«Follow the money, segui il denaro e troverai il Sistema»: esprimendo questa intuizione dall’alto della sua esperienza, illuminata da una notevole intelligenza, Giovanni Falcone non si sbagliava, tutt’altro. Ma qui per Sistema occorre intendere innanzitutto il Capitalismo, e non semplicemente la Mafia, la quale è il prodotto genuino del sistema capitalistico, e non una sua “deviazione”, una sua “degenerazione”, un suo “cancro”, come sostiene l’ideologia dominante. «La mafia non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli, maestri cantori, gente intimidita e ricattata che appartiene a tutti gli strati della società»: lo ha scritto sempre Giovanni Falcone nel suo libro Cose di Cosa Nostra.
«Potere e denaro. Potere per fare soldi, soldi per rafforzare il potere. In questi trent’anni la criminalità organizzata si è trasformata in una grande holding in grado di operare in ogni angolo del Paese e in ogni settore economico e finanziario. Il business della criminalità organizzata è di circa 220 miliardi di euro l’anno: l’11% del Pil (stima 2021 Eurispes). Soldi sporchi che provengono da estorsioni, traffico di armi, traffico di droga, insider trading, gioco d’azzardo illegale e altre attività illecite. Soldi sporchi ma appetitosi per l’establishment finanziario, perché con gli investimenti mafiosi guadagna pure chi aiuta a ripulire. Tant’è che secondo il Fondo monetario internazionale i fondi illegali potrebbero costituire dal 3% al 6% dell’economia mondiale. Per gestire il fiume di miliardi, le mafie hanno bisogno del sistema bancario» (Osservatorio Repressione, 23/5/2022). Porre la differenza tra «soldi sporchi» e «soldi puliti» significa non aver capito niente sulla natura capitalistica delle organizzazioni cosiddette criminali e, soprattutto, sulla natura di questa società, della società fondata sulla ricerca del massimo profitto che ha nel denaro il suo più potente Moloch. La violenza delle organizzazioni cosiddette criminali non ha altra spiegazione se non il possesso dell’«equivalente generale» che tutto può comprare e che, quindi, ha il potere su tutto e su tutti. Non a caso ciò che chiamiamo mafia – spesso senza sapere di cosa si parla, sul piano storico-sociale – aumentò la propria letalità accrescendo il suo giro d’affari. È quantomeno ingenuo accettare la vigente società, magari “criticamente”, solo come “male minore”, e poi lamentarsi delle sue magagne più vistose.
«Oggi, come e più di ieri, tra illegalità e riciclaggio per immettersi nell’economia legale, le mafie devastano la nostra economia, la nostra società, la nostra politica, le nostre istituzioni»: si tratta di preoccupazioni (più o meno fondate) che non riguardano l’anticapitalista, il quale si batte per una comunità umana, non per una società “più onesta”, che poi è il mantra più ripetuto dai funzionari del dominio sociale capitalistico: politici, giornalisti, intellettuali e quant’altro.
Scrive Pierpaolo Farina: «Mafia e capitalismo per lungo tempo sono stati considerati in antitesi. Di più: antagonisti. Laddove la prima era portatrice di arretratezza, sottosviluppo e degrado etico e civile, il secondo invece le era opposto come unica via per consentire l’uscita di intere regioni del Meridione d’Italia da quello stato di minorità materiale e morale a cui la mafia le condannava. Eppure l’economia capitalista come antidoto naturale al potere mafioso e alla sua ramificazione nella società si è rivelata una grande illusione: sin dagli albori, sin dall’omicidio di quell’Emanuele Notarbartolo già sindaco di Palermo deciso a metter fine alle malversazioni del Banco di Sicilia, Mafia e Capitalismo sono stati segreti amanti. […] Paradossalmente, i valori costitutivi della modernizzazione economica hanno sì trasformato il mafioso, che ha assimilato il consumismo e si è adeguato ai canoni della nuova modernità, ma al tempo stesso gli hanno dato nuovi strumenti per moltiplicare il proprio impatto sulla società, sull’economia e sulla politica. Questa fortuita o probabilmente naturale contaminazione ha permesso alle organizzazioni mafiose di modellare se stesse su un nuovo assetto organizzativo che le ha rese più adatte ad affrontare le sfide della modernità» (La Repubblica, 31/8/2017). L’impresa cosiddetta criminale segue la stessa logica dell’impresa cosiddetta legale: è il capitalismo, bellezza!
Una volta Leonardo Sciascia disse, in polemica con i «professionisti dell’Antimafia», che il prodotto politicamente e ideologicamente più rognoso della mafia è stato l’antimafia. Un noto comico genovese che si è permesso di criticare il «tono trionfalistico» con cui è stata annunciata la cattura del noto «Re della mafia» (Saviano docet), è stato ripreso malamente dai pennivendoli al servizio del governo: «Forse il comico non ha gradito la cattura del boss mafioso». Probabilmente il boomerang dell’antimafia “dura e pura” questa volta ha colpito il comico sinistrorso in questione: all’occorrenza c’è sempre uno più puro (magari appartenente alla tifoseria rivale) che ti epura! Mentre in queste ore sull’opinione pubblica nazionale si riversa una gigantesca colata di esaltazione legalistica, organizzata dai servitori dello Stato d’ogni professione, ordine e grado, confesso di provare un certo piacere nel non partecipare all’orgasmo antimafioso nazionale né alla puntuale, quanto risibile, saga complottista e dietrologica.
Colgo l’occasione per rinnovare, sempre per quel che vale, la mia ostilità nei confronti del 41-bis e dell’ergastolo ostativo per tutti i detenuti italiani, senza alcuna distinzione di natura politica o d’altro genere.
Aggiunta del 21/01/2023
LA RETE CRIMINALE SECONDO IL MAGISTRATO CLAISE
Leggo sul blog dell’Istituto Bruno Leoni: «Nel giorno dell’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro abbiamo letto con sorpresa l’intervista concessa dal pm belga Michel Claise al Fatto Quotidiano. Claise è il magistrato responsabile del Qatargate, quindi le sue parole hanno un peso specifico elevato. Ebbene: alcune sue affermazioni, semplicemente, non stanno né in cielo né in terra». Diciamo per sintetizzare che il nuovo eroe dei manettari italiani ed europei sovrastima, per usare un eufemismo, il peso «delle mafie» sull’economia europea e italiana. «In realtà, per quanto sia difficile stimare il giro d’affari delle organizzazioni criminali, le valutazioni più credibili pongono l’asticella molto più in basso: a livello europeo si stima tra i 90 e i 190 miliardi di euro mentre per quanto riguarda l’Italia si parla di meno dell’1% del Pil, non il 50%».
Ma la cosa più interessante, per così dire, è ciò che Claise pensa sulla lotta contro le «mafie ricchissime»: «Perché non immaginare, nel caso delle droghe pesanti, di considerare che anche chi consuma è parte della rete criminale?». Questa impostazione untragiustizialista della lotta al “crimine” avrebbe se non altro il merito di risolvere il problema della disoccupazione: hai voglia a costruire nuove carceri! Ma non sarebbe più opportuno e intelligente superare le politiche proibizioniste in materia di droghe “pesanti” e “leggere”, che si sono rivelate fallimentari e che arricchiscono i narcotrafficanti perché tengono alti i prezzi delle sostanze proibite (che peraltro circolano liberamente nella società)?: non rivolgete questa domanda al famigerato magistrato belga, potreste passare i guai!
COME VOLEVASI DIMOSTRARE
Ansa, Stoccolma, 22 gennaio 2023:
«Nel corso dell’ultima settimana, un’escalation di violenza ha colpito le strade di Stoccolma a causa di scontri tra gang criminali per il controllo del narcotraffico. Vista la gravità della situazione, la polizia svedese ha deciso di concentrare nella capitale un centinaio di agenti di rinforzo provenienti da tutto il Paese nel tentativo di fermare le violenze. Il capo di una delle gang coinvolte nelle violenze è un 36enne di Uppsala di origini curde che si fa chiamare “la volpe curda”. Secondo quanto riporta Svt, il suo gruppo starebbe cercando di prendere il controllo del mercato della droga nella zona di Sundsvall, sfidando l’attuale gang che ne detiene il controllo».
Si concentra l’attenzione analitica e repressiva sul mercato della droga per occultare le cause sociali che lo rendono possibile.
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