TUTTO BENE NEL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI

Earthquake in southeast TurkeyEcco una fisica ben crudele. Si è in grande
imbarazzo nell’indovinare come le leggi del
moto possano provocare una catastrofe così
spaventosa nel migliore dei mondi possibili.
(Voltaire).

La guerra come terremoto, il terremoto come guerra, ha scritto acutamente Adriano Sofri sul Foglio di oggi. «La sola prima scossa ha avuto la potenza “di 32 bombe atomiche di Hiroshima” – è la nostra unità di misura, ce la siamo fatta con le nostre mani». Un’unità di misura che la dice lunga sulla nostra disgraziatissima condizione esistenziale.

Difficilmente abbiamo avuto modo di assistere a un’immane catastrofe naturale che di naturale ha davvero ben poco. In ogni caso, e in primo luogo per rispettare quel poco di intelligenza che credo di avere, personalmente mi rifiuto di parlare del cataclisma di questi giorni nei termini di una  catastrofe naturale.

Per l’ennesima volta Mario Tozzi ha – inutilmente – ricordato che «il terremoto non uccide, è la casa costruita male e nel posto sbagliato che uccide». E infatti sono andate giù come castelli di sabbia migliaia di case costruite con materiali di pessima qualità, senza alcun rispetto per le norme antisismiche e nel luogo più esposto al mondo al rischio sismico, cioè all’incrocio di ben tre (ma alcuni sostengono quattro) placche continentali le cui faglie deformano il terreno accumulando un’immane energia che presto o tardi deve scaricarsi con cieca (naturale) necessità. È da secoli che le persone che vivono da quelle parti aspettano l’evento catastrofico. Dopo il terremoto che devastò un’ampia regione turca nel 1999 (allora si contarono ventimila morti), geologi, architetti, urbanisti e ambientalisti dissero e scrissero che bisognava farla finita di pensare solo al profitto, senza pensare alla vita delle persone. Ovviamente quelle cassandre non furono ascoltate, e anzi alcuni di loro finirono in galera.

Ad approfittare della sciagura, che rovinò completamente la reputazione del governo turco d’allora, fu soprattutto il Partito di Recep Tayyip Erdogan, che infatti dopo qualche anno si installò al potere. Con il nuovo autocrate di Ankara il boom della speculazione edilizia ha toccato un nuovo apice, e molti edifici, anche pubblici, costruiti negli ultimi venti anni sono andati giù in pochi secondi. La posizione di Erdogan è particolarmente precaria perché da anni il Paese è attraversato da una grave crisi economica che nelle continue svalutazioni della lira turca la sua più visibile manifestazione. Il suo frenetico attivismo diplomatico sul fronte della carneficina russo-ucraina si spiega anche con il tentativo di recuperare consensi politici  in vista delle presidenziali che si terranno a maggio di quest’anno.

Della Siria rimane davvero poco da dire, nel senso che è difficile immaginare uno scenario più apocalittico di quello che ci consegna oggi la realtà. Dopo la distruzione bellica (anche qui i soldati russi hanno portato a compimento un eccellente lavoro!), la pandemia da Coronavirus, la carestia, il colera e un inverno particolarmente freddo, ecco arrivare la scossa tellurica di inaudita magnitudine. Piove, anzi grandina sul bagnato, come sempre e ovunque del resto. C’è ancora qualcosa da bombardare ad Aleppo? mi chiedevo su un post del 2016. Intanto pare che il sanguinario Assad, spalleggiato da Mosca e Teheran e grande esperto nell’uso delle armi chimiche da usare contro la popolazione inerme, stia approfittando della catastrofe per conquistare nuove posizioni contro i nemici interni. Sua figlia si è premurata di ricordare all’opinione pubblica mondiale che «i ribelli» finiti nella morsa del cataclisma non vanno aiutati. «Gli aiuti devono passare da Damasco», ha dichiarato il padre. In queste ore si parla di «geopolitica degli aiuti»; intanto la gente crepa sotto le macerie, oppure sotto la morsa della fame e del freddo.

Per fortuna si tratta di una sventura lontana! E poi possiamo sempre rifarci il morale con gli immancabili episodi miracolosi: «Ritrovato vivo un bambino sepolto da due giorni sotto le macerie». Il resto della famiglia purtroppo non ha potuto usufruire del bonus miracolo, ma il miracolo, com’è noto, è una risorsa scarsa. «E poi bisogna sempre essere ottimisti e resilienti, bisogna sempre guardare al lato pieno del bicchiere». Va bene, chiudo un occhio sulla cinica discrezionalità del Fato (o di chi ne fa le veci), però resiliente no, proprio non ci riesco!

«Come stai?» mi ha chiesto ieri sera mia madre. Le ho risposto citando Voltaire: «Non oso più lamentarmi delle mie coliche dopo questa sventura». Il grande filosofo francese pensava al terremoto che distrusse Lisbona il1° novembre 1755. «Lisbona è distrutta, e a Parigi si danza». Non solo a Parigi, per la verità.

Aggiunta del 10/02/2023

UN DESTINO CINICO E BARO!

«Questo è il destino. Questa è la natura»: si tratta di un “concetto” assai poco originale – e del tutto infondato, all’avviso di chi scrive – espresso dal Presidente della Turchia Erdogan alcune ore dopo l’evento catastrofico. Intanto l’autocrate si premurava a mettere la museruola ai social perché non diffondessero notizie di ritardi dei soccorsi e di proteste fra i terremotati. In tal modo egli ha ostacolato l’intervento dei soccorritori nei luoghi più devastati dal terremoto. E si sa che solo poche ore possono fare la differenza tra la vita e la morte di molte persone in queste tragiche occasioni.

Luoghi devastati dal terremoto o dal loro contesto sociale? L’inviato di Radio Radicale in Turchia Mariano Giustino non ha dubbi a tal proposito: «Il numero di morti è salito a 18.342 e 74.242 sono i feriti. Si tratta del disastro sismico e politico più mortale della Turchia dal 1939. “Questo è il destino. Questa è la natura»” ha detto Erdogan; anche in occasione dei disastri nelle miniere turche il Presidente ha parlato di destino e di natura. No signor Presidente, il destino e la natura qui non c’entrano niente. Non parliamo di un elevato numero di morti per il terremoto o in conseguenza del terremoto; per favore  non propagandiamo questa sciocchezza, questa fake news. Si muore perché si rimane schiacciati da mattoni e da pietre. I terremoti di per sé non provocherebbero così tante vittime se non vi fossero state in passato sciagurate politiche speculative, corruttive, se non ci fosse stata una mancanza di prevenzione antisismica. Si deve parlare dunque di morti in occasione di un evento sismico e non di morti causate dall’evento sismico. Insomma si muore per responsabilità umana». Com’è noto, chi scrive declina in termini squisitamente sociali questa responsabilità.

4 pensieri su “TUTTO BENE NEL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI

  1. Caro Sebastiano, porrei maggiore attenzione nell’avvicinamento alla critica “tozziana”. Se è vero, come è vero, che sono le case ad uccidere e non il terremoto, si dimentica tutta la questione sociale che non può essere ridotta, in modo semplicistico, al profitto. Lo abbiamo sperimentato con la pandemia da Coronavirus che, in questa società, è molto più importante attribuire grande importanza alla soluzione tecnologica piuttosto che ipotizzare anche il rovesciamento del modo di produzione. Dal nostro punto di vista è, quantomeno, problematico ipotizzare il superamento del modo di produzione capitalistico che non metta in discussione anche il feticismo tecnologico. L’assillo nella costruzione di casermoni che reggano alla devastazione “naturale” e la critica alla scarsa qualità costruttiva è un’opposizione tutta Interna alla società borghese.

    T’abbraccio

  2. Assolutamente d’accordo con Egidio. La citazione tozziana è puramente strumentale, e serve proprio a mettere al centro della riflessione la natura capitalistica, e non genericamente sociale (o antropologica), delle catastrofi cosiddette naturali. Altre volte ho citato “polemicamente” Mario Tozzi. Un solo esempio: «”Abusi, incuria e colate di cemento: la colpa è dell’uomo, non della natura” (M. Tozzi, La Stampa). Si scrive “uomo”, si legge Capitale. Mutatis mutandis, la stessa cosa vale a proposito della parola “Coronavirus” e ai disastri sociali a essa associati» (Saldi di fine stagione, 4/10/2020). Ti ringrazio e ti auguro una buona serata. Ciao!

  3. CRIMINALE È IL CAPITALISMO.

    Scrive Giorgio Ferrari (Avvenire, 11/02/2023):

    «Asserragliato nel Büyük Saray, l’immane Gran Serraglio dalle oltre mille stanze che si è fatto costruire alle porte di Ankara a immagine della sua smisurata ambizione, Recep Tayyp Erdogan si sarà certamente domandato – anche solo per un fuggevole istante – come il sisma che ha sfigurato le provincie meridionali dell’Anatolia abbia avuto così facilmente ragione di quei condomini, di quei falansteri a dodici piani, di quelle fughe di torri tanto simili alle “vele” di Scampia che oggi giacciono nella polvere, prone e inginocchiate di fronte alla forza potente di una natura matrigna e senza riguardi.
    […] C’è stato il boom economico, all’interno del quale si è gonfiato il boom edilizio. Accompagnato da un rigoglio edilizio che ha fatto la fortuna di una massa di imprenditori e contemporaneamente ha deturpato l’intero Paese sotto una colata di cemento. In mezzo, in mezzo a quella marea montante di ricchezza e di affari si è insinuata la speculazione, la malversazione, l’incoscienza, l’incapacità criminale di affaristi che si sono trasformati in imprenditori edili innalzando fragili cattedrali con materiali scadenti e nessuna precauzione antisismica. Le si vede a occhio nudo, nelle tragiche immagini che giungono dai luoghi del sisma: sono i palazzi caduti sul fianco, a pochi metri dei quali ve ne sono altri che sono rimasti in piedi. Questi ultimi sono stati costruiti a norma, i primi invece no, nonostante una legge promulgata nel 2012 dopo il rovinoso terremoto del 1999; una legge che impone criteri antisismici severissimi. Più che sul mancato sogno di restaurazione neo-ottomana, Erdogan ha costruito gran parte del proprio consenso elettorale su questa ordalia di cemento e sullo scandaloso condono che ne è seguito. Un consenso che ha visto come destinatari privilegiati, i Beyaz Türkler, quei “turchi bianchi” rappresentati dalla classe borghese colta e cosmopolita, che ha garantito al sultano una longevità politica inusuale».

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