LA NATURA DELLA GUERRA IN CORSO IN UCRAINA

Jitet-KUSTANA-Indonesia-First-prize-22affondando-nelle-vittime22-729x1024Poiché sosteniamo la rivoluzione, la predichiamo
anche in guerra. Noi non possiamo né “promettere”
la guerra civile, né “decretarla”, ma è nostro dovere
condurre il lavoro – se necessario anche lungo – in
questa direzione (Lenin, 1914).

Se la natura imperialista della guerra di aggressione russa all’Ucraina appare di per sé evidente, salvo che per gli escrementizi personaggi che difendono le ragioni della Russia (alcuni dei quali negano addirittura a questo Paese lo status di nazione imperialista!), la stessa cosa appare più problematica per ciò che riguarda il Paese aggredito. Appare, appunto. Qui di seguito cercherò di sciogliere almeno i nodi più importanti che si aggrovigliano intorno alla questione posta a riflessione come contributo a una corretta definizione politica della guerra in corso.

La guerra di difesa nazionale che l’Ucraina combatte contro l’aggressione imperialista della Russia ha per l’anticapitalista un carattere essenzialmente e radicalmente ultrareazionario, in primo luogo perché essa è ostile agli interessi delle classi subalterne di quel Paese. Il disfattismo rivoluzionario, praticato dagli anticapitalisti nei modi che la situazione rende possibile, vale dunque tanto per ciò che riguarda la Russia quanto per ciò che concerne l’Ucraina – e domani anche e soprattutto per l’Italia: meglio mettere le mani avanti, non si sa mai come le cose potrebbero evolvere. Oggi assistiamo dunque a una guerra imperialistica da ambo le parti, con in mezzo i proletari di entrambi i Paesi – in effetti sono i proletari di tutti i Paesi coinvolti in qualche modo in questa guerra a pagare un prezzo salato, in termini di sacrifici economici, sull’altare dei “valori occidentali”. Cercherò di argomentare questa tesi mettendo insieme concetti già formulati nei miei precedenti post dedicati al tema. Mi scuso in anticipo per la ripetizione di qualche concetto.

Com’è noto, nello sforzo bellico l’Ucraina è sostenuta militarmente e finanziariamente in modo a dir poco decisivo dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, ciò che conferisce alla sua guerra di difesa nazionale una natura schiettamente imperialista: essa si dà come un episodio della lotta interimperialistica.

L’aggressione di una piccola nazione, anche in vista di una sua più o meno completa e definitiva annessione, da parte di una grande nazione non va considerata un fatto eccezionale, in quanto una simile evenienza rappresenta piuttosto un fenomeno del tutto conforme all’epoca imperialistica che il mondo conosce ormai da oltre un secolo.

L’orientamento dell’Ucraina verso l’Unione Europea e gli Stati Uniti, che si è andato accentuando man mano che in quel Paese si sono rafforzate le fazioni borghesi interessate a prendere le distanze dalla Russia, conferma oltre ogni ragionevole dubbio quanto sia illusoria e ingannevole l’idea dell’autodeterminazione delle nazioni e dei popoli nel XXI secolo, nell’epoca cioè del dominio totalitario e planetario dei rapporti sociali capitalistici, o, detto altrimenti, nell’epoca dell’Imperialismo Unitario. Il fatto che anche le classi subalterne ucraine hanno sostenuto quella tendenza (ma identico discorso si deve fare per la tendenza opposta, quella filorussa), non muta di un solo atomo la sostanza del problema, che implica la dinamica sociale colta nel suo complesso. Ma su questo punto ritornerò.

Lo status di “nazione cuscinetto” o di “nazione neutrale” di cui si parla nelle capitali delle grandi nazioni in riferimento al futuro assetto geopolitico dell’Ucraina rappresenta un’ulteriore conferma di quanto appena affermato, visto che la condizione geopolitica di quel Paese è strettamente legata ai rapporti di forza che verranno a stabilirsi tra le nazioni più forti del mondo – anche solo militarmente, come nel caso della Russia, gigante militare e nano economico.

D’altra parte, di quale grado di autonomia nazionale godono Paesi che come l’Italia, la Germania e il Giappone (ma anche, mutatis mutandis, come la Francia e la Gran Bretagna) si trovano nella sfera d’influenza statunitense in seguito alla sconfitta da essi subita nella Seconda guerra mondiale? Del grado di autonomia che questi Paesi hanno avuto la forza di acquisire nel tempo soprattutto attraverso la loro crescita economica – al punto che la Germania, gigante economico e nano politico, può a giusta ragione venir indicata come la vera vincitrice della Guerra Fredda. Pur inserita nel “campo americano”, l’Italia ha saputo ritagliarsi un ragguardevole spazio di influenza imperialista nella sua tradizionale area egemonica rappresentata dal Nord’Africa e dai Balcani. Si tratta in ogni caso di una sovranità nazionale che deve fare i conti con i rapporti di forza che vengono a determinarsi all’interno dell’Imperialismo Unitario, una realtà che fa impallidire la stessa nozione di autodeterminazione delle nazioni.

La stessa Russia deve fare i conti con il capitalismo molto più sviluppato della Cina, degli Stati Uniti e dell’Europa; il rischio di diventare un Paese vassallo al servizio delle super potenze economiche è tutt’altro che scongiurato ed è anzi sempre più incombente. La sua aggressione ai danni dell’Ucraina va anche letta alla luce di questa considerazione fondato sui fatti. Da tempo in Russia si parla della necessità di ristrutturare radicalmente il suo “modello economico”, ancora basato sull’esportazione delle materie prime, per svilupparne l’industria e i servizi del terziario avanzato, ma evidentemente questa rivoluzione capitalistica non è semplice né indolore – sotto ogni punto di vista.

Per l’Ucraina l’alternativa circa la sua collocazione geopolitica si pone dunque nei termini che seguono: o essa “sceglie” di collocarsi nella sfera d’influenza russa, come vuole costringerla a fare la Russia di Putin, oppure “sceglie” l’opzione opposta, quella occidentale che Mosca ha cercato di scongiurare in tutti i modi negli ultimi dieci anni. Gli anticapitalisti considerano estranea agli interessi delle classi subalterne ucraine questa alternativa del dominio, né essi concedono un solo atomo di credibilità all’opzione neutralista. Il fatto che oggi il proletariato ucraino sostenga gli interessi nazionali del loro Paese rappresenta per gli anticapitalisti un problema che essi devono affrontare sulla base del loro peculiare punto di vista, senza niente concedere al “populismo” e alla logica della maggioranza. Il compito degli anticapitalisti è proprio quello di capovolgere quel dato di fatto che si spiega benissimo alla luce di molte cause oggettive (la stessa collocazione del proletariato nel processo sociale capitalistico) e soggettive (l’assenza sulla scena sociale, ormai da molto tempo, di un punto di vista anticapitalista).

I comunisti dei tempi di Marx e di Lenin parlavano di guerra di liberazione nazionale come di fatti storicamente progressivi e rivoluzionari (in senso borghese) pensando all’India, alla Persia, alla Cina o alle nazionalità oppresse dalla Russia zarista. Com’è noto, Lenin sostenne il diritto dell’Ucraina a separarsi completamente (andando cioè oltre la mera autonomia linguistica e culturale) dalla Russia – compresa quella rivoluzionaria del 1917, suscitando le proteste di non pochi dirigenti bolscevichi che egli bollò subito, e giustamente, come «sciovinisti grandi-russi». Per quanto riguarda la Russia, la sola guerra patriottica combattuta da questo Paese è stata quella del 1812 contro Napoleone, raccontata splendidamente da Tolstoj in Guerra e Pace. Quella combattuta dall’Armata Rossa di Lenin e di Trotsky contro le guardie bianche (1918-1920) fu invece una guerra rivoluzionaria a direzione proletaria informata dai valori dell’internazionalismo e per questo non riducibile nel quadro della guerra rivoluzionaria patriottica – sebbene la massiccia presenza nell’esercito e nella società russa dei contadini, interessati soprattutto alla difesa delle campagne russe, finì per depotenziare il carattere proletario della controffensiva militare del potere sovietico che si arrestò nell’estate del 1920 alle porte di Varsavia (1). Per dirla con i bolscevichi, allora si trattò di difendere «la patria socialista» dalla controrivoluzione internazionale. Chiudo la brevissima parentesi storica.

L’Ucraina dei tempi di Putin e Zelensky non è certo l’Ucraina dei tempi di Nicola II, e allo stesso modo oggi non ci troviamo a che fare né con la Russia zarista (che peraltro doveva ancora “fare” la rivoluzione borghese) né con l’Imperialismo come si strutturava un secolo fa, quando immense aree del pianeta si trovavano aldiquà dello sviluppo capitalistico e rappresentavano una gigantesca riserva di caccia per le potenze colonialiste/imperialiste. Basta appunto pensare alla Cina, all’India, all’Africa. Rispetto a Marx e a Lenin oggi ci troviamo, capitalisticamente parlando, in un mondo completamente diverso quanto a potenza, estensione e disumanità del dominio sociale capitalistico.

Questo semplicemente per dire che la guerra nazionale che oggi combatte l’Ucraina contro la Russia non ha niente a che fare, sul piano storico-sociale, con la guerra di liberazione nazionale di cui parlarono un tempo (prima della tragedia stalinista) i comunisti, peraltro avendo sempre cura di precisare che essi subordinavano la stessa rivoluzione nazionale-borghese agli interessi del proletariato nazionale e internazionale – principio che difatti fu completamente ribaltato da Stalin, ad esempio nel corso della rivoluzione cinese degli anni Venti, non a caso culminata nella catastrofe proletaria del 1927.

In Ucraina come in Russia e come in tutti i Paesi coinvolti in qualche modo in questa guerra, la difesa della patria equivale alla difesa dei vigenti rapporti sociali di dominio e di sfruttamento. La patria capitalistica non va difesa, ma combattuta con i mezzi più efficaci che la situazione rende possibile, in vista del suo superamento rivoluzionario. Perché dire “patria”, è bene ribadirlo sempre di nuovo, significa dire società capitalistica. Veniamo adesso al concetto di Imperialismo Unitario – che non vuol dire affatto unico, tutt’altro!

Il conflitto totale (economico, tecnologico, scientifico, ideologico, geopolitico) tra le grandi nazioni si dà all’interno di un sistema sociale che oggi ha le dimensioni del nostro pianeta. Esiste dunque un solo sistema sociale, una sola società, quella dominata dai rapporti sociali capitalistici. In questo peculiare senso l’imperialismo del XXI secolo ha un carattere unitario nei suoi presupposti sociali e nella sua dinamica: sfruttamento del lavoro umano, saccheggio delle risorse naturali, lotta tra le imprese, tra le nazioni e tra i sistemi di alleanze imperialistiche per la conquista dei mercati, il controllo delle materie prime e la spartizione del plusvalore sociale mondiale. Questo sistema sociale altamente complesso, contraddittorio, conflittuale e fortemente diseguale al suo interno, che ha nelle diverse nazioni del mondo i suoi nodi locali reciprocamente connessi da mille relazioni (il concetto di “sovranità nazionale” deve confrontarsi con questa realtà), si oppone unitariamente alle classi subalterne di tutto il mondo. Queste classi avrebbero quindi tutto l’interesse a formare un fronte altrettanto unitario contro il nemico comune, ma questo oggi purtroppo è lungi dal verificarsi; l’anticapitalista deve porre questo problema al centro della sua riflessione politica e teorica, senza nulla concedere al consolatorio – quanto impotente – “ottimismo della rivoluzione”: la realtà è pessima e bisogna comprenderne le ragioni vicine e lontane, contingenti e storiche.

L’imperialismo mondiale come fenomeno sociale di prima grandezza si dà dunque come lotta tra le diverse potenze imperialistiche; ciò che definisco Sistema Imperialistico Mondiale ha questo preciso significato, il quale esclude in radice una pacifica convivenza tra quelle potenze. Per questo ciò che definisco Imperialismo Unitario è l’esatto opposto del Superimperialismo a suo tempo concettualizzato da Kautsky – e smentito mille volte dai fatti.

Chi sostiene, per qualsiasi ragione, un imperialismo o un’alleanza di Paesi imperialisti in realtà sostiene il sistema imperialista nella sua compatta e disumana totalità; combattere solo un imperialismo o una coalizione di Paesi imperialisti significa necessariamente, e ovviamente, rafforzare la concorrenza a tutto svantaggio delle classi dominanti di tutti i Paesi. L’anticapitalista ha un solo nemico principale: l’imperialismo del proprio Paese.

Tutti i Paesi del mondo hanno in comune la dittatura sociale del Capitale, il dominio sempre più totalitario del rapporto sociale capitalistico di produzione della ricchezza sociale, la forma merce, la forma denaro, la forma salario, la divisione classista della società, lo Stato come strumento di oppressione degli individui e di difesa delle classi dominanti. Questo è un altro modo di concettualizzare ciò che chiamo imperialismo unitario o Società-Mondo.

Nel contesto storico e sociale qui sinteticamente delineato, la guerra nazionale, che in Europa ebbe un carattere storicamente progressivo ai tempi di Marx (con lo spartiacque epocale rappresentato dalla guerra franco-prussiana del 1870-71) (2), ha una natura profondamente e radicalmente reazionaria, perché rafforza il dominio di classe capitalistico. Già Lenin, più di un secolo fa, scrisse che parlare di parità fra le nazioni è una menzogna intesa soprattutto a ingannare il proletariato delle nazioni più deboli, che ovviamente aspirano a diventare più forti, magari a spese di altre nazioni, com’è inevitabile che accada sul fondamento della società capitalistica. Nazioni forti e nazioni deboli; nazioni dominanti e nazioni dominate; grandi, medie e piccole potenze: tutte le nazioni del mondo sono parti organiche di una sola gigantesca e disumana totalità, ed è con questa mostruosità storico-sociale che l’anticapitalista invita a confrontarsi le classi subalterne di tutto il pianeta, oggi irretite dall’ideologia dominante e avvelenate dal patriottismo.

Per l’anticapitalista il concetto (borghese) di nazione oggi conserva un residuale significato progressivo solo in aree del mondo estremamente limitate (vedi il caso palestinese), e sempre scontando la sua subordinazione agli interessi della lotta di classe del proletariato e all’unità di esso al di là delle divisioni nazionali, etniche, culturali e così via.

Per tutte queste ragioni la guerra di difesa nazionale combattuta dall’Ucraina contro la Russia si configura anch’essa come una guerra imperialista, come parte di una più vasta guerra imperialista combattuta con tutti i mezzi disponibili: bellici, economici, politici, ideologici. Sul piano dell’analisi politica è impossibile, e concettualmente sbagliato, separare la guerra nazionale ucraina dal contesto sociale generale che l’ha generata. Se si perde il punto di vista della totalità; se non si ha il quadro complessivo della situazione, considerato nel suo significato storico, sociale e politico, facilmente si accoglie il punto di vista delle classi dominanti, il quale purtroppo è oggi condiviso dalle larghe masse dei nullatenenti: di qui l’importanza del lavoro politico svolto dagli anticapitalisti in assoluta minoranza, controcorrente, contro tutto e contro tutti – oggi persino contro la gran parte della massa proletaria, completamente assoggettata all’ideologia dominante, avvelenata dallo spirito patriottico. 

Dare ragione al Paese aggredito significa semplicemente ragionare dal punto di vista degli interessi nazionali, della patria, della difesa del “sacro” suolo nazionale, cioè a dire dal punto di vista degli interessi della classe dominante, o di una parte di essa. L’anticapitalista deve sempre e comunque, soprattutto in tempi di guerra, l’idea che il proletariato non ha patria. Scriveva Lenin nel 1916: «L’operaio non ha patria significa che 1) la sua situazione economica (il salario) non è nazionale, ma internazionale; 2) il suo nemico di classe è internazionale; 3) le condizioni per la sua liberazione idem; 4) l’unità internazionale degli operai è più importante  di quella nazionale» (3).

Io non nego affatto il diritto delle nazioni a difendersi (e, com’è noto, spesso la miglior difesa è l’attacco, l’azione preventiva): io combatto questo diritto e gli contrappongo quello delle classi subalterne di non finire nel tritacarne bellico. Si tratta con tutta evidenza di due diversi e confliggenti “diritti” – di classe.

(1) Quando il II Congresso del Comintern finì il 7 agosto 1920, l’avanzata sovietica su Varsavia stava procedendo rapidamente quasi senza opposizione, e l’ottimismo e l’entusiasmo erano illimitati. […] Il 16 agosto era stata sferrata una potente controffensiva polacca. Dopo pochi giorni l’Armata Rossa si ritirava altrettanto rapidamente come aveva avanzato. […] Una volta che gli operai polacchi di Varsavia non si erano sollevati, o anzi si erano persino uniti all’esercito nazionale  per difendere la capitale, l’impresa era condannata. Non fu l’Armata Rossa, ma la rivoluzione mondiale, ad essere sconfitta dinanzi a Varsavia nell’agosto 1920. […[ L’esercito di contadini non se la sentiva di combattere per portare la rivoluzione proletaria in altri paesi» (E. H. Carr, La rivoluzione bolscevica, 1917-1923, pp. 997-1000, Einaudi, 1964). Quell’estate di 102 anni fa l’onda di marea della rivoluzione russa e internazionale toccò il punto più alto, per poi rifluire violentemente come controrivoluzione stalinista e spazzare via quel che ancora rimaneva del potere dei Soviet. Rinvio ai miei scritti sul tema. Lo scoglio e il mare; Lenin e la profezia smenaviekhista; Il Grande Azzardo.

(2) «Il dominio di classe non è più capace di travestirsi con una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono uniti» (K. Marx, La guerra civile in Francia, 1871, p. 141). Come scriverà Lenin soprattutto in polemica con la socialdemocrazia europea del 1914 prona alla parola d’ordine della difesa della patria, la Comune di Parigi segna per i marxisti una cesura storica fondamentale: dal 1871 non sono più possibili nei Paesi a capitalismo avanzato guerre nazionali progressive, ma solo conflitti armati reazionari che il proletariato internazionale deve condannare e cercare di trasformare in conflitto sociale rivoluzionario.

(3) Lenin, Lettera a Ines Armand del 20/11/1916, Opere, XXXV, p. 172, Editori Riuniti, 1955.

FUGA DALLA RUSSIA?

SAMARCANDA. CLIMA FREDDO PER PUTIN

IL PUNTO SULLA GUERRA IN UCRAINA – A UN PASSO DALLA RUSSIA

CONTRO LA LOGICA DEL SACRIFICIO E DELLA PAZIENZA

IL MONDO DI TUTTI

CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ

MORDONO O NON MORDONO? IL PUNTO SULLE SANZIONI

LE SFIZIOSE PUTINATE DI ALESSANDRO ORSINI

 IL “REVISIONISMO STORICO” DI PUTIN   

PENSAVO FOSSE DOSTOEVSKIJ E INVECE ERA ORWELL!

IL PACIFISMO SECONDO SLAVOJ ŽIŽEK

La dimensione mondiale del conflitto Russo-Ucraino

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9 pensieri su “LA NATURA DELLA GUERRA IN CORSO IN UCRAINA

  1. IL SANGUINARIO SPARTITO DI WAGNER

    «Non che non l’avessimo capito. Solo due giorni fa, dal podio dell’assemblea generale dell’Onu, il colonnello golpista maliano Abdoulaye Maiga era salito a ringraziare pubblicamente i mercenari di Wagner che Putin ha inviato in Africa, “esemplare e fruttuosa collaborazione fra Mali e Russia”. E in Siria la stampa araba parla di “vuoto russo”, da quando il Cremlino ha richiamato gli uomini di Wagner per spostarli nel Donbass. E nel Donetsk che domani verrà annesso alla Russia coi finti referendum, nelle acciaierie ucraine Yenakiieve e Steel Works, 500 operai sono stati arruolati a forza e portati ad addestrarsi con gli istruttori di Wagner. Non che non si sapesse. Però a dircelo ieri è stato l’uomo che ha fondato Wagner, Evgeny Prigozhin, 61 anni, il famoso “cuoco di Putin”, che per la prima volta l’ha ammesso pubblicamente: i miei soldati, altro che semplici patrioti, altro che omini verdi di buona volontà, sono mercenari bell’e buoni. E dipendono direttamente dal Cremlino.

    “E ora, una confessione”, ha detto Prigozhin. La domanda gliel’ha fatta un giornalista che s’era stupito del video circolato giorni fa, dove si vedeva l’amico di Putin arringare un gruppo di detenuti d’un carcere per convincerli a combattere: Evgeny Viktorovic, gli ha chiesto, non neghi più d’essere l’arruolatore per conto del Cremlino? Ebbene, ha ammesso lui, “nel 2014 ho fondato il Gruppo tattico Wagner proprio per poter inviare soldati capaci nel Donbass”. Come andò? “Il primo maggio, nacque il primo gruppo di patrioti. Questi ragazzi hanno difeso i russi dal genocidio, il popolo siriano dagli altri arabi, hanno combattuto i demoni africani e latinoamericani. Sono diventati il pilastro della nostra patria» (Il Corriere della Sera).

    Dove c’è da portare pace, democrazia e diritti umani, ci sono i compagni della Wagner (o marines americani!) pronti a sacrificarsi. Un vanto per la Madre Russia! «Sono i primi musicisti della nostra orchestra!». Un’orchestra che, com’è noto ormai da anni, suona sempre lo stesso odioso spartito: quello della guerra e della carneficina.

    Qualche mese fa il Presidente francese Macron accusò gli uomini della Wagner che operano nel Mali di avere «intenti predatori. I mercenari vengono essenzialmente per proteggere i loro interessi economici e la giunta stessa». Per gli imperialisti di ogni Paese i cattivi sono sempre gli altri, i rivali – la Russia usa la compagnia Wagner in tutto lo spazio geopolitico africano un tempo occupato dalla Francia, oggi in netta ritirata in quel quadrante sempre più egemonizzato dal Celeste Imperialismo.

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