
Nasrin Ghadri aveva 35 anni ed era un dottoranda di Filosofia. È morta l’atro ieri dopo essere stata aggredita durante le manifestazioni di venerdì.
Tutti noi abbiamo dei sogni. Nei nostri sogni, nessuno
viene giustiziato dopo un processo farsa di tre minuti.
Nei nostri sogni, i poeti non vengono ammanettati;
nessuno si azzarda a perseguitare le minoranze; nessuno
si azzarda a imprigionare e uccidere dopo aver torturato
un lavoratore perché ha espresso la sua opinione. E no,
amici miei, nel sogno di cui parlo non ci sono fiumi di
sangue che scorrono per le strade (Hamed Esmaeilion).
«Donna, vita, libertà!»: uno slogan fin troppo urticante per un regime misogino, mortifero e ferocemente repressivo com’è senza alcun dubbio quello degli ayatollah ormai da oltre quattro decenni. Conservo un vivissimo ricordo delle sanguinose giornate che portarono al crollo del regime sanguinario (tanto per cambiare!) di Reza Pahlavi sostenuto dagli Stati Uniti; allora avevo 16 anni e con entusiasmo crescente seguivo alla televisione il fenomeno di una marea crescente di donne e uomini in lotta contro lo sfruttamento, l’oppressione, e la miseria che dilagava accanto alla gigantesca e spavalda ricchezza accumulata dai pochi appartenenti alla classe dominante. La rabbia dei manifestanti sottoposti per giorni e per mesi all’azione repressiva della polizia e dell’esercito alla fine si scaricò contro il regime con inaudita violenza, e nelle ore culminanti della battaglia le strade di Teheran sembravano un campo di battaglia pieno di carri armati e autoblindo incendiati dai manifestanti. Poche settimane furono sufficienti a fare evaporare il mio entusiasmo “rivoluzionario”, sostituito dalla delusione per l’ennesima “rivoluzione tradita”. In ogni caso, anche prima che lo Scià lasciasse il Paese non accordai mai la mia pur ingenua simpatia all’enigmatica e inquietante figura dell’ayatollah Khomeini, richiamato in patria dal suo esilio francese dalla borghesia iraniana per portare le classi subalterne in rivolta sul terreno della conservazione sociale. Operazione riuscita! Il referendum del 30 marzo 1979 sancirà con il 99% dei voti la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica Islamica, e segnerà l’inizio della feroce repressione di tutta l’opposizione “laica”. Ma di questo parlerò – forse – un’altra volta. Adesso ritorniamo alla cruda e pessima realtà dei nostri giorni.
Dal 26 settembre a ieri, almeno 305 manifestanti sono stati uccisi dalle forze repressive (incluse quelle “coperte”) della Repubblica Islamica. Tra questi 41 minori e 25 donne. L’altro ieri le forze di sicurezza hanno ucciso almeno 16 persone con armi da fuoco a Khash, nella provincia del Sistan e Baluchistan. Del numero dei manifestanti arrestati e seppelliti nelle galere del Paese non si sa più niente, se non che questo numero cresce ogni giorno che passa. Si parla comunque di non meno 15/20mila manifestanti arrestati. Le donne imprigionate vengono sistematicamente stuprate, mentre ai maschi vengono estorte con la tortura confessioni di “pentimento” subito pubblicizzate dal regime. Il corpo di chi non sopravvive a questi civilissimi trattamenti non è consegnato alla famiglia, e chi chiede notizie degli scomparsi, è caldamente “pregato” di non insistere. Le notizie sulla violenta repressione del movimento di lotta devono fare i conti con la censura e le interruzioni di internet che il regime ha imposto in vaste zone dell’Iran, cosa che lascia immaginare un numero di morti, di feriti e di arrestati molto più cospicuo.
Decine di manifestanti sono stati accusati di «inimicizia contro dio» e di «corruzione sulla terra», reati che secondo il codice islamico comportano la pena di morte. La fazione più conservatrice del regime chiede che quei reati siano estesi a tutti gli arrestati. Secondo un’organizzazione iraniana per i diritti umani con sede all’estero, Mohammed Ghobadlou, 22 anni, è stato condannato a morte da un tribunale di Teheran con l’accusa di sedizione e rivolta contro il sistema della Repubblica Islamica. La Repubblica Islamica ha sempre usato la pena di morte come strumento di repressione e intimidazione nei confronti dell’opposizione, ma questa volta sembra che i manifestanti, giovanissimi in gran parte, abbiano superato una sorta di soglia di non ritorno che li mette al riparo dalla paura della morte. Lo dimostrano anche i molti gesti di sfida dei ribelli contro tutti i simboli del regime. «Non abbiamo più paura!» gridano i giovani manifestanti. «Ogni volta che il governo uccide un manifestante, viene avviato un timer di quaranta giorni e ogni volta il timer riparte. Uccidendo dozzine di ragazze e ragazzi, il governo si è intrappolato in un circolo vizioso. I giovani sono elettrizzati dalla protesta senza precedenti di mercoledì. Ora sono tornati in strada per celebrare il 40° giorno di Nika Shakarami. Il prossimo sarà quello di Sarina Esmailizadeh, e così via» (Rana Rahimpour, BBC).
Il regime usa il pugno di ferro soprattutto contro le minoranze etniche (turchi, curdi, arabi e bakhtiar), mentre con i manifestanti di Teheran esso cerca per adesso di contenere la violenza repressiva per timore di gettare benzina sul fuoco nella città che ha sempre deciso il destino dell’Iran. Tanto più adesso che i cosiddetti “moderati” del sistema komeinista, ormai screditati agli occhi della gente, mostrano di non avere alcuna presa sui manifestanti, la cui radicalizzazione politica rappresenta un vero e proprio incubo per gli strati sociali che hanno interesse a mantenere integro l’attuale status quo. In questo caso aumenterebbero pure le probabilità che il regime cerchi di scaricare le tensioni sociali contro un nemico esterno, e difatti già cresce la tensione tra l’Iran e i suoi nemici regionali (Arabia Saudita e Israele, in primis) e internazionali (Stati Uniti). La città di Erbil, nel Kurdistan iracheno, che ospita una base americana, appare in questo caso la prima vittima sacrificale. La concretezza della minaccia è sostenuta dal fatto che, da settembre, l’Iran sta colpendo con missili e droni il Kurdistan iracheno. Un aereo militare Usa è stato abbattuto, anche se Teheran ha accusato i gruppi separatisti dell’area. Il governo dell’Iran ha anche accusato pubblicamente gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e Israele di fomentare le manifestazioni» (Il Sole 24 Ore). In caso di conflitto armato il regime potrebbe chiedere l’attivo sostegno dei suoi alleati regionali (Siria, miliziani libanesi di holzebollha, Hamas) e internazionali (Russia e, forse, Cina, quantomeno sul terreno “diplomatico”). Come sempre, la politica estera è la continuazione della politica interna. E viceversa.
Sebbene l’imperialismo statunitense e i suoi alleati sauditi e israeliani stanno (ovviamente) cercando di approfittare della crisi sociale iraniana per rafforzare la loro posizione nella regine, magari in vista di un regime change in Iran (comunque sempre problematico e dagli esiti imprevedibili), solo degli sciocchi e i sostenitori del “campo antiamericano” (posizione tutta interna alla prassi e alla logica dello scontro interimperialistico) possono pensare che dietro il movimento di lotta ci siano le pelose mani del Grande e del Piccolo Satana. Chi riduce quanto sta accadendo in Iran a una mera questione geopolitica mostra di non capire nulla dei processi sociali, in generale, e della società iraniana in particolare.
Non è possibile sapere se stia maturando fra i manifestanti, o solo in una parte del movimento di lotta, magari in quella più abituata all’organizzazione (la classe operaia), la necessità di organizzare un’autodifesa anche armata, il solo modo in grado quantomeno di mettere i manifestanti nella condizione di contenere le forze della repressione. A giudicare dalle notizie che arrivano dall’Iran, difendersi con tutti i mezzi necessari è comunque già una condizione imposta ai manifestanti dalla situazione. Ma le mie sono valutazioni fatte “a tavolino”, ed è quindi altamente possibile che ciò che scrivo non abbia alcun rapporto con la realtà.
Una nota attrice dell’Iran, Taraneh Alidoosti, pubblica sui social una sua foto senza velo e con un cartello in mano su cui si legge “Donna. Vita. Libertà”.
IRAN. LA LOTTA CONTRO IL REGIME NON SI ARRESTA
CON I RIBELLI IRANIANI! CONTRO IL REGIME OMICIDA DEGLI AYATOLLAH!
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