GROSSA CRISI NEL REGNO UNITO

Sputa da solo e non puoi fare nulla. Sputa insieme
agli altri e puoi annegare i bastardi (Bob Crow).

In un articolo pubblicato il 17 novembre scorso intitolato Il peggior calo degli standard di vita nel Regno Unito dall’inizio delle statistiche, il quotidiano Guardian sosteneva, sulla base delle stime elaborate dall’Office for Budget Responsability, che la recessione economica dichiarata “ufficialmente” dal governo britannico non sarà di breve durata e avrà un duro impatto sulla società. «La recessione spingerà mezzo milione di persone nella disoccupazione e provocherà il più grande calo del tenore di vita delle famiglie da quando sono iniziate le registrazioni nell’anno fiscale 1956-57». Secondo l’Office for Budget responsibility, definito il cane da guardia della spesa pubblica in Gran Bretagna, il calo del potere di acquisto delle famiglie sarà così marcato (del 7,1% negli anni 2021/2024) da spazzare via gli ultimi otto anni di crescita, perché gli aumenti salariali non tengono il passo con l’inflazione (circa 12 %) e i tassi d’interesse continuano a salire, cosa che riporterà effettivamente l’orologio dei redditi delle famiglie indietro al 2013.

Scrive il Sole 24 Ore: «Tasse in aumento per tutti, cittadini e imprese, e tagli alla spesa per riempire il “buco” da 55 miliardi di sterline nei conti pubblici. Un budget “lacrime e sangue” quello presentato dal cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt nel tentativo di riportare stabilità e restituire credibilità alla Gran Bretagna dopo la tempesta finanziaria di ottobre. Il carico fiscale diventerà il più pesante dal dopoguerra, salendo dal 36,4% di quest’anno per arrivare al 37,5% del Pil nel 2024 in seguito ai 25 miliardi di sterline di aumenti annunciati da Hunt nella finanziaria d’autunno. La crescita dovrebbe tornare nel 2024 (+1,3%) e accelerare nei due anni successivi. Resta però il fatto che l’economia britannica non tornerà alle dimensioni di prima della pandemia fino al 2024 e che il tenore di vita dei cittadini crollerà del 7% nei prossimi due anni, il calo più brusco dagli anni Cinquanta». Fa un certo effetto ricordare oggi le parole dell’ex premier Lizz Truss: «Sono stata eletta leader dei Tories per creare un’economia a bassa tassazione e alta crescita, sfruttando le libertà concesse dalla Brexit». Bassa tassazione e alta crescita…

Gli scioperi di questi giorni, che hanno visto protagonisti come non si vedeva da molto tempo i lavoratori britannici di molti settori economici (con la logistica a fare da avanguardia), sono la testimonianza più chiara della crisi sociale che attraversa il Paese e dello sforzo dei lavoratori per arginarla. Bollette, affitti, generi alimentari: tutto rincara mentre i salari arrancano o addirittura arretrano – esattamente come accade in Italia!

Secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica britannico la struttura del Pil del Regno Unito è così formata: il settore dei servizi è il più importante settore economico del Paese, e rappresenta il 79 % del Pil del Regno Unito; i segmenti più importanti all’interno dei servizi sono il Governo (istruzione e la salute, 19%), l’immobiliare (12%), le attività professionali (scientifiche, tecniche e servizi amministrativi e di supporto, 12%) il commercio all’ingrosso e al dettaglio (11%) e il finanziario assicurativo (8%). L’industria rappresenta il 20% del Pil, e i segmenti più grandi all’interno di questo settore sono il manifatturiero (10%) e le costruzioni (6%). Il settore agricolo rappresenta solo l’1% del Pil (cifra arrotondata per eccesso) (*).

Too Poor for War: così recitava l’editoriale di Project Syndicate dello scorso 8 novembre. «Mentre è aggressiva quasi quanto gli Stati Uniti nella sua risposta alle azioni della Russia, la Gran Bretagna è molto meno preparata a gestire un’economia di guerra rispetto al 1940. Produce meno cose ed è più dipendente dalle importazioni. Il Regno Unito è più vulnerabile agli choc esterni di qualsiasi altra grande potenza occidentale a causa di decenni di deindustrializzazione che hanno ridotto il suo settore manifatturiero dal 23% del valore aggiunto lordo del 1980 a circa il 10% di oggi. Nel 1984 il Regno Unito produceva il 78% del cibo consumato e nel 2019 questa cifra è scesa al 64%. La crescente dipendenza dell’economia britannica dall’energia importata rende il Paese meno autosufficiente. Per decenni il settore finanziario ha sostenuto l’economia svuotata del Regno Unito; i flussi finanzieri della City di Londra hanno permesso al Paese di trascurare il commercio e di mantenere artificialmente standard di vita più elevati di quanto garantisse la sua capacità di esportazione. Fino a poco tempo fa la formula britannica era stata quella di finanziare il suo disavanzo commerciale con l’estero attirando capitali speculativi a Londra attraverso l’industria finanziaria, che è stata ristrutturata nel 1986. Gli stranieri inviavano nel Regno Unito merci ricevendone in cambio valuta pregiata, scambio che ha consentito in effetti al Paese di vivere al di sopra delle proprie possibilità senza però migliorarne la produttività. […] Un’economia in tempo di guerra è intrinsecamente un’economia di scarsità: poiché il governo ha bisogno di indirizzare le risorse verso la produzione di armi, viene prodotto meno burro. Poiché il burro deve essere razionato per produrre più armi, un’economia di guerra può portare a un’impennata inflazionistica che richiede ai politici di tagliare i consumi civili per ridurre la domanda in eccesso. Nel suo opuscolo del 1940 Come pagare per la guerra, John Maynard Keynes ha notoriamente chiesto un riequilibrio fiscale, piuttosto che un’espansione del bilancio, per soddisfare le crescenti esigenze dello sforzo di mobilitazione del Regno Unito durante la seconda guerra mondiale. Per ridurre i consumi senza aumentare l’inflazione, sosteneva Keynes, il governo doveva aumentare le tasse sui redditi, sui profitti e sui salari. “L’importanza di un bilancio di guerra è sociale”, affermò. Il suo scopo non è solo quello di “prevenire i mali sociali dell’inflazione”, ma di farlo “in un modo che soddisfi il senso popolare di giustizia sociale pur mantenendo adeguati incentivi al lavoro e all’economia”. Joseph Stiglitz ha applicato recentemente l’approccio keynesiano alla crisi ucraina per garantire un’equa distribuzione del sacrificio. Secondo Stiglitz i governi devono imporre una tassa sui profitti inaspettati ai fornitori di energia nazionali e ai profittatori di guerra».

Per me si tratta invece di rifiutare radicalmente la logica della guerra e quella dei sacrifici: altro che «equa distribuzione del sacrificio»! L’anticapitalista si augura piuttosto che «il senso popolare di giustizia sociale» si trasformi in coscienza di classe, e per quel che sa e può agisce in questa direzione.

(*) Composizione del PIL per settore economico in Italia. Dati ISTAT. «Possiamo notare che la voce dei servizi (il settore terziario) è la predominante in Italia già da molto tempo, anche quando eravamo ancora nel boom economico. La quota è andata comunque lentamente crescendo. La quota percentuale sul PIL totale è del 72,6% (dal 74,0% del 2020). Il settore industriale (il secondario più l’attività mineraria) è stato quello che è cresciuto di più in termini relativi fino al 1980. Successivamente abbiamo avuto una crescita più lenta tanto che la quota si è mantenuta stabile o in leggera discesa. La quota percentuale sul PIL totale è del 20,3% (dal 19,3% del 2020). Per molti sarà probabilmente una sorpresa notare come il settore agricolo (primario meno l’attività mineraria) sia così poco rilevante per l’economia italiana. Già nel 1960 il settore valeva appena il 4,6% del PIL. D’altra parte una configurazione simile è comune a tutti i paesi con un’economia moderna e avanzata. Quelli agricoli sono prodotti a basso contenuto innovativo, con scarse possibilità di incrementare il valore aggiunto unitario, e finiscono quindi inevitabilmente per subire la concorrenza dei paesi in via di sviluppo o che hanno la possibilità di sfruttare al massimo le economie di scala. La quota percentuale sul PIL totale è del 2,2% (dal 2,3% del 2020)» (Altervista.org).

LEZIONE DI INGLESE PER LA SORELLA D’ITALIA

2 pensieri su “GROSSA CRISI NEL REGNO UNITO

  1. STRIKEMAS!

    Dal Corriere della Sera:

    «A Londra il Natale è cancellato: per i giornali è ormai uno Strikemas (fusione tra strike, sciopero, e Christmas, Natale). Perché ormai scioperano davvero tutti e la Gran Bretagna è alla paralisi: aeroporti, ferrovie, autostrade, poste, ospedali, non funziona più nulla. Gli ultimi ad annunciare che incroceranno le braccia sono stati i funzionari di frontiera negli aeroporti, cioè quelli che controllano i passaporti: sciopereranno a cavallo di Natale e di Capodanno, per infliggere il massimo danno possibile al traffico aereo. Anche le poste (la mitica Royal Mail) hanno scioperato ieri e saranno bloccate di nuovo la settimana prossima, mentre prima e dopo Natale si fermano gli autisti delle ambulanze. Ma soprattutto a causare costernazione c’è il primo sciopero della storia degli infermieri, che metterà in ginocchio un servizio sanitario già allo stremo per gli strascichi della pandemia.
    In sintesi, per questo Natale gli inglesi non potranno andare a far visita ai parenti, non potranno andare in vacanza, non potranno spedire regali e faranno bene a non ammalarsi: sono i servizi di base, quelli che diamo per scontati in una società avanzata, che sono diventati una lotteria, una corsa a ostacoli quotidiana. Si va all’ufficio postale e si trova il cartello che dice “niente pacchi”, si torna alla fermata dell’autobus e c’è il cartello che avverte di «possibili interruzioni del servizio», la figlia deve partire per le ferie e si tratta di capire come farla arrivare in aeroporto. Sui giornali si trovano paginate con il calendario dettagliato degli scioperi e consigli su come sopravvivere allo “Strikemas”. Il governo è dunque costretto a ricorrere a misure estreme per provare a mettere una toppa: il personale della Raf, l’aviazione militare, si sta addestrando per organizzare il controllo passaporti negli scali aerei, mentre l’esercito è stato mobilitato per guidare le ambulanze. Ma il paradosso è che anche le Forze Armate mugugnano, perché fanno notare che la paga dei soldati chiamati a tappare i buchi degli scioperi è inferiore a quella degli scioperanti che protestano per i salari troppo bassi. Perché questa è la ragione dell’ondata di malcontento: l’inflazione, che ha superato l’ 11%, morde nelle tasche dei lavoratori, che chiedono incrementi delle buste paga. Ma è un circolo vizioso: adeguare al costo della vita gli stipendi dei quasi sei milioni di dipendenti pubblici costerebbe allo Stato 28 miliardi di sterline (oltre 30 miliardi di euro) e spingerebbe ancora più in alto l’inflazione. Per contenere la dinamica di prezzi e salari la Banca d’Inghilterra ha alzato i tassi in poche settimane dallo 0,1 al 3%, con effetti traumatici sui mutui delle famiglie, che si sono trovate ancor più impoverite.
    Il clima generale è di rabbia e frustrazione, di fronte a un Paese in crisi che appare ormai alla deriva. E non aiuta il fatto che al governo ci sia un tecnocrate come Rishi Sunak, che si mostra poco in pubblico e non sembra in grado di ispirare e ridare slancio alla nazione. Di fronte alle difficoltà il premier prova a fare la faccia feroce: “Se i leader dei sindacati continuano a essere irragionevoli — ha detto in Parlamento — allora è mio dovere passare all’azione. Questo è perché sto lavorando a nuove, dure leggi per proteggere la gente da questo sconvolgimento”. Ma non sarà il ricorso alla linea dura la ricetta per sanare un malessere che ha radici profonde».

  2. REGNO UNITO NEL CAOS. PRIMA LA BREXIT, POI IL COVID E ORA LA CRISI ECONOMICA LEGATA ALLA GUERRA: DIRIGERSI VERSO IL CANALE DELLA MANICA È DIVENTATO UN INCUBO, VISTA LA FIUMANA DI PERSONE CHE SCAPPANO DAL REGNO UNITO.

    Da Repubblica:

    Il ministero dei Trasporti britannico ha arruolato addirittura veterani di guerra di un’associazione umanitaria per assistere camionisti e altri automobilisti in futuro coinvolti nelle file, talvolta infinite e di oltre 30 ore, verso il tunnel della Manica. Il gruppo si chiama RE:ACT, è stato fondato nel 2015 dall’ex capo delle forze armate britanniche, il generale Sir Nick Parker: in passato l’organizzazione ha spesso operato in zone di guerra o di disastri naturali per distribuire aiuti umanitari alle vittime di tragici avvenimenti.
    Qui però siamo al tragicomico, visto che RE:ACT dovrà intervenire per rifocillare, cibare e idratare e assistere camionisti e automobilisti che in Inghilterra potrebbero rimanere di nuovo bloccati per decine di ore in futuro, come già visto la scorsa estate appena la Francia ha ridotto il personale alla dogana. Per questa operazione “umanitaria”, il governo ha pagato 200mila sterline all’organizzazione di Sir Nick Parker per un appalto di un anno.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...