale uscirono vincenti soprattutto la Germania e il Giappone – con relativo indebolimento del bipolarismo Russo-Americano uscito fuori dal Secondo macello mondiale. Mutatis mutandis, assistiamo ad un analogo processo sociale di dimensione planetaria e “multifattoriale”.

Ma riprendiamo la riflessione della Nostra intellettuale: «In questa campagna elettorale il tema, a parte rare eccezioni, viene passato sotto silenzio non solo per l’imbarazzo degli schieramenti, dettato da ragioni opportunistiche diverse, ma soprattutto perché si vuole far passare per ovvio e scontato l’evento bellico. Il che, peraltro, è avvenuto sin dall’inizio. L’attenzione è tutta concentrata sul modo in cui pagare, o meglio, far pagare i costi della guerra. Non si parla invece del modo in cui fermare la guerra. Si dirige lo sguardo sugli effetti, quasi che fossero appunto ineluttabili, e lo si distoglie dalla causa. Il silenzio dei partiti, dunque, non è innocente».

Ma il ruolo della politica (di “destra” come di “sinistra”) è quello di servire al meglio gli interessi del Paese (cioè delle classi dominanti e del loro Stato), e questo in stretta connessione con la collocazione geopolitica di esso: se non si ha ben chiara questa elementare realtà, ogni discorso pacifista e “complessista” appare ingenuo e impotente.

«Sarebbe da sonnambuli non vedere il peggio che viene»: si tratta però in primo luogo di capire la natura del peggio che ci aspetta, perché solo conoscendo la causa del Male se ne possono estirpare le radici.

Scriveva ieri Le Monde: «Nel torpore estivo, una piccola musica si è insidiata nel dibattito pubblico. Le sanzioni occidentali contro la Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina sono state considerate un fallimento. L’embargo non solo non funzionerebbe, ma si ritorcerebbe contro gli interessi dei suoi promotori. Peggio ancora, l’economia russa mostrerebbe una capacità di recupero insospettata. Per un certo periodo questo discorso è stato confinato all’estrema destra e alle frange di un populismo miope, ma sta guadagnando influenza in un momento in cui i danni causati dall’inflazione e dalla crisi energetica cominciano a farsi sentire nell’Unione Europea (UE). Affermare che le sanzioni sono inefficaci non è soltanto falso. Significa soprattutto dare credito alla narrazione distillata dalla propaganda russa, che ha un solo obiettivo: rompere l’unità dell’Occidente nel tentativo di allentare la morsa che minaccia di asfissiare la sua economia. […] “Gli effetti delle sanzioni sono graduali e cumulativi”, afferma Agathe Demarais, direttore delle previsioni globali dell’Economist Intelligence Unit. È una maratona che richiede pazienza. La pazienza degli europei è messa a dura prova dal razionamento dell’energia e dalla recessione. Devono convincersi che il tempo è dalla loro parte per le democrazie. Rinunciare al nostro [sic!] comfort energetico e al nostro potere d’acquisto ha un costo, ma difendere i nostri valori e la nostra sovranità non ha prezzo». Dopo i sacrifici che ci sono stati imposti per vincere la “guerra pandemica”, ecco che il Leviatano ci chiede altri sacrifici per vincere la “guerra del gas”. Di guerra in guerra, di sacrifici in sacrifici, stato di emergenza dopo stato di emergenza: che tempi calamitosi!

Inutile qui ribadire il disprezzo di chi scrive per i valori della democrazia capitalistica e per la sovranità del Capitalismo/Imperialismo qualunque sia la sua configurazione politico-istituzionale. Il tempo in assenza di lotta non è mai stato dalla parte delle classi subalterne: basta essere pazienti!

In sintesi: Contro la guerra imperialista e per la guerra di classe! Contro l’Imperialismo Unitario! Contro la logica dei sacrifici e della pazienza! Per i proletari non c’è onore nei sacrifici.

 

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5 pensieri su “CONTRO LA LOGICA DEL SACRIFICIO E DELLA PAZIENZA

  1. GUERRA TOTALE

    Da Le Monde:

    «Questa volta le cose sono chiare: annunciando l’interruzione delle forniture di gas all’Unione Europea attraverso il gasdotto Nord Stream 1, Mosca ha riconosciuto, per la prima volta in modo così esplicito, che sta usando il gas come arma politica – dopo aver usato vari pretesti tecnici per rallentare o interrompere il flusso di idrocarburi dall’inizio della crisi.L’obiettivo strategico a medio termine della leadership russa è dimostrare all’Europa che senza l’energia russa non sarà in grado di garantire i propri approvvigionamenti, proteggere i propri consumatori dall’aumento dei prezzi e tanto meno realizzare le proprie ambizioni climatiche. Una strategia di destabilizzazione sul fronte economico che sostiene lo sforzo bellico russo sul terreno e mira a limitare il sostegno militare occidentale alle forze ucraine. Questa visione è ampiamente riportata dalla stampa russa filo-Cremlino, che da diversi giorni si rallegra delle difficoltà dell’Europa. “È in arrivo [in Europa] un’enorme crisi economica con sconvolgimenti sociali. Cercando di danneggiarci con le sanzioni, si è messa in trappola da sola”, ha scritto il quotidiano Komsomolskaya Pravda alla fine di agosto.

    Il Cremlino si guarda bene dal dire cosa fare di questo gas, che non sarà venduto agli europei: viene bruciato su larga scala, un disastro ambientale ed economico. Mosca non ha una capacità di stoccaggio sufficiente e non può reindirizzare verso altre destinazioni i gasdotti che storicamente sono stati diretti in Europa. La posizione dura della Russia nei confronti dell’UE arriva paradossalmente in un momento in cui i responsabili politici russi stanno comprendendo la portata della crisi economica interna. Un rapporto interno riservato preparato per il governo russo e pubblicato lunedì da Bloomberg prevede un rapido deterioramento dell’economia del Paese. Due dei tre scenari del rapporto prevedono un’accelerazione della contrazione nel 2023, con un ritorno dell’economia ai livelli prebellici nel 2030, nel migliore dei casi».

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