La violenza che dobbiamo fare all’avversario dipende
dalla grandezza delle reciproche pretese politiche.
K. Von Clausewitz, Della guerra.
Mentre tanto e ovunque si discute di Leopard 2, di Abrams M1, dei sistemi d’arma che l’Italia si appresta a spedire in Ucraina e dei modernissimi e potentissimi (così si dice) T-14 Armata che la divisione russa Taman potrebbe quanto prima schierare in quel martoriato Paese, io mi concedo “il lusso” della riflessione che segue.
«Il tavolo della pace resta una chimera nel conflitto ucraino» (Notizie Geopolitiche). Contrapporre la «soluzione militare» alla «soluzione politico-diplomatica» significa fare sfoggio di ingenuità, se non di vera e propria imbecillità politica. Sostenere che, come ha scritto recentemente il “realista” Lucio Caracciolo, «La guerra in Ucraina avrà una soluzione militare o non l’avrà» significa affermare un’assoluta ovvietà che solo gli ingenui o gli ipocriti possono provare a smentire. L’apertura del “tavolo della pace” che segue sempre alle guerre ha l’obiettivo di ratificare quanto i contendenti sono stati in grado di ottenere sul piano squisitamente militare. Non bisogna essere particolarmente intelligenti per capire questa elementare verità confermata da tutte le vicende belliche lontane e vicine. La guerra non conosce pareggi, per dirla in termini calcistici, ma solo vittorie e sconfitte – che poi i malcapitati di turno cercheranno di presentare all’opinione pubblica nazionale e internazionale come una “mezza sconfitta” o una “mezza vittoria”: anche i francesi e soprattutto gli italiani ci provarono a imbrogliare le carte nel Secondo dopoguerra, giocando al “tavolo della pace” la carta abbastanza truccata della “Resistenza”. Perfino lo sciovinista De Gaulle fu costretto ad ammettere, con marziale ironia, di non ricordare l’esistenza di tanti “antinazisti” nella Francia occupata dalla Germania. Il salto sul carro armato dei vincitori non è una specialità esclusivamente italiana.
Quando Putin dice, per l’ennesima volta e sempre a uso interno («per giustificare i rovesci subiti dalle sue forze armate, è utile sostenere che stanno combattendo contro un nemico molto più grande», scrive Federico Rampini sul Corriere della Sera), che la Nato combatte ormai direttamente contro la Russia, egli afferma una verità che i suoi avversari occidentali smentiscono per ovvi motivi politici e propagandistici ma che sono i primi a riconoscere in tutta la sua portata. Il citato Rampini condanna senza appello chi «descrive gli aiuti della Nato come una partecipazione diretta alla guerra», e auspica che quanto prima gli Stati Uniti e soprattutto i Paesi europei abbandonino definitivamente la pericolosa «cultura del riarmo» che lascia l’Occidente in balìa delle fameliche mire espansionistiche della Russia e della Cina. «Poiché l’aggressione russa usa tattiche e tecniche che evocano la prima e la seconda guerra mondiale, il software non basta, ci vogliono gli scarponi sul terreno, i tank, le munizioni». Prendere nota, please. Ultimamente il Nostro ama vestire i panni dell’inflessibile difensore della Civiltà occidentale. Oriana Fallaci non ha seminato invano.
Sulla natura mondiale del conflitto che si combatte sulla pelle degli ucraini e dei russi (come sempre Mosca usa con estrema generosità i suoi soldati come carne da cannone) rimando al PDF che raccoglie i miei post dedicati a questo tema.
Scriveva Henry Kissinger: «La condizione preliminare per una politica di guerra limitata è la reintroduzione dell’elemento politico nel concetto di guerra e l’abbandono della nozione che la politica finisca quando la guerra comincia e che la guerra abbia fini suoi propri, distinti da quelli della politica» (Nuclear weapons and foreign policy, 1960). La guerra come continuazione della politica con altri mezzi: un classico che si porta benissimo anche ai nostri tempi. A sua volta la politica risponde a un insieme di interessi, contingenti e strategici, che hanno il loro centro di gravità nella struttura economica delle nazioni, che non a caso dà sostanza effettiva, al di là di ogni propaganda e di qualsivoglia velleità, al concetto di Potenza.
Lo stesso conflitto armato non è che un’espressione della guerra sistemica globale (o generale: economica, tecnoscientifica, geopolitica, ideologica) tra le potenze imperialistiche del pianeta, e come tale esso va considerato sul piano della riflessione politica.
Le divisioni e le contraddizioni che si sviluppano continuamente sul fronte occidentale su come sostenere le ragioni di Kiev (ma senza esagerare!) e bastonare quelle di Mosca (senza però volerla troppo umiliare né provocare!) sono l’espressione di divisioni e contraddizioni di lungo periodo che l’invasione russa dell’Ucraina ha ulteriormente esasperato e posto in piena luce. Ancora una volta si tratta soprattutto degli interessi strategici angloamericani e del ruolo che la Germania è chiamata (dal processo sociale mondiale) a recitare nel nuovo scenario geopolitico e geoeconomico. Washington e Londra inchiodano Berlino alle sue responsabilità politiche nell’ambito della difesa degli interessi (o “valori”) occidentali, sapendo benissimo che gli interessi economici dei tedeschi sono tutt’altro che sovrapponibili a quelli britannici e, soprattutto, statunitensi. La Germania ha fin qui fatto leva sulla propria indiscutibile capacità sistemica (economica e tecnoscientifica, in primis) per affermarsi come Potenza imperialista di tutto rispetto, in grado peraltro di vincere la Guerra Fredda senza sparare un solo colpo di cannone, e vorrebbe ovviamente continuare a muoversi lungo questa virtuosa strada. Il governo tedesco teme di venir strattonato ora dai francesi, ora dagli angloamericani; teme cioè di essere usato dagli “alleati” in termini tali da mettere in crisi una strategia che per la Germania si è rivelata appunto vincente oltre ogni rosea aspettativa – soprattutto se si pensa alle sue disastrose condizioni postbelliche.
Stringere eccellenti rapporti economici e politici con la Russia rientrava com’è noto in questa intelligente strategia che tanto irritava gli americani (dalla fine degli anni Sessanta in poi), costretti loro malgrado a supportare la vincente politica “pacifista” di Berlino criticata da Washington con la solita lamentela: è comodo e assai profittevole affettando pose “pacifiste” potendo contare sulla micidiale potenza di fuoco dell’esercito americano! Anche perché all’ombra dell’atomica americana la Germania (insieme al Giappone) è diventata nel frattempo una rivale davvero temibile del capitalismo americano, che peraltro non ha lesinato sforzi nel tentativo di azzoppare la capacità espansiva del capitale tedesco – e giapponese, soprattutto a cominciare dalla seconda metà degli anni Settanta, arrivando perfino, agli inizi degli anni Novanta, a far balenare l’analogia tra il Made in Japan e il “proditorio” attacco giapponese a Pearl Harbour. Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso l’ascesa del Celeste Capitalismo era ancora lontana da venire, anche se le premesse c’erano già tutte. In effetti, l’eccezionale sviluppo del capitalismo cinese ha di molto ridimensionato il peso specifico della Germania e del Giappone, oltre che quello degli Stati Uniti, of course. Possiamo senza troppo esagerare o sbagliare di un mondo prima e dopo l’ascesa della Cina ai vertici della competizione capitalistica (o imperialistica: due termini per lo stesso concetto e per la stessa realtà) mondiale.
Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica la Russia è stata ricondotta dal processo sociale mondiale alla sua reale capacità sistemica, la quale si è dimostrata incapace di dominare la parte di Europa ottenuta alla fine del secondo macello imperialista con la forza delle armi e trattando con l’ex alleato americano. Com’è noto, Stalin aveva tentato l’impresa puntando sull’ex alleato nazista, con il pessimo risultato che conosciamo. L’esito della guerra in corso ci dirà se le velleità imperialistiche di Mosca devono subire un nuovo durissimo colpo. «La Russia deve essere sconfitta ma non umiliata»: queste sono solo chiacchiere che nascondono il timore di Parigi, Berlino e Roma di dover far fronte a una destabilizzazione della nazione russa dagli esiti imprevedibili.
Prima di abbandonare il buon vecchio sentiero, la Germania farà di tutto per non lasciarsi tirare da una parte o dall’altra, sacrificando i suoi peculiari interessi nazionali sull’altare di presunti “valori occidentali condivisi”, all’ombra dei quali si nascondono gli altrui interessi nazionali, e se e quando ciò dovesse alla fine realizzarsi non è affatto certo che i suoi odierni “alleati” avranno di che festeggiare.
Scrive Enrico Oliari: «Ancora una volta Washington comanda e dall’Europa si ubbidisce. Così, invece di cercare la quadratura della pace, vera mission naturale dell’Unione Europea, nel conflitto ucraino arrivano ora i carri armati pesanti, cosa che comporterà senza dubbio l’azione simmetrica di Mosca» (Notizie Geopolitiche). Parlare di una Washington che comanda e di un’Europa che si limita ad ubbidire è quantomeno riduttivo, oltremodo semplicistico, e soprattutto è risibile sostenere che la «vera mission naturale dell’Unione Europea» sia «la quadratura della pace», concetto che può stare giusto nella testa degli apologeti dell’Unione Europea come polo imperialista unitario. Il presunto “pacifismo” dell’UE si spiega benissimo con i rapporti di forza stabiliti dalla Seconda guerra mondiale (vinta, com’è noto, dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica) e con gli interessi pelosissimi dei Paesi europei, i quali hanno saputo sfruttare sapientemente il bellicismo degli Stati Uniti. Chi per analizzare i complessi fenomeni geopolitici si serve dello schema ideologico Padrone-Servo sciocco (usatissimo dagli antiamericani di ieri e di oggi) è destinato a non capire la reale dinamica dei processi sociali che si danno su scala mondiale.
Scriveva il grande scienziato tedesco Werner Heisenberg: «Chiunque parli in favore della pace senza esporre con precisione le condizioni di questa pace non può andare esente dal sospetto di parlare soltanto di quel genere di pace che torni ad esclusivo vantaggio suo e del suo gruppo» (Fisica e filosofia, 1958). È difficile dargli torto, tanto più che nel capitalismo la parola “pace” ha un significato quantomeno ambiguo e certamente essa si presta facilmente alla propaganda e alla mistificazione.Tra l’altro mentre il fisico tedesco scriveva quelle parole in Europa (soprattutto in Italia) imperversavano i cosiddetti Partigiani della Pace devoti al noto pacifista Giuseppe Stalin.
Che oggi su tutti i giornali e in tutte le trasmissioni televisive dedicate al dibattito politico si evochi la possibilità di un conflitto mondiale combattuto anche con le armi atomiche, come se questa fosse appunto una possibilità fra le altre (tregua, conflitto congelato, trattativa diplomatica, guerra d’attrito, ecc.), ci deve far riflettere sul grado di disumanità raggiunto da questa società e, soprattutto, sul livello di assuefazione al paggio esibito dalla cosiddetta opinione pubblica mondiale. Civettiamo con l’Apocalisse Nucleare come se fosse la cosa più normale di questo mondo, e in effetti lo è, proprio perché abbiamo a che fare con una società strutturalmente (o radicalmente) violenta, oppressiva, irrazionale, in una sola parola: disumana.
Questo anche a proposito di “Giorno della Memoria”: lungi dall’essere state sradicate, le cause che resero allora possibile lo sterminio, organizzato scientificamente e con teutonica serietà, di uomini e donne, di vecchi e bambini sono più vive che mai, e nessuna persona che abbia un briciolo di coscienza critica può escludere, in linea di principio, la più nefasta delle loro conseguenze – magari tale da fare impallidire la stessa mostruosa vicenda che precipitò nell’abisso soprattutto gli ebrei, da secoli preziosa materia prima per i costruttori di capri espiatori e per chi è interessato ad alimentare il cieco odio sociale da usare contro la prospettiva dell’emancipazione umana da ogni forma di sfruttamento, di oppressione e di sofferenza. A proposito dei campi di sterminio nazisti Primo Levi parlò di «vergogna di essere uomini»; del resto, non è possibile autentica umanità nella società radicalmente disumana. Più che di memoria abbiamo insomma bisogno di coscienza critica, di un pensiero cioè che ci faccia comprendere l’essenza della Società-Mondo nel cui seno siamo stati gettati. Come ho scritto altre volte, a mio modo di vedere il male assoluto è l’esistenza della società classista, soprattutto oggi che il Dominio ha a disposizione strumenti di distruzione di massa in grado di fare impallidire l’inferno raccontato dagli scrittori d’ogni epoca.
Quanto ho appena scritto, mi consente di concludere affermando che il concetto di pace ha il suo radicale opposto non nel concetto di guerra ma in quello di divisione classista degli esseri umani. La violenza, comunque concettualizzata (economica, politica, militare, psicologica, in una sola parola: sociale), ha infatti come suo fondamentale presupposto la società divisa in classi, il vigente rapporto sociale capitalistico di dominio e di sfruttamento degli uomini e della natura. Non c’è pace senza umanità.
ESCALATION!
«Il teorema sulle armi, secondo il ministro della Difesa Guido Crosetto, è semplice ed è racchiuso in un ragionamento che fa gelare il respiro: “Vorrei parlare a quelli che dicono ‘dando le armi all’Ucraina, noi alimentiamo una escalation verso la Terza guerra mondiale’. Io vi dico quando secondo me inizierà la Terza guerra mondiale. Inizierebbe nel momento in cui i carri armati russi arrivassero a Kiev e ai confini dell’Europa. […] Tra meno di un mese, il 24 febbraio, sarà un anno dall’inizio dell’invasione ordinata da Vladimir Putin. L’esercito russo minaccia di inasprire i bombardamenti su tutta l’Ucraina. L’Europa, gli Stati Uniti e la Nato non possono permettere che Mosca riesca a sfondare a Ovest. […] La guerra costringe a sviluppare ulteriori progetti industriali. Non solo. Capovolge gli scenari, impegna energie su altri fronti. Come il Mediterraneo allargato. […] Francia e Italia sono convinti che è dal fronte Sud che le minacce future arriveranno in Europa. La destabilizzazione dell’area, la crisi migratoria, il ricatto terroristico e il cambiamento climatico sono fattori di rischio”» (La Stampa, 28/01/2023).
In realtà siamo già nel pieno di una guerra (sistemica) mondiale che ha nel conflitto armato, più o meno “convenzionale” e regionale, la sua più micidiale quanto coerente espressione. Il Ministro Crosetto ci prospetta un futuro davvero interessante, non c’è che dire.
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