«Avanzare con grande slancio»: nel suo discorso alla nazione di fine anno il Presidente cinese Xi Jinping aveva citato il poeta Su Shi (dinastia Song, 960-1279, epoca di grandi invenzioni e di prosperità economica) per infondere fiducia nella popolazione cinese, una parte della quale è uscita letteralmente stremata dai tre anni di politica Zero-Covid. L’orwelliana politica dello Zero-Covid è stata abbandonata dal regime nel giro di 24 ore semplicemente perché era diventata capitalisticamente insostenibile. Insostenibile tanto sul piano strettamente economico quanto su quello sociale. Rallentamento dell’economia, caos in molti e importanti centri industriali e nella logistica, ribellismo sociale diffuso come reazione allo spietato controllo sociale, rabbia crescente nei confronti di un Partito-Regime che tratta le persone come materia prima industriale (non a caso Pechino ha scelto di vaccinare subito la fascia di popolazione cinese in età lavorativa, sacrificando i più anziani) e nasconde loro i dati sulla pandemia. Come sempre il regime crea il nemico esterno (la propaganda si indirizza soprattutto sugli Stati Uniti e sul Giappone, colpevoli di non voler accettare la realtà del «socialismo con caratteristiche cinesi») contro il quale indirizzare la rabbia della popolazione, ma la diffidenza nei suoi confronti si fa sempre più diffusa, tanto più che l’economia cinese conosce una frenata impensabile fino a qualche anno fa.
Secondo i dati delle Dogane cinesi pubblicati a inizio gennaio, l’export cinese ha segnato un crollo annuo del 9,9% (le stime davano un -10% dopo il -8,7% di novembre), in calo per il terzo mese di fila a causa della debole domanda internazionale, l’alta inflazione e le rotture in diversi punti della supply chain. A dicembre la Cina ha fatto registrare un surplus commerciale di 78 miliardi di dollari, in calo sui 93,7 miliardi dello stesso mese del 2021, ma meglio dei 76,2 miliardi attesi alla vigilia dagli analisti. «Anche le importazioni sono diminuite di nuovo a dicembre, con un calo del 7,5%, dopo il calo del 10,6% del mese precedente. Sia le importazioni che le esportazioni sono calate molto di più di quanto previsto da un sondaggio condotto da Bloomberg tra gli economisti. […] La ripartizione geografica del surplus commerciale rivela che il Paese con cui la Cina ha incrementato maggiormente il proprio commercio è la Russia (+34,3% rispetto al 2021), mentre nel caso degli Stati Uniti l’aumento è stato del 3,7% e in quello dell’America Latina dell’11%. I due partner più importanti hanno continuato a essere due gruppi sovranazionali, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Asean), con cui il commercio è aumentato del 15% rispetto al 2021, e l’Unione Europea (UE), con cui il commercio è cresciuto del 5,6% » (Agi).
Ieri è stato comunicato il dato relativo alla crescita del Pil cinese per il 2022: un magrissimo 3%. Magrissimo ovviamente in rapporto alle opulente cifre a cui il capitalismo cinese ci aveva abituati negli anni scorsi, basti pensare al +8,1% del 2021. Il governo aveva fissato un target del 5,5% – mentre gli analisti si aspettavano un dato ancora peggiore: 2%. «Se si esclude il 2020 che fu frenato dallo scoppio della pandemia, il risultato economico del 2022 per la Cina è il peggiore dal 1976, quando il Paese pagava ancora il caos della Rivoluzione culturale» (G. Santevecchi, Il Corriere della Sera). Un’altra notizia preoccupante per il sistema capitalistico cinese arriva dal fronte demografico.
«”La Cina rischia di invecchiare prima di diventare ricca”, hanno avvertito da tempo economisti e sociologi. La previsione si sta avverando: la popolazione cinese si è ridotta di 850 mila unità l’anno scorso, per effetto del calo drammatico delle nascite che secondo gli esperti è ormai irreversibile. I cinesi oggi sono 1,411 miliardi, ha rilevato l’Ufficio nazionale di statistiche di Pechino. […] Era successo solo nel 1961 che i decessi superassero le nascite, ma in quell’anno di disgrazia la Cina pagava il prezzo della carestia innescata dal fallimentare “Balzo in avanti” industriale ordinato da Mao, che causò milioni di morti per fame. Seguì un baby boom che Pechino fermò nel 1979, imponendo la famigerata “legge sul figlio unico”, abolita solo nel 2015» (Il Corriere della Sera). Quello che fa più impressione è il trend della decrescita: 9,56 milioni di nascite l’anno scorso rispetto ai 10,6 milioni del 2021, ai 12 milioni del 2020, ai 14,6 del 2019.
Com’è noto, il trend demografico cinese è su un sentiero declinante da almeno un decennio, ed è per questo che nel 2015 è stata appunto abolita la politica del figlio unico introdotta nel 1979. Si tratta dell’espressione di una maturità capitalistica, conosciuta da molto tempo in Occidente e in Giappone, che non può destare una certa apprensione nel regime. La popolazione cinese sta infatti invecchiando rapidamente, visto che la popolazione in età lavorativa diminuisce all’anno di 8 milioni mentre la popolazione anziana aumenta attualmente di 12 milioni l’anno. Il saldo di natalità è quindi fortemente negativo, e questo ha conseguenze negative in molti aspetti della società cinese considerata nel suo insieme. Basti pensare al sistema pensionistico, al finanziamento del welfare, al calo della domanda in diversi settori industriali e dei servizi, alla riconfigurazione degli assetti urbani. Occorre considerare dalla prospettiva demografica anche l’attuale rapporto città-campagna. Ma il problema fondamentale, in prospettiva, legato al cosiddetto inverno demografico afferisce naturalmente il sistema produttivo del Paese, che non può certo privarsi di un’abbondante esercito industriale sempre pronto a soddisfare i bisogni dell’accumulazione capitalistica. Esperti cinesi valutano in 170-260 milioni la popolazione in età lavorativa che potrebbe mancare all’appello nei prossimi trent’anni, e che potrebbe venir rimpiazzata dalle macchine “intelligenti”, cosa che, sempre secondo quegli esperti, obbliga la Cina a investire nei prossimi anni capitali straordinariamente ingenti nella “Quarta rivoluzione industriale”.
Il «sogno cinese» di cui parlò il Carissimo Leader nel 2013 non pare insomma attraversare un momento felice. Intanto «i compagni nel fronte sanitario patriottico di tutta la Cina» sono mobilitati nello sforzo di gestire la nuova politica antipandemica basata questa volta sulla ricerca dell’immunità di gregge da conseguirsi quanto più rapidamente possibile: da un estremo all’altro, dunque, e sempre avendo a cuore solo il benessere del popolo. Vedremo con quali risultati.
Ovviamente Pechino invita a guardare il bicchiere mezzo pieno: «Non è stato facile per l’economia cinese resistere alle difficoltà e raggiungere un nuovo record nel volume totale della produzione [120 mila miliardi di yuan], nonostante le conseguenze negative portate da molteplici fattori, come l’instabilità della situazione geopolitica, l’aumento dei rischi di contrazione dell’economia mondiale e la proliferazione dell’epidemia al suo interno. Secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, nel 2022 la crescita del PIL di Stati Uniti e Giappone non supererà il 2%. A livello globale, nel 2022 il tasso di crescita del PIL dell’economia cinese sarebbe superiore a quello della maggior parte delle principali economie, a testimonianza di una forte resilienza ed vitalità. Nel nuovo anno, sebbene il contesto internazionale si stia ancora evolvendo in modo complesso, l’economia globale non stia guadagnando abbastanza slancio e le basi per la ripresa economica interna non siano ancora sufficientemente solide, l’economia cinese confida in un miglioramento generale, grazie alle solide basi materiali accumulate da tempo, ai punti di forza del suo enorme mercato, ai dividendi continuamente rilasciati dal rafforzamento del processo di riforma e apertura, e alla sua ricca esperienza nel controllo macroeconomico. Possiamo citare le parole dell’imprenditore e investitore di fama internazionale Lars Tvede in una recente intervista: “la Cina rappresenta ancora il fattore principale per la crescita globale”» (Quotidiano del Popolo Online, 18/1/2023).
La Cina come cuore pulsante della globalizzazione capitalistica sembra essere ancora il mantra propagandistico preferito dal Partito Capitalista Cinese. Perché non essere ottimisti, tanto più che siamo nell’Anno del Coniglio.
FOGLIO BIANCO PER IL CARO LEADER
La Cina è un paese capitalista?; La Cina è un paese socialista?; Centenari che suonano menzogneri; Tutto sotto il cielo – del Capitalismo; Chuang e il “regime di sviluppo socialista”; Sulla campagna cinese; Social Contagion; Žižek, Badiou e la rivoluzione culturale cinese; Piazza Tienanmen e la “modernizzazione” capitalistica in Cina. Il ruolo degli studenti e dei lavoratori nella primavera cinese del 1989; Tienanmen! Pianeta Cina
PECHINO NON RIDE, TOKIO NEMMENO
Agi, 19/1/2023:
«Il deficit commerciale del Giappone ha raggiunto un livello record nel 2022, tra l’impennata dei prezzi del petrolio e il crollo dello yen che ne ha aumentato il costo. Lo scorso anno il ‘rosso’ del Paese si è attestato a 19.971,3 miliardi di yen (circa 144 miliardi di euro a prezzi correnti), superando di gran lunga il precedente record del 2014 e raggiungendo l’importo più elevato dall’inizio delle statistiche, nel 1979. Le importazioni totali del Paese nel 2022 hanno raggiunto i 118.157,3 miliardi di yen (852,6 miliardi di euro), con un’impennata del 39,2% rispetto all’anno precedente, secondo i dati delle dogane giapponesi diffusi dal ministero delle Finanze. Allo stesso tempo, le esportazioni sono aumentate del 18,2% a 98.186 miliardi di yen (708,6 miliardi di euro»).
Tre rivolte autunnali: rompere il ghiaccio sul “movimento anti-lockdown” della Cina
Dal Blog Chuang:
«La crisi di legittimità della governance sociale in Cina era già in corso prima della pandemia. Negli ultimi anni, la fragilità dello sviluppo economico e l’incertezza della mobilità verso l’alto avevano già iniziato a mettere i lavoratori (sia operai che impiegati) di fronte alle pressanti pressioni della sopravvivenza. I discorsi popolari emergenti rappresentano tutti la resistenza passiva di una nuova generazione di giovani di fronte all’estrema disuguaglianza di distribuzione nel capitalismo, con il nuovo vocabolario culturale di ogni anno che rappresenta semplicemente il costante progresso della disperazione. Le molteplici crisi sociali non hanno incontrato alcuna risposta ufficiale. Invece, sono state uniformemente respinte, stigmatizzate e demonizzate come “influenza di potenze straniere”, rendendo il carattere dittatoriale dell’autorità pubblica ancora più chiaro alla popolazione». […]
Per un breve periodo durante il fine settimana, gli studenti di oltre 200 università situate in tutto il paese hanno protestato nel campus, i cittadini sono scesi in strada in più di una dozzina di grandi città e, poco dopo, le comunità cinesi sparse in centinaia di città in tutto il mondo hanno tenuto migliaia di proteste in solidarietà, facendo eco agli appelli dei manifestanti sulla terraferma. Questa ondata di proteste che ha avuto il foglio bianco come emblema è presto passata dal semplice “resistere ai lockdown” all’avanzare richieste politiche ancora più estreme. In tal modo, sembrava essere un movimento politico coerente e nazionale che attraversava regioni e strati sociali. Ma, in sostanza, era in realtà una miscela di tre movimenti paralleli: primo, le lotte della classe operaia; secondo, le lotte degli abitanti delle città, degli studenti e dei professionisti; e terzo, campagne che coinvolgono quelli della nuova generazione di comunità della diaspora cinese all’estero. Tuttavia, nel disaggregare questi tre movimenti, il mio intento non è quello di sottolineare la loro indipendenza, ma proprio di sottolineare i modi in cui sono stati reciprocamente mescolati. Nel frattempo, la tensione della loro coesistenza parallela può aiutarci a comprendere sia la complessità che i limiti della recente ondata di proteste. […]
L’enfasi di questo articolo sull’importanza della mobilitazione della classe operaia non deriva da considerazioni illusorie e unilaterali di moralismo o tattica, ma dalla considerazione della storia della resistenza radicale da parte dei lavoratori migranti cinesi e del sottostante sistema capitalista di ingiusta distribuzione sociale che illumina. Senza attenzione alle questioni dei mezzi di sussistenza e alla mobilitazione e alle alleanze della classe operaia, sarà difficile per qualsiasi rivolta cinese superare l’apparato repressivo e la coscienza dell’egemonia statalista che è diventata sempre più consolidata, e quindi formare un movimento aggregato efficace».
Qui per «egemonia statalista» forse si intende l’egemonia esercitata sulla società dal Partito Capitalista Cinese, il Partito-Regime al servizio del capitalismo cinese – nodo fondamentale della rete capitalistica mondiale.
https://chuangcn.org/blog/