DUE PAROLE SU LANDINI

Nel Suo discorso di chiusura del XIX Congresso Nazionale del sindacato collaborazionista di “sinistra” che lo ha riconfermato alla segreteria, Maurizio Landini ha cercato subito di smarcarsi dalla Premier Giorgia Meloni sul fondamentale tema del lavoro: «C’è un punto di fondo che va chiarito, la ricchezza la produce chi lavora. Qui c’è un punto di fondo, perché nel momento in cui si nega questa banale verità e si teorizza che la ricchezza la producono l’impresa e la finanza si nega un principio di fondo. Bisogna rimettere al centro il lavoro e la persona per cambiare il modello economico. Nonostante il numero di persone che per vivere devono lavorare sia in aumento, negli anni c’è stata una frantumazione dei diritti e una concentrazione della ricchezza in mano a pochi. Questo significa che il modello di società che si costruisce deve avere un modello nel quale la ricchezza prodotta deve essere redistribuita. Quando diciamo che il lavoro si è svalorizzato fino a diventare merce, allora questo è il punto da cui bisogna ripartire». Il senso politico reale di queste parole si comprende alla luce di quanto Landini aveva detto qualche secondo prima: «Ringrazio Sergio Mattarella, che con il suo messaggio al Congresso ha riconfermato il valore della nostra Costituzione e del lavoro». Com’è noto, «Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale» (Art. 87). Dice Landini: «La Presidente del Consiglio ha ricordato ieri il giorno dell’unità nazionale. Un valore importante, ma vorrei che se ne ricordasse non solo il 17 marzo, ma il 18, il 19, il 20, il 21. C’è una contraddizione: come si fa a votare l’autonomia differenziata e poi venire qui a parlare di unità nazionale?» Cerco di estrarre da quanto riportato alcune brevissime considerazioni.  

«La ricchezza la produce chi lavora»: non c’è alcun dubbio! Si tratta della ricchezza sociale che nella sua forma attuale (capitalistica) presuppone e pone sempre di nuovo lo sfruttamento dei lavoratori da parte del Capitale. Creare ricchezza sotto il presupposto degli attuali rapporti sociali di produzione, che oggi dominano su scala planetaria, significa creare giorno dopo giorno la seguente “banale” realtà: chi è nullatenente è costretto a vendere una capacità lavorativa di qualche tipo, “intellettuale” o “manuale” che sia, alla classe che detiene il monopolio dei cosiddetti fattori della produzione. Come diceva l’uomo con la barba, a un polo i nullatenenti, al polo opposto i funzionari del capitale. « In Italia, in Europa e nel mondo il numero di persone che per vivere devono lavorare è in aumento»: esattissimo! Rinvio al post Non ci sono più le classi di una volta!

Quando l’evocato comunista di Treviri parlava di miseria sociale, egli alludeva proprio al modo in cui si crea la ricchezza sociale nella società capitalistica, ossia attraverso lo sfruttamento del lavoro umano, la sua mercificazione, la sua alienazione esistenziale. Il concetto marxiano di miseria sociale non ha infatti nulla a che fare con il livello, alto o basso del salario, come invece affermavano i progressisti del suo tempo e come continuano a dire i progressisti dei nostri tempi, secondo i quali il rapporto di sfruttamento “scatterebbe” sotto una determinata soglia; quel concetto è invece radicato nel lavoro salariato in quanto tale, il quale appunto presuppone e pone sempre di nuovo un rapporto sociale di sfruttamento e di dominio, sugli uomini e sulla natura. Il lavoro di cui parla la nostra Costituzione è proprio questo tipo di lavoro: senza volerlo, essa confessa alla società che la Repubblica [capitalistica] si fonda sullo sfruttamento dei lavoratori. Posta questa “banale” realtà, la realtà del lavoro salariato, la precarizzazione del lavoro e la stessa disoccupazione non rappresentano affatto una contraddizione rispetto a quanto sostiene l’Art. 1 della «Costituzione [capitalistica] più bella del mondo» (gli apologeti del capitalismo si accontentano di pochissimo!) ma piuttosto una sua conferma.

Al contrario di quanto sostiene l’ideologia progressista, la natura di merce del lavoro non rappresenta dunque un’aberrazione sociale e morale, ma è al contrario «una tremenda realtà» (Marx) che costituisce la norma nella società sussunta sotto il rapporto sociale capitalistico di produzione – di “beni e sevizi”. Dal punto di vista dell’anticapitalista (che ovviamente non è il punto di vista di Landini), avere come fine ultimo la «redistribuzione della ricchezza» significa difendere “da sinistra” l’odierno status quo sociale.

C’è da dire, per concludere, che la «frantumazione dei diritti» dei lavoratori è stata assecondata anche dal sindacalismo collaborazionista, Cgil in primis. Il fatto che il “simpatico” Segretario della Cgil si accrediti come un devoto dell’unità nazionale, e che rinfacci alla “destrorsa” Meloni di non esserlo abbastanza, ebbene questo è perfettamente coerente con il suo ruolo di funzionario del sistema capitalistico.

I «PRINCIPI FONDATIVI» DELLA CGIL

LAVORO POVERO E MISERIA CRESCENTE

ANDIAMOCI PIANO!

C’È DISAGIO E DISAGIO! Alcune riflessioni sulla Teoria della classe disagiata.

SE QUESTO CAPITALE È UMANO

Dialettica del dominio capitalistico

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