IL PUNTO SULLA GUERRA IN UCRAINA – A UN PASSO DALLA RUSSIA

«La Russia sta affrontando un’aggressione finanziaria e tecnologica attraverso le sanzioni occidentali, ma il blitzkrieg economico contro di essa non ha avuto successo. Il comportamento dei Paesi occidentali nei confronti della Russia è stato imprevedibile, impulsivo e non professionale. Per questo noi dobbiamo lavorare in base alla nostra logica e mantenere l’iniziativa» (Interfax). È Ciò che ha detto oggi il Presidente Vladimir Putin nel corso di una riunione del governo dedicata alla situazione economica del Paese. Il riferimento al «blitzkrieg economico» fallito non può non farci pensare al fallito blitzkrieg militare della Russia, la quale pensava di prendere Kiev nel giro di qualche giorno, al più di qualche settimana, magari con l’aiuto di un golpe militare guidato dai generali ucraini che si sono formati a Mosca. L’Occidente, sostiene oggi Putin ribaltando lo schema militare e sforzandosi di essere convincente, soprattutto con i suoi interlocutori interni sempre più insoddisfatti dell’andamento della guerra in Ucraina, credeva di poterci spezzare la schiena attraverso le sanzioni in poco tempo, mentre la nostra economia continua a reggere bene secondo tutti i più importanti indicatori. «Non siamo isolati, e facciamo affari con mezzo mondo». Ma la sempre più critica situazione dell’economia russa è una verità ben presente soprattutto alla leadership moscovita, che infatti ne parla segretamente – si fa per dire! – ormai da parecchie settimane.    

«Mentre le armi sparano in Ucraina, il mondo occidentale ha steso un cordone economico-finanziario attorno alla Federazione Russa, separandola dai mercati finanziari mondiali e paralizzando quasi tutto il suo sistema economico. Non si è mai assistito nel secolo scorso e in quello attuale alla riduzione di un paese grande come la Russia allo stato di paria economico. La dirigenza russa aveva molto probabilmente immaginato che l’invasione dell’Ucraina avrebbe comportato sanzioni da parte dell’Occidente, ma non aveva previsto che quasi tutto il mondo vi avrebbe aderito, sperando soprattutto in una divisione fra i paesi europei e gli Stati Uniti. La fortezza russa, costruita con politiche economiche poco espansive, non è riuscita a resistere nemmeno un giorno alla forza delle sanzioni economiche» (Limes).

Diciamo, forse più correttamente, che le sanzioni economiche occidentali hanno impattato su un’economia già strutturalmente debole e arretrata, mostrando fin da subito la loro efficacia come strumento adeguato al conflitto bellico in corso. Il sostegno finanziario e militare statunitense all’Ucraina sta naturalmente facendo la differenza, anche se proprio da Washington giungono consigli alla cautela, anche perché gli americani temono che il regime putiniano possa reagire alla forte controffensiva ucraina giocando il tutto per tutto. «Per favore, non vendete la pelle dell’orso prima di averlo ucciso». Scrive Orietta Moscatelli su Limes: «La débâcle dell’esercito russo sul fronte nordorientale dell’Ucraina ha scatenato a Mosca l’ira del cosiddetto “partito della vera guerra”, ultranazionalisti e falchi di vario genere che chiedono a Vladimir Putin di “cominciare a fare sul serio”. Non che prima fossero tranquilli, ora però vedono la possibilità di raggiungere l’obiettivo: mobilitazione generale, promozione dell’Operazione militare speciale a guerra patriottica e dell’arma nucleare tattica da strumento di propaganda a voce nell’arsenale a disposizione». Come potrebbe reagire il fronte interno alla chiamata “patriottica” del regime (anche alla luce dell’enorme numero di soldati russi morti nell’opera di “denazificazione” dell’Ucraina: si parla di circa sessantamila morti)?

Pare che Mosca confidi soprattutto nel mitico Generale Inverno per raffreddare i bollori bellici degli ucraini. Intanto «gli ucraini avanzano fino al confine russo» (La Repubblica).

Mentre in queste ore i fasciostalinisti italiani che sostengono le ragioni dell’imperialismo russo stanno vivendo momenti di “viva preoccupazione” per gli esisti della “campagna di denazificazione” e di “de-occidentalizzazione” avviata dal Cremlino, ricordo, sempre per quel che vale, la mia posizione sulla carneficina in corso in Ucraina e sul conflitto più generale che oppone la Federazione Russa (sostenuta in qualche modo dalla Cina) agli Stati Uniti e all’Unione Europea: trattasi di un confronto imperialista ostile agli interessi delle classi subalterne di tutti i Paesi a diverso titolo coinvolti nella guerra – condotta sul terreno militare come su quello economico.

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5 pensieri su “IL PUNTO SULLA GUERRA IN UCRAINA – A UN PASSO DALLA RUSSIA

  1. LASCIARE O RADDOPPIARE?

    Situazione sul campo
    «La Russia riconosce la sconfitta. È la prima ammissione di Mosca. E riguarda l’avanzamento delle truppe ucraine nella regione di Kharkiv. Il Cremlino sta deviando la colpa dal Presidente russo Vladimir Putin, attribuendola invece ai suoi consiglieri militari. Ma il successo della controffensiva ucraina sta gettando nel panico i militari russi, le autorità di occupazione e i blogger. Da sei giorni le forze di Kiev si sono allontanate a est e sud-est dalla città di Kharkiv, sfondando quelle che sembravano essere difese russe indebolite e scarsamente difese. Una controffensiva sbalorditiva quella condotta sul fiume Oskil, che ha riscritto la mappa del campo di battaglia del Donbass. Il punto di svolta è arrivato in estate, quando le armi occidentali sono iniziate ad arrivare in quantità maggiori. E negli ultimi sei giorni tutto è cambiato. «Gli ucraini ora hanno l’iniziativa», ha detto a Radio Libery Mick Ryan, maggiore generale in pensione dell’esercito australiano e membro del Center for Strategic and International Studies con sede a Washington. «I russi ora combatteranno dove gli ucraini decideranno di attaccarli e non in luoghi di loro scelta» (Il messaggero).

    Situazione economico-sociale
    «L’allarme arriva dal primo ministro, Mikhail Mishustin: da ottobre a dicembre perderanno il posto di lavoro 200mila persone. Stando a stime dell’università di Yale, sono oltre 1.000 le aziende che hanno abbandonato la Russia come conseguenza delle sanzioni: questo poterà alla cancellazione di 5 milioni di posti di lavoro entro l’anno. La Russia si prepara a un autunno incerto, con il governo che cerca di minimizzare gli effetti delle sanzioni sull’economia nazionale. Ma gli esiti della guerra sono sempre più incerti e sul Paese pesa anche l’incognita di quanto gas Mosca riuscirà a vendere all’Europa sul medio lungo termine. Una variabile fondamentale per la tenuta o il collasso dell’economia nazionale. L’export di gas ha segnato già il -36% solo nei primi 6 mesi di guerra (anche se il prezzo di vendita è salito). A questo vanno aggiunte altre contrazioni importanti nelle esportazioni: l’acciaio e fertilizzanti sono calati del 30%, il carbone del 29% e la farina del 27%. […] Ci sono poi ricadute sul lungo termine, che non sono ancora quantificabili, ma che sono destinate a condurre la Russia a uno stato di arretratezza rispetto al resto del mondo. L’esempio più lampante è lo stop all’ingresso di tecnologie aggiornate, che coinvolgeranno diversi settori produttivi, aggravati dai tagli del governo al settore della ricerca scientifica nel piano di spese 2023-2025. […] Per quanto riguarda l’inflazione, questa per il momento risente in positivo dei pagamenti del gas, che stanno ancora entrando nel Paese, ma secondo gli economisti, nella seconda metà dell’anno, potranno verificarsi choc inflazionistici che la porteranno ben oltre il 15% attuale» (Avvenire).

    Come reagirà il regime putiniano a questa situazione indubbiamente difficile, di certo la più difficile che l’esercito russo si sia trovato ad affrontare dallo scorso 24 febbraio? Non sono pochi gli analisti che prevedono un’ulteriore e assai pericolosa escalation del conflitto. Per adesso Mosca tenta la strada della rappresaglia, attraverso il bombardamento missilistico delle abitazioni civili della regione di Kharkiv. Ma con la rappresaglia non si conquista un bel niente – ma di certo si massacrano bambini, donne, vecchi e così via.

    Il Santissimo Papa ha detto:
    «Dopo le due tragiche guerre mondiali sembrava che il mondo avesse imparato a incamminarsi progressivamente verso il rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale, di varie forme di cooperazione. Ma purtroppo la storia mostra segni di regressione. Non solo s`intensificano conflitti anacronistici ma riemergono nazionalismi chiusi, esasperati, aggressivi e nuove guerre di dominio che colpiscono civili, anziani, bambini e malati e provocano distruzione ovunque. I numerosi conflitti armati preoccupano seriamente. Ho detto che era una terza guerra mondiale “a pezzi”, oggi possiamo dire “totale”». Non si tratta né di regressione né di anacronismi: si tratta piuttosto della Maligna continuità storica della società capitalistica. Checché ne dica il Santissimo, dopo «le due tragiche guerre mondiali» il mondo non ha cessato per un colo giorno di conoscere guerre (più o meno “locali”), violenze (economiche, belliche, sociali), devastazioni e sopraffazioni d’ogni genere. Diritti umani, diritto internazionale, cooperazione fra le nazioni e i popoli: tutta fuffa ideologica intesa a ingannare soprattutto le classi subalterne, che sono poi le prime vittime dell’Imperialismo Unitario.

  2. La guerra infinita tra Armenia e Azerbaigian

    Sta andando per così dire in onda l’ennesima puntata della guerra infinita tra Armenia e Azerbaigian per il controllo dell’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh e dei territori adiacenti abitati quasi esclusivamente da azeri fino alla guerra di inizio anni Novanta, ma da allora sotto il controllo di forze armene. Negli ultimi due anni si segnala una più attiva politica di ingerenza nella crisi caucasica da parte della Turchia, che sostiene con sempre maggiore impegno l’Azerbaigian, mentre la Russia, tradizionalmente più vicina all’Armenia, cerca di non inimicarsi del tutto Baku, anche in considerazione del rafforzamento economico e militare fatto registrare negli ultimi anni dall’Azerbaigian. «L’esplicito sostegno all’intervento militare della Turchia a favore dell’Azerbaijan ha sparigliato le carte, mostrando che la Russia non è l’unico attore regionale di peso nel Caucaso del sud (Osservatorio Balcani e Caucaso, 6/10/2020).

    «Rispetto al passato il ruolo della Russia in Armenia può essere diverso? Secondo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, il presidente Putin ha fatto appello alla calma in Nagorno-Karabakh. Secondo Jonathan Katz, un membro anziano della Fondazione Marshall le ultime violenze in Nagorno-Karabakh seguono una serie di riacutizzazioni negli ultimi mesi: “Dato che la Russia è stata coinvolta più profondamente nel conflitto in Ucraina, comprese le perdite subite nelle ultime due settimane, stai vedendo l’Azerbaigian mettere alla prova ciò che può fare. Vedo davvero un indebolimento dell’influenza della Russia nel Caucaso meridionale a causa dell’impatto non solo delle perdite militari, ma anche delle perdite economiche a causa delle sanzioni e di altre misure che rendono la Russia un paese molto più debole oggi e meno in grado di proiettare potere di era pre-febbraio 24”.[…].
    Pochi giorni fa in occasione del suo intervento al Forum Ambrosetti, il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, si era detto disponibile a raddoppiare l’export di gas, annunciando anche la possibilità di un accordo di pace con l’Armenia da siglare entro alcuni mesi. Per cui la possibile normalizzazione dei rapporti tra due ex repubbliche sovietiche che di fatto sono in guerra da due decenni se da un lato è una notizia che va nella direzione della cosiddetta pax energetica e geopolitica, dall’altro non fa certo piacere a chi sta provando in tutti i modi a sabotare la diversificazione energetica del vecchio continente» (Formiche. net).

    «Non è un caso che l’Azerbaigian abbia alzato il livello della sfida all’Armenia (dunque alla Russia) proprio in coincidenza della disfatta di Mosca nell’oblast’ di Kharkiv. Le enormi difficoltà incontrate sul campo di battaglia ucraino riducono notevolmente la capacità dei russi di interporsi tra i due litiganti caucasici. Soprattutto perché in questa fase Vladimir Putin non può assolutamente permettersi di inimicarsi la Turchia, principale alleato dell’Azerbaigian. L’appello di Pashinyan per un intervento militare della Csto a guida russa appare in tal senso una mossa disperata. Le convulsioni caucasiche fanno il gioco degli Stati Uniti, dal momento che permettono alla superpotenza di svelare le fragilità di Mosca e la sua incapacità di reggere il confronto di prossimità con Washington su molteplici fronti» (Limes).

    E l’Unione Europea? «Siglato un memorandum d’intesa dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente azero, Ilham Aliyev, che prevede il raddoppio della fornitura del gas entro il 2027 attraverso la Tap, Trans-Adriatic Pipeline, che approderà in Puglia. “Sono felice di contare sull’Azerbaigian, nostro partner energetico cruciale”, ha commentato von der Leyen dopo la firma del memorandum d’intesa» (Agi, 18/7/2022). Ah, ecco!

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