ANCHE L’IMPERIALISMO ITALIANO, NEL “SUO PICCOLO”, HA QUALCOSA DA DIRE

Ho appena finito di ascoltare su Radio Radicale l’intervento del Ministro degli Esteri Taviani alla Conferenza nazionale di Trieste L’Italia e i Balcani Occidentali: crescita e integrazione. Per Taviani «C’è una grande voglia di Italia nel mondo, soprattutto nei Balcani e in Africa, e sarebbe sciocco non cogliere questa grande opportunità». Secondo il Ministro «l’Italia deve sfruttare le sue capacità di apertura e di mediazione, la sua mentalità ostile al colonialismo [frecciatina ai francesi?]. Non si tratta solo di sventolare una bandiera, che pure ci fa piacere, ma di perseguire i nostri interessi nazionali. Dobbiamo fare squadra come sistema Italia: la politica, l’industria, il Parlamento, le regioni, le Organizzazioni non governative, la cultura, tutti questi mondi devono collaborare per difendere e ampliare la nostra presenza nei Balcani, soprattutto adesso che sono ritornate forti le tensioni tra Serbia e Kosovo. Hanno tentato di escluderci dai tavoli diplomatici ma non ci sono risusciti. Noi siamo portatori di pace. La nostra diplomazia economica può ancora dare molto non solo nei Balcani, ma anche in Ucraina, quando verrà il momento della ricostruzione. Anche per questo è importante il nostro sostegno a Kiev».

Taviani ha insomma illustrato bene la tradizionale politica estera dell’Italia, media potenza regionale da sempre molto attiva nei Balcani e in Nord’Africa, attivismo imperialista che spesso pone gli interessi di Roma in contrasto con quelli della Francia e della Germania.

Sul Domani di oggi Stefano Feltri parla di «colonialismo mascherato» commentando la visita di Giorgia Meloni in Algeria. In realtà il concetto corretto da usare è, appunto, quello di imperialismo, concetto ben sintetizzato nella formula «diplomazia economica» usata da Taviani, perché è l’economia il fondamento del fenomeno sociale che chiamiamo imperialismo. Soprattutto nel XXI Secolo economia e geopolitica sono intrecciate inestricabilmente, essendo le due facce della stessa medaglia. L’Eni, da Enrico Mattei in poi, illustra bene questo concetto. Ancora oggi, nelle’epoca della cosiddetta Intelligenza Artificiale (che tanto fa straparlare i feticisti della tecnologia), il nodo energetico rimane un fattore decisivo nella competizione tra le potenze e nei rapporti di forza internazionali, come ultimamente la guerra in Ucraina si è incaricata di testimoniare.

Per farla breve, anche nel caso dell’Italia non parlerei di «colonialismo mascherato» bensì di aperto imperialismo, sempre avendo in mente la “taglia geopolitica” di questo Paese.

Illustrando il cosiddetto Piano Mattei, la Premier italiana e Claudio Descalzi, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Eni, hanno messo in evidenza con palese compiacimento le difficoltà che sta attraversando la Germania in materia di approvvigionamento di gas e petrolio: per una volta Roma si è dimostrata più lungimirante e attiva di Berlino sul piano geoeconomico.  Son soddisfazioni! Per gli italici patrioti, beninteso.

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