SALTO TECNOLOGICO O SALTO UMANO?

Scrive Vincenzo Ambriola su Avvenire: «Il racconto della guerra del Vietnam, presentato con crudezza da Coppola e Kubrick in Apocalypse Now e Full Metal Jacket, aveva lo scopo di denunciare gli irrimediabili danni provocati da quel conflitto. Un’entità digitale avrebbe saputo cogliere volontariamente questi aspetti o, animata da stimoli arbitrari e guidata da un enorme archivio di immagini, avrebbe agito in maniera inconsapevole? L’inserimento di un sistema etico in un’entità artificiale autonoma richiede un salto tecnologico attualmente ritenuto impossibile. “Per le AI non è pensabile alcuna forma di etica automatica o implicita”, così scrive Paolo Benanti in Human in the loop – Decisioni umane e intelligenze artificiali (Mondadori Università). […] Diamo per scontato che le entità digitali operino nel rispetto di regole che proteggono gli umani. Chi costruisce tali entità deve rispettare standard stringenti che garantiscono aspetti qualitativi elencati minuziosamente dall’ingegneria del software, tra cui sicurezza, innocuità, rispetto della privacy. Si parla esplicitamente di etica “per” le entità digitali, nel senso che il sistema di valori deve essere presente e rispettato da parte di chi tali entità progetta e realizza. Ma quando diventano “intelligenti” e autonome, allora si parla di etica “delle” entità digitali, un’etica che deve controllarne i comportamenti. Al momento non sappiamo costruire questa forma di etica, perché inevitabilmente ricadiamo nell’altra, quella di chi le entità le realizza. Detta in maniera più semplice, l’etica non si può programmare razionalmente perché scaturisce dall’esperienza e dal libero arbitrio umano. “Le risposte dovremo trovarle noi, dal momento che le tecnologie che stiamo creando non possono fornirci alcuna risposta a riguardo”, afferma Simone Natale nell’introduzione a Macchine ingannevoli (Einaudi). Studiare le entità digitali senza pregiudizi e in maniera interdisciplinare sembra, per ora, la buona indicazione».

I grovigli concettuali che si trovano nei passi citati sorgono a mio avviso da una lettura feticistica e del tutto superficiale del processo sociale, la quale induce il pensiero a scambiare gli effetti con le cause, il prodotto con il suo produttore. E qui già incalza una fondamentale domanda: sotto quali presupposti sociali il produttore realizza i suoi prodotti?

Il problema “etico” e politico qui evocato non sta nel pericolo insito in una supposta autonomizzazione della cosiddetta Intelligenza Artificiale, ma nella realtà di una società (capitalistica) che non consente agli esseri umani di padroneggiare razionalmente il processo sociale, ma ne è anzi largamente dominato. In questo peculiare – critico e non razionalistico – senso è legittimo dire che, come umanità, oggi manchiamo di intelligenza, nonostante siamo in grado di progettare e produrre macchine sempre più “intelligenti”. È insomma l’umanità che deve conquistare un’autentica autonomia esistenziale e un “libero arbitrio” degno di questo nome, mentre oggi essa è, nelle sue attività più importanti e vitali, controllata in modo sempre più stringente e oppressivo da una potenza sociale «estranea e ostile» (Marx). Noi non produciamo (anche l’AI) secondo umanità (ossia secondo razionalità, libertà, amore per il prossimo e per la natura) ma secondo le necessità economico-sociali informate dal rapporto sociale capitalistico. Si tratta insomma non di costruire «entità digitali [che] operino nel rispetto di regole che proteggono gli umani», ma di costruire una Comunità autenticamente umana.

Negli anni Cinquanta del secolo scorso Werner Heisenberg, riflettendo sul «ruolo della fisica moderna nell’attuale sviluppo umano», scriveva che «l’intero sviluppo del progresso tecnico si è per lungo tempo sottratto a un qualsiasi controllo da parte di forze umane», e consigliava la società del tempo ad accettare questo fatto «come uno dei tratti più essenziali del nostro tempo» (Fisica e filosofia, 1958). Ebbene bisogna estendere e generalizzare all’intera prassi sociale quanto denunciato dal grande fisico tedesco, anch’egli turbato dalle implicazioni politico-militari delle più avanzate ricerche scientifiche sull’atomo.

Oggi «gli umani» non sono minacciati, sfruttati e disumanizzati dalle “macchine intelligenti” ma dal Moloch capitalistico, il quale ha il potere di infantilizzarci, ossia di lasciarci appunto in balìa di processi sociali che non riusciamo né a comprendere nella loro reale essenza (storica, sociale, esistenziale), né a padroneggiare sul terreno della prassi – economica, tecnoscientifica, politica, geopolitica, relazionale. Sotto questo aspetto, le riflessioni di carattere filosofico e politico intorno alla possibilità che il prodotto “intelligente” possa un domani dominare il suo – sciocco? – produttore colgono, sebbene senza che gli autori ne abbiano alcuna contezza, una realtà che sperimentiamo tutti i giorni.  

«Per le AI non è pensabile alcuna forma di etica automatica o implicita»: e difatti il problema non è se e quanta «etica automatica o implicita» è possibile mettere dentro una macchina “intelligente” (un problema sciocco già nella sua stessa formulazione); il problema è, almeno per l’anticapitalista, riflettere sui fondamenti sociali di un’etica autenticamente umana. Il salto di cui si parla nell’artico citato deve avere insomma una natura umana (storica, sociale), non tecnologica. Se la comunità umana non cade sotto il «controllo da parte di forze umane», per l’umanità tutto il peggio è non solo possibile ma anche altamente probabile.

IL SENSO DELLA VITA

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3 pensieri su “SALTO TECNOLOGICO O SALTO UMANO?

  1. IL GENIO DEL CAPITALE

    Scrive Riccardo Luna (La Stampa):
    «Servirebbe una moratoria, una pausa di riflessione, ma non ci sarà: il genio è ormai uscito dalla lampada». Non c’è dubbio: il Genio è uscito dalla lampada, e ormai da moltissimo tempo; infatti ne parlava già un certo Marx. Inutile dire a questo punto che il Genio di cui si parla porta il nome di Capitale, non di Intelligenza Artificiale.
    «Accanto a Open AI, che ha sviluppato Chat-GPT, ci sono decine di startup che stanno sviluppando strumenti analoghi e centinaia di centri di ricerca nel mondo lavorano sullo stesso codice sorgente che si sono scambiati via Internet. Questa cosa ormai non si può fermare, e provare a fermarla sarebbe un favore alla Cina che, dopo aver stravinto la battaglia dei social network con TikTok, su questo terreno arranca. Non si può fermare ma si deve regolamentare. Far sì che venga usata per migliorare il mondo».
    Il capitalismo “dal volto umano” (o meno disumano: bisogna essere realisti!) è da sempre la chimera reazionaria degli “umanisti” indigenti di intelligenza critica (radicale, rivoluzionaria), la sola in grado di capire di cosa parliamo quando affrontiamo l’argomento del giorno: la cosiddetta Intelligenza Artificiale, la malabestia che secondo alcuni rischia di farci «perdere il controllo della nostra civiltà» (capitalistica!).

    «Se il prodotto del lavoro mi è estraneo, mi sta di fronte come una potenza estranea, a chi mai appartiene? Se un’attività che è mia non appartiene a me, ed è un’attività altrui, un’attività coatta, a chi mai appartiene? Ad un essere diverso da me. Ma chi è questo essere? Son forse gli dèi? Non già gli dèi, non la natura, ma soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra dell’uomo. Se quindi egli sta in rapporto al prodotto del suo lavoro, al suo lavoro oggettivato come in rapporto ad un oggetto estraneo, ostile, potente, indipendente da lui, sta in rapporto ad esso in modo che padrone di questo oggetto è un altro uomo, a lui estraneo, ostile, potente e indipendente da lui, ogni autoestraniazione dell’uomo da sé e dalla natura si rivela nel rapporto che egli stabilisce tra sé e la natura da un lato e gli altri uomini, distinti da lui, dall’altro» (K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844).

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