IN QUESTA GRANDE EPOCA

«Nella sua versione cartacea del 20 giugno il Guardian ha pubblicato una lista di 34.361 persone morte sulla rotta verso l’Europa: un numero certamente incompleto e impreciso, ma che ci dà una misura della tragedia».

Sopraffatte dalla vergogna e dal dolore, le acque del Mediterraneo alla fine si ritirarono, e lasciarono libero allo sguardo l’orrore che tutti noi conoscevamo fin dall’inizio. Dov’è la vergogna? dov’è il dolore? «Piangerò più tardi, dopo la partita. E siccome sono buono, forse adotterò a distanza qualche povero disgraziato: in fondo, siamo tutti figli di Dio». Come no! E allora, tanto vale volgere lo sguardo verso l’Eterno.

«E Mosè stese la sua mano sopra il mare; e il Signore fece con un potente vento orientale ritrarre il mare, e ridusse il mare in asciutto, e le acque furono spartite. E i figliuoli d’Israele entrarono in mezzo al mare per l’asciutto» (Esodo). Perché non ritorni a soffiare, potente vento orientale? «Il progresso, sotto i cui piedi l’erba si mette a lutto e il bosco diventa carta da cui crescono fogli di giornale, ha subordinato la vita ai viveri, trasformando noi stessi nelle viti di ricambio dei nostri utensili» (K. Kraus, In questa grande epoca, 1914).

Dopo il cazzeggio mistico, segnalo un interessante articolo di Angelo Panebianco pubblicato oggi dal Corriere della Sera. Non è esattamente un invito all’ottimismo, soprattutto per i più giovani, ma aiuta a comprendere l’aria che tira in questo pessimo mondo. Anzi: In questa grande epoca, «In quest’epoca in cui accadono cose che nessuno aveva immaginato, in cui deve accadere quello che nessuno riesce neanche più a immaginare, e se qualcuno ci riuscisse, allora non accadrebbe; in quest’epoca seria, che è morta dal ridere di fronte alla possibilità di poterlo diventare sul serio; che, sorpresa dalla propria tragicità, tenta di trovare distrazioni, e quando si coglie sul fatto cerca le parole; in quest’epoca rumorosa, che rimbomba della spaventevole sinfonia di fatti che producono cronache e cronache che causano fatti» (K. Kraus).

Dimenticavo di citare l’opera di Nazzaro e Ferrara (Mediterraneo), la cui copertina è stata da me ignobilmente ritoccata: me ne scuso! «L’opera letteraria di Nazzaro e Ferrara ha il pregio di svelare la verità e di ribaltare la narrazione fin qui diffusa: il mare diventa il mezzo, il viaggio e l’orizzonte. Per tutte queste ragioni, come Croce Rossa Italiana, abbiamo deciso di adottare questo libro. È anche questo il nostro compito: oltre a soccorrere persone in condizioni di vulnerabilità, dobbiamo lavorare affinché si creino comunità sempre più solidali e coese, capaci di mettere al centro l’essere umano». Vedi, e io che ho sempre sparato contro la Croce R«ossa!

«[…] Coloro che hanno vissuto sulla propria pelle il tormento della guerra faranno di tutto per impedire che essa ritorni e trasmetteranno, con i racconti delle proprie tribolazioni e delle tragedie vissute, la stessa disponibilità d’animo e la stessa volontà alla generazione successiva. Ma dopo che coloro che hanno vissuto il dramma sono scomparsi, quando non ci sono più testimoni diretti, le generazioni subentranti sono ormai, per così dire, «vergini», di quel dramma ne hanno sentito parlare (forse) solo a scuola. Bisogna essere ottusi per pensare che i nomi di Hitler o di Stalin possano evocare chissà quale forma di raccapriccio in un giovane di oggi. Perché mai quei nomi dovrebbero suscitare in lui emozioni diverse da quello, poniamo, di Gengis Khan?
La maledizione della terza e della quarta generazione consiste in questo: le prudenze di un tempo vengono abbandonate poiché i fantasmi del passato sono svaniti. Le nuove generazioni si avviano così, in modo incosciente, a ripercorrere le orme di coloro che, diversi decenni prima, misero in scena il dramma. È a questo “ciclo generazionale” che va imputata anche la diffusione della falsa idea secondo cui l’Europa, non conoscendo più guerre generali dal 1945, sarebbe entrata, in modo irreversibile, in un’era di «pace perpetua». Anziché riconoscere che la lunga pace post-1945 si deve a un concorso di condizioni eccezionali, che potrebbero svanire prima o poi, molti pensano che non ci sia più alcuna possibilità che gli incubi di un tempo ritornino.
I sovranisti scherzano con il fuoco. Ammesso che, prima o poi, si possa ricostituire qui in Europa un mondo di Stati pienamente sovrani, è certo che in quel mondo la guerra tornerebbe a essere la regola. Altro che pace perpetua. I sovranisti sono vittime di una contraddizione. Si dichiarano solidali l’un con l’altro: i sovranisti francesi con quelli americani, italiani, inglesi, eccetera. Si ascolti, ad esempio, cosa dice quel piazzista del sovranismo che è Steve Bannon (ex sodale di Donald Trump). In realtà, nel caso che molti di loro (ancor più di quelli già oggi al potere) si trovassero simultaneamente alla guida dei rispettivi Paesi, sarebbe la loro stessa ideologia a spingerli l’uno contro l’altro. Il sovranismo, infatti, concepisce i rapporti internazionali in termini di gioco a somma zero (di tanto guadagna lui, di altrettanto perdo io, e viceversa). Ma se i rapporti internazionali sono solo a somma zero non c’è altra possibilità che la rivalità. Mors tua vita mea: non voglio migranti e quindi voglio che te li tenga tutti tu. Non voglio le tue merci e quindi alzo dazi che ti danneggeranno.
Per evitare di cadere nello stesso vizio — una fuga dalla realtà — che rimproveriamo ai sovranisti, occorre tenere conto di tre circostanze. La prima: il sovranismo è l’estremizzazione di una tendenza che accomuna molte forze, anche quelle dette moderate. Macron e Merkel sono solo più ipocriti di Salvini o del gruppo di Visegrád. Con le loro politiche sulla questione dei migranti hanno favorito il risultato delle elezioni italiane del 4 marzo e stanno contribuendo a mandare all’aria il principio di Schengen sulla libera circolazione in Europa. Il sovranismo è una malattia che in Occidente ha contaminato un po’ tutti. La seconda circostanza riguarda il fatto che in un contesto di interdipendenza internazionale, saturo di legami, i sovranisti, se vogliono combinare qualcosa, devono venire a patti con la realtà. Ed ecco Salvini che invoca «frontiere europee» o che ricorre a fondi europei e all’Onu per intervenire in Libia. La terza circostanza è che il sovranismo si declina diversamente a seconda della forza dei Paesi. Una cosa è essere la superpotenza guidata da Trump, altro è essere un Paese europeo. Se sei l’Italia (e domani, eventualmente, la Francia) dovrai conciliare le velleità sovraniste con la ricerca di un protettore (la Russia). […]
Cosa credete che accadrà se un giorno vinceranno su tutta la linea? Si potrebbe esser tentati di dire: imponiamo a tutti questi incoscienti sovranisti la visione obbligatoria di un bel film di un paio di anni fa: Frantz. Narra di genitori europei che, entusiasticamente, mandarono i propri figli a farsi scannare sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale. Ma bisogna resistere alla tentazione: per un sovranista sarebbe come assistere a una noiosa conferenza su Gengis Khan».

A proposito di sovranismo, ecco cosa scrive un simpatizzante del chávismo che però critica la linea politica di Maduro: «Ma la ragione più vera e profonda del sostegno totale tributato a Maduro da alcune aree politiche in Italia, deriva dalla convinzione che eventuali limiti o contraddizioni vadano messi in secondo piano, di fronte alla forte valenza socialista [sic!] ed antimperialista [risic!] delle politiche di Maduro. In realtà quello del Venezuela é un modello originale ed ibrido, che ancora mantiene le politiche sociali che avviò Chavez, ma dove ancora prevale nella economia il settore privato, e dove resta centrale lo sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie in consorzio con le multinazionali, che però ora sono anche cinesi e russe. La stessa alleanza venezuelana con Russia, Cina, Iran ed ora anche Turchia, mi porta a pensare più che all’antimperialismo, ad una politica nazionalista e di difesa della sovranità. Per carità, legittima, ancor più in una regione devastata dalle “interferenze” degli USA come il Sudamerica, ma chiamiamo le cose col loro nome». Appunto!

 

Scrivevo su un post di qualche mese fa: «Per un Paese come l’Italia l’alternativa non sarebbe, ovviamente, quella tra sudditanza e indipendenza, ma sul tipo di sudditanza che meglio verrebbe incontro agli interessi generali delle classi dominanti nazionali, o di quelle fazioni di esse contingentemente vincenti. Oggi conviene stare con la Germania o con la Russia, con gli Stati Uniti o con la Cina?».

 

 

MARCINELLE 1956, MEDITERRANEO 2017. UNA FACCIA, UNA DISGRAZIA

Ni chiens, ni italiens!

Né cani, né africani!

Né cani, né africani, né omosessuali!

Né cani, né africani, né omosessuali, né…

 

Com’è noto, nell’immediato dopoguerra l’Italia siglò con il Belgio un accordo che prevedeva quote di carbone estratto nelle miniere di quel Paese in cambio di manodopera italiana, a testimonianza del fatto che, come diceva l’uomo con la barba, nel Capitalismo «il lavoro-merce è una tremenda verità». Scriveva Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera del 16 agosto 2016: «Eravamo Poveracci. Partivamo dal Nord, dal Centro e dal Sud con un panino o un’arancia in tasca, fuggivamo dalla povertà. I manifestini rosa che invitavano i ragazzi a emigrare in Belgio promettevano case per le famiglie, assicurazioni e buoni stipendi. Niente fu mantenuto: in Belgio gli operai venivano ospitati nelle baracche dei prigionieri di guerra. Erano partiti per cercare un po’ di benessere ma anche per rimediare alle lacune della manodopera belga che non voleva più scendere in miniera e preferiva lavorare nelle fabbriche. Il governo italiano, nel 1946, aveva firmato un accordo con Bruxelles che prevedeva uno scambio: per 1000 minatori mandati in Belgio, sarebbero arrivate in Italia almeno 2500 tonnellate di carbone. Uno scambio uomini-merce». Marxianamente parlando quest’ultima frase andrebbe riscritta come segue: uno scambio di uomini ridotti a merce con altra merce (materia prima); capitale/lavoro vivo (il mitico “capitale umano”) contro capitale/lavoro morto.

Leggo da qualche parte: «L’8 agosto 1956 nella miniera del Bois du Cazier, in Belgio un incendio causò la morte di 262 minatori di cui 136 italiani. La miniera di Marcinelle è diventata un simbolo e un santuario della memoria per tutti gli emigranti italiani che hanno perso la vita sul lavoro, spesso un lavoro duro, faticoso e pericoloso». La ricostruzione postbellica non fu esattamente un pranzo di gala, da nessuna parte. Ebbene, l’Italia ha fatto di quelle vittime del Capitale e degli interessi nazionali degli eroi, dei soldati-minatori caduti sul fronte del lavoro per mantenere alto l’onore e il prestigio della Nazione: «La memoria di questo tragico evento, che nel nostro Paese celebriamo come Giornata del Sacrificio del lavoro italiano nel mondo [che definizione fascistissima!], deve servire da guida per noi e per i nostri figli. Le nostre comunità all’estero non sono solo viste come destinatarie di servizi, ma anche e soprattutto come una componente essenziale della politica estera dell’Italia». Queste le dichiarazioni rilasciate dal sottosegretario agli Affari Esteri, Vincenzo Amendola, nel corso della commemorazione delle vittime di Marcinelle. Per quanto mi riguarda la nazionalità di quei salariati uccisi dai rapporti sociali capitalistici non ha alcuna importanza; «Non dimenticare Marcinelle» per me non significa in alcun modo sostenere le politiche di chi cerca di gestire le contraddizioni sociali ai fini della difesa dello status quo sociale implementando una strategia “buonista” («Gli immigrati fanno i lavori che noi italiani non vogliamo più fare, frenano il calo demografico nel Paesi ricchi e ci pagano le pensioni!»); né significa, ovviamente, tessere l’elogio dell’immigrato italiano “buono” (come i macaronìs!) che sgobbava senza lamentarsi – mentre i negracci che purtroppo riescono a sopravvivere al deserto, ai carnefici dei lager libici e ai pesci del Mediterraneo non hanno voglia di fare nulla di costruttivo!

Il 61esimo anniversario della strage di Marcinelle, celebrato lo scorso 8 agosto, ha offerto ai “buonisti” e ai “cattivisti” che si disputano la scena politica nazionale un’eccellente occasione per esibirsi dinanzi al pubblico dei rispettivi tifosi e detrattori. Come abbiamo visto il fronte buonista ha avuto i suoi campioni nel Presidente della Repubblica Sergio Mattarella («Generazioni di italiani hanno vissuto la gravosa esperienza dell’emigrazione, hanno sofferto per la separazione dalle famiglie d’origine e affrontato condizioni di lavoro non facili, alla ricerca di una piena integrazione nella società di accoglienza . È un motivo di riflessione verso coloro che oggi cercano anche in Italia opportunità che noi trovammo in altri Paesi e che sollecita attenzione e strategie coerenti da parte dell’Unione Europea»), nel Ministro degli Esteri Angelino Alfano («La tragedia di Marcinelle ci dà ancora oggi la forza di lavorare per un’Europa più coesa e solidale, come l’avevano immaginata i padri fondatori. Un’Europa che trae origine e sostanza dal genuino spirito di fratellanza fra i suoi popoli. Mi riferisco in particolare al flusso continuo di migranti disperati che oggi, come allora, cadono troppo spesso vittime») e, dulcis in fundo (ma si fa solo per dire), nell’immancabile Presidente (o Presidenta? o Presidentessa?) della Camera Laura Boldrini: «L’anniversario della tragedia di Marcinelle ci ricorda quando i migranti eravamo noi. Oggi più che mai è nostro dovere non dimenticare». Non dimenticare cosa esattamente? E «noi» e «nostro» in che senso? Ad esempio, chi scrive cosa ha da spartire con i campioni del buonismo appena citati? La nazionalità? Non c’è dubbio; ma è, questo, un connotato anagrafico che sempre chi scrive respinge sul terreno della lotta (si fa quel che può!) anticapitalistica, la quale, come ho già accennato, dissolve ogni appartenenza nazionale, razziale, religiosa e quant’altro per porre al centro dell’attenzione la disumana prassi del Dominio, la maligna entità storico-sociale che rende possibile anche le carneficine, in tempo di guerra come in tempo di – cosiddetta – pace. È questo d’altra parte il filo nero che lega la Marcinelle del 1956 al Mediterraneo del 2017. Ovviamente e come sempre, mutatis mutandis.

Cambiando dunque l’ordine cronologico delle stragi, il colore della pelle degli sventurati e il contesto storico/geopolitico degli eventi qui evocati, il risultato non cambia. E si chiama Capitalismo, la cui dimensione oggi è mondiale. La spinta migratoria che origina soprattutto nell’Africa subsahariana ha moltissimo a che fare con le dimensioni e con la natura invasiva del Capitalismo, il quale genera “scompensi”, magagne e contraddizioni sia là dove esso per così dire abbonda (vedi il cosiddetto Nord del mondo), sia là dove invece esso è asfittico e tarda a decollare, e questo, nella fattispecie, soprattutto a cagione della prassi colonialista e imperialista che vide protagonisti alcuni Paesi europei già a partire dalla fine del XV secolo. L’ineguale sviluppo del Capitalismo ha sempre creato onde di pressione sociale che coinvolgono l’intero pianeta, e che possono manifestarsi anche sottoforma di migrazioni di massa, un fenomeno che, come impariamo fin dalle scuole elementari, se osservato dalla prospettiva storica non ha in sé nulla di eccezionale: il bisogno spinge i popoli a muoversi, da sempre. Oggi questo processo sociale si dispiega nell’epoca caratterizzata dal totalitario dominio dei rapporti sociali capitalistici, e questo connotato storico-sociale gli conferisce la peculiare fenomenologia che ci sta dinanzi.

Ma ritorniamo a Miserabilandia! Dei buonisti abbiamo già detto. Immediata è scattata la rappresaglia dei cattivisti, i quali si sono prodotti nel solito coro: «Vergogna! Vergogna! Vergogna!». «Mattarella si vergogni», ha tuonato appunto il leader leghista Matteo Salvini. «È vergognoso – ha dichiarato Paolo Grimoldi, deputato della Lega Nord e segretario della Lega Lombarda – che il presidente Mattarella nel ricordare la strage di Marcinelle paragoni gli italiani che andavano a sgobbare in Belgio o in altri Stati, dove lavoravano a testa bassa, dormendo in baracche e tuguri, senza creare problemi, agli immigrati richiedenti asilo che noi ospitiamo in alberghi [che invidia!], con cellulari, connessione internet [e io pago!], per farli bighellonare tutto il giorno e avere poi problemi di ordine pubblico, disordini, rivolte come quella avvenuta oggi nel napoletano dove otto immigrati minorenni hanno preso in ostaggio il responsabile della struttura che li ospita. Paragonando questi richiedenti asilo nullafacenti agli italiani morti a Marcinelle il presidente Mattarella infanga la memoria dei nostri connazionali. Si vergogni». Ecco appunto. Per il capogruppo Pd alla Camera, Ettore Rosato, «le parole di Matteo Salvini sono vergognose [ci risiamo!] perché offendono il Presidente Mattarella [e chi se ne frega!] e gli italiani»: nella mia qualità di disfattista rivoluzionario non mi sento offeso neanche un po’ dal vomito razzista che esce dalla bocca di Salvini e gentaglia simile. Questa è robaccia che può eccitare gli animi delle opposte tifoserie che siedono sugli spalti di Miserabilandia. Dal mio punto di vista buonisti e cattivisti pari sono, e rappresentano due opzioni interne all’esigenza di gestire i processi sociali e di controllare la società per garantire la continuità dello status quo sociale – sociale, non meramente politico-istituzionale.

Pare che anche qualche discendente delle vittime di Marcinelle si è sentito offeso dal buonismo presidenziale di Mattarella, da quello governativo di Alfano e da quello istituzionale della Boldrini: «Aldo Carcaci, figlio di un emigrato e oggi deputato belga, ha contattato IlGiornale.it dicendosi esterrefatto da quanto sentito in questa giornata di dolore. “Mi sento offeso dalle parole che ho sentito. Così come è offesa la memoria delle persone che hanno perso la vita nella miniera di Marcinelle. Paragonare quegli immigrati con quelli di oggi è sbagliato. Quando mio padre nel 1947 è andato in Belgio c’èrano degli accordi tra i due Paesi. C’era, da parte del Belgio, una richiesta di lavoratori. In Italia invece i giovani non hanno un impiego ed è quindi impensabile riuscire ad aiutare tutti i ragazzi africani che arrivano ogni giorno sulle nostre coste. Inoltre noi ci siamo integrati, abbiamo studiato, imparato la lingua e lavorato anche se subivamo episodi di razzismo”» (Il Giornale). Capito? Noi eravamo brava gente (e pure di pelle bianca, salvo qualche siciliano particolarmente abbronzato); loro invece…

Quanto escrementizia e risibile sia la disputa tra buonisti e cattivisti lo apprendiamo anche dalla discesa in campo dell’attore comico Jerry Calà («Capito?»): «Non paragoniamo i nostri emigrati per piacere! Loro chiusi in baracche da cui uscivano solo per lavorare e rientravano per farsi da mangiare. Mio zio è morto in Belgio nelle miniere per mantenere la famiglia italiana. Mi permetto di parlare perché ne sono parente e in quegli anni ci sono stato. In Svizzera, in Belgio, in Germania. Non facciamo paragoni assurdi per piacere! Gli emigranti italiani venivano trattati come animali da soma… pulitevi la bocca». Pare che l’indignazione dell’attore abbia riscosso un notevole apprezzamento in una non piccola parte di Miserabilandia.

Giustamente Francesco Cancellato (Linkiesta) considera «stucchevole e pedagogico sentirsi dire che dovremmo solidarizzare coi migranti perché un tempo lo siamo stati anche noi. Come se solo una pregressa condizione di sfruttati possa muoverci a pietà per una moltitudine di disperati in fuga dall’inferno. Come quando nei telegiornali una tragedia diventa tale solo se ci sono morti italiani». E soprattutto egli sottolinea le differenze che corrono tra la tragedia di Marcinelle e la strage continua dei «disperati in fuga dall’inferno», una differenza che, per così dire, porta acqua al mulino della moltitudine in fuga da guerre, fame, malattie, miserie d’ogni genere. Il paragone tra Marcinelle e il Mar Mediterraneo è tale da far impallidire i morti del 1956. Scrive Cancellato (il quale, beninteso, argomenta dal punto di vista degli interessi nazionali): «Nel 1956 eravamo alla vigilia di quello che oggi definiamo “miracolo economico italiano”, indotto dal Piano Marshall (sì, gli Stati Uniti ci aiutavano a casa nostra): nei quattro anni successivi, tra il 1957 e il 1960, per dire, la produzione industriale italiana crebbe del 31,4% e la crescita del Pil non scese mai sotto il 5,8%. Ritmi cinesi, insomma, per il quale c’era bisogno di materie prime come il carbone. Ed è proprio per quel carbone che fu firmato il protocollo Italo-Belga, dieci anni prima, nel 1946». In secondo luogo, «nel Canale di Sicilia, negli ultimi quindici anni, hanno perso la vita 30mila anime. Ripetetevelo nella mente: trentamila. Ci sono più cadaveri che pesci, in quel tratto di mare. Se vogliamo capire cosa provano quegli esseri umani che cercano di entrare in Europa – attraversando l’Italia – dal Canale di Sicilia, prendiamo la più grande tragedia della nostra stagione migratoria e moltiplichiamola per dieci, cento, mille, un milione. Magari servirà a farci capire a chi stiamo chiudendo le porte». In terzo luogo, «per convincere gli italiani a partire, nel 1946 l’Italia fu tappezzata di manifesti rosa che presentano i vantaggi derivanti dal mestiere di minatore: salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate, pensionamento anticipato. Per quanto terribili fossero poi le loro condizioni di lavoro, una situazione un po’ diversa rispetto a quella delle migliaia di schiavi africani che ogni anno raccolgono pomodori e arance tra Puglia e Sicilia. Se pensate siano fenomeni imponderabili, sappiate che solo a raccogliere i pomodori, ogni anno, sono impiegati quasi 20mila braccianti, molti dei quali senza contratto, molti dei quali stranieri, molti dei quali irregolari». Su questo aspetto rinvio a due miei post: Rosarno e dintorni e Uomini, caporali e cappelli.

Scrive il “realista” Maurizio Molinari: «L’integrazione dei migranti è un test di crescita per ogni democrazia industriale, capace di rafforzarne la prosperità come di indebolirne la solidità, e l’Italia non fa eccezione. Ecco perché è opportuno affrontare senza perifrasi la sfida che abbiamo davanti, guardando oltre liti politiche interne e dispute internazionali. […] L’interesse dell’Italia è dotarsi di provvedimenti, leggi e politiche che rendano possibile [l’integrazione degli immigrati] sulla base di principi condivisi: non tutti i migranti che sbarcano possono rimanere perché una nazione sovrana non è una porta girevole, ma chi viene accolto deve poter intraprendere un cammino verso la cittadinanza che include l’integrazione nel sistema produttivo. Poiché coniugare integrazione e sovranità è una sfida nazionale per essere vinta necessita il coinvolgimento di tutte le forze politiche del Paese, che si trovino al governo o all’opposizione poco importa, e in ultima istanza il sostegno e l’attenzione di tutti i cittadini italiani, a prescindere dalle fedeltà di credo o di partito» (La Stampa). Un appello che ovviamente non può convincere (anzi!) chi lotta contro gli interessi nazionali (vedi anche il mio post sulla Libia) e per la costruzione dell’autonomia di classe, la quale è tale solo se prospetta a tutte le vittime del Capitale, a prescindere dal colore della loro pelle, dalla loro nazionalità, ecc., la necessità e l’urgenza di unirsi in un vasto fronte anticapitalista. Tutto il resto (“buonismo” e “cattivismo”) è miseria capitalistica.

La nuova edizione di TUTTO SOTTO IL CIELO (DEL CAPITALISMO). Acquistala online o scarica GRATIS il pdf

TUTTO SOTTO IL CIELO (DEL CAPITALISMO)
II edizione
in appendice: La Tigre e il Capitalismo
Brossura, pp. 204, formato 15×23, copertina a colori.
Prezzo di copertina 14,5 €
PREZZO DI VENDITA ONLINE 10 € + s.d.s.

CLICCA QUI PER ACQUISTARLO SU ILMIOLIBRO.IT

L’improvvisa irruzione nei media del tema della modernizzazione capitalistica dei Paesi arretrati attraverso lo spettacolo della crisi internazionale nel mondo islamico, rende attuale lo studio delle cause che determinarono già alla fine del XVIII secolo il grande Divario di Civiltà tra Occidente e Oriente.

Che sia proprio la Cina – un tempo paradigma dell’arretratezza e della stagnazione sistemica di un paese e di una civiltà – a recitare oggi un ruolo centrale nell’economia globalizzata, ci suggerisce che indagare le ragioni dell’eccezionale successo della Prima Rivoluzione Industriale in Occidente e dell’incredibile insuccesso che fu il mancato decollo capitalistico della Cina al momento in cui “sarebbe potuto accadere”, può forse aiutarci a dipanare il filo rosso che attraversa la storia mondiale di ieri e di oggi e, di riflesso, a farci cogliere in tutta la sua complessità la radice sociale dell’attuale crisi economica internazionale, che peraltro minaccia di toccare il Celeste Impero del Capitalismo mondiale.

***

VERSIONE DIGITALE COMPLETA SCARICABILE GRATIS (Clicca qui – pdf file) – L’uso, la distribuzione e la riproduzione totale o parziale di questo testo è completamente libera purché se ne citi la fonte e l’autore.

LIBRI GRATIS!

Da oggi è anche possibile il download gratuito dei miei libri in formato pdf.

Clicca sul link per iniziare il download.


DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO

Capire la genesi della ricchezza sociale per capire la crisi
Nostromo IV, 2012, 308 pagine

A quattro anni dal suo ingresso in scena la crisi economica internazionale non sembra proprio intenzionata a togliere il disturbo, anzi, col passare del tempo sembra averci preso gusto a impazzare sulla scena sociale, e mese dopo mese non smette di sorprenderci con le sue inquietanti performance. Capire come nasce il nostro simbolico “pane quotidiano” significa individuare le cause dell’attuale crisi in modo di mettere un valido strumento di lotta politica nelle mani di chi non vuole capitolare.

L’edizione su carta di questo libro può essere acquistata online al seguente link:
Compra il libro online.



LO SCOGLIO E IL MARE

Riflessioni sulla sconfitta della Rivoluzione d’Ottobre (1917-1924)
Nostromo III, 2011, 224 pagine

E se, nella storia, non ci fosse mai stato alcun “comunismo realizzato”? È la tesi originale sostenuta in questo libro che fa i conti con la madre di tutte le rivoluzioni del XX secolo: la Rivoluzione d’Ottobre. Nel momento in cui la crisi economico-sociale che investe il pianeta evoca chimerici “Nuovi Mondi Possibili” e fa straparlare di “Rivoluzioni” e “Primavere”, questo saggio mostra di essere assai più puntuale di quanto non sembri a prima vista.

L’edizione su carta di questo libro può essere acquistata online al seguente link:
Compra il libro online.



L’ANGELO NERO SFIDA IL DOMINIO

Appunti di filosofia politica
Nostromo II, 2011, 224 pagine

Politica, Sovranità, Legalità, Diritto, Libertà, Legittimità, Violenza, Nemico, Civiltà: come si declinano questi fondamentali concetti nella Società-Mondo del XXI secolo? D’altra parte, la crisi sociale epocale nella quale siamo immersi ha generato una serie di “inaspettati ritorni” (basti pensare al “ritorno dello Stato-Nazione” nel cuore della Vecchia Europa, o al ritorno della “Rivoluzione” nei paesi arabi) che meritano una lettura non superficiale né di mera contingenza. È quello che si propone questo saggio.

L’edizione su carta di questo libro può essere acquistata online al seguente link:
Compra il libro online.


Print

TUTTO SOTTO IL CIELO – del Capitalismo
Alle origini del boom economico cinese
Nostromo I, 2012, 204 pagine

Che sia proprio la Cina, un tempo paradigma dell’arretratezza e della stagnazione sistemica di una civiltà, a recitare oggi un ruolo centrale nell’economia globalizzata, ci suggerisce che indagare le ragioni dell’eccezionale successo della Prima Rivoluzione Industriale e dell’incredibile insuccesso che fu il mancato decollo capitalistico della Cina nel momento in cui “sarebbe potuto accadere”, può aiutarci a comprendere la dinamica generale della modernizzazione capitalistica.

L’edizione su carta di questo libro può essere acquistata online al seguente link:
Compra il libro online.


ATTENZIONE: L’uso, la distribuzione e la riproduzione totale o parziale di questi testi è completamente libera purché se ne citi la fonte e l’autore.

APPENA SFORNATO! Dacci Oggi il Nostro Pane Quotidiano

Capire la genesi della ricchezza sociale per capire la crisi economica

A quattro anni dal suo ingresso in scena, la crisi economica internazionale non sembra proprio intenzionata a togliere il disturbo. Anzi, col passare del tempo sembra averci preso gusto, a impazzare sulla scena sociale, e mese dopo mese non smette di sorprenderci con le sue inquietanti performance. Nata ufficialmente – e apparentemente – come crisi finanziaria, essa ha ben presto mostrato il suo aspetto industriale, e da ultimo ama vestire i panni del Debito Sovrano, sempre sul punto di trascinarci nel baratro del default.

Capire come nasce il nostro simbolico pane quotidiano significa individuare le cause essenziali dall’attuale crisi economico-sociale, in modo da mettere un valido strumento di lotta teorica e politica nelle mani di chi non vuole capitolare dinanzi alle sirene del «Bene Comune» e del populismo demagogico alla ricerca di capri espiatori: la Casta, gli Speculatori, i Banchieri, i Tedeschi, i Tecnocrati, il «Liberismo Selvaggio».

***

Brossura, pp. 308, formato 15 x 23, copertina a colori.
Prezzo di copertina € 18,50
PREZZO DI VENDITA ONLINE € 13

CLICCA QUI PER ACQUISTARLO SU ILMIOLIBRO.IT

La versione digitale completa di DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO può anche essere SCARICATA GRATIS (Clicca qui – pdf file) – L’uso, la distribuzione e la riproduzione totale o parziale di questo testo è completamente libera purché se ne citi la fonte e l’autore.

Prossima pubblicazione: DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO

Capire la genesi della ricchezza sociale per capire la crisi economica.

A quattro anni dal suo ingresso in scena, la crisi economica internazionale non sembra proprio intenzionata a togliere il disturbo. Anzi, col passare del tempo sembra averci preso gusto, a impazzare sulla scena sociale, e mese dopo mese non smette di sorprenderci con le sue inquietanti performance. Nata ufficialmente – e apparentemente – come crisi finanziaria, essa ha ben presto mostrato il suo aspetto industriale, e da ultimo ama vestire i panni del Debito Sovrano, sempre sul punto di trascinarci nel baratro del default.

Capire come nasce il nostro simbolico pane quotidiano significa individuare le cause essenziali dall’attuale crisi economico-sociale, in modo da mettere un valido strumento di lotta teorica e politica nelle mani di chi non vuole capitolare dinanzi alle sirene del «Bene Comune» e del populismo demagogico alla ricerca di capri espiatori: la Casta, gli Speculatori, i Banchieri, i Tedeschi, i Tecnocrati, il «Liberismo Selvaggio».

Presto disponibile su questo sito anche in versione scaricabile.

FRESCO DI STAMPA! Lo Scoglio e il Mare – Riflessioni sulla sconfitta della Rivoluzione d’Ottobre (1917-1924)

«Socialismo reale» o reale Capitalismo (più o meno di Stato)? La seconda che ho detto!

Il libro che svela la radice storico-sociale della più grande menzogna del XX secolo è ora in vendita.


Lo Scoglio e il Mare
Riflessioni sulla sconfitta della Rivoluzione d’Ottobre (1917-1924)

CLICCA QUI PER ACQUISTARLO SU ILMIOLIBRO.IT


Ma siamo proprio sicuri che il «comunismo realizzato» abbia fatto fallimento? E se non ci fosse mai stato nel vasto mondo alcun «comunismo realizzato»? E se il cosiddetto Libro nero del comunismo non fosse, in realtà, che un capitolo particolarmente tragico del Libro nero del capitalismo? È la tesi originale che l’autore di questo saggio sostiene, per dimostrare la quale egli fa i conti con la madre di tutte le rivoluzioni del XX secolo: la Rivoluzione d’Ottobre. Secondo l’autore questa Rivoluzione cessò di respirare – in senso politico, più che cronologico – insieme a Lenin, ossia già nell’inverno del 1924.

Nel momento in cui la crisi economico-sociale che investe vaste aree del Pianeta evoca chimerici «Nuovi Mondi Possibili» e fa straparlare la politica e la Scienza Sociale di «Rivoluzioni» e di «Primavere», questo saggio mostra di essere assai più puntuale di quanto non sembri a prima vista.


Lo Scoglio e il Mare
Riflessioni sulla sconfitta della Rivoluzione d’Ottobre (1917-1924)

Brossura, pp. 224, formato 12 x 18.
Prezzo di copertina 13 €
PREZZO DI VENDITA ONLINE 9 € + s.d.s.

CLICCA QUI PER ACQUISTARLO SU ILMIOLIBRO.IT

SIAMO MERCE E NON VOGLIAMO PIÙ ESSERLO! Un contributo alla Manifestazione del 15 Ottobre 2011

«Il 15 ottobre sarà una data importante che forse scriverà una pagina nei libri di storia. Per la prima volta il mondo intero si mobiliterà in ogni grande piazza di ogni nazione per pretendere un cambiamento radicale dell’attuale sistema economico, politico e sociale, basato sullo sfruttamento dell’individuo e delle risorse» (Non siamo merce di politici e banchieri!, da Rete dei cittadini, 13 ottobre 2011).

Benissimo: sarò anch’io della partita! Poi, però, continuo la lettura e l’entusiasmo un poco scema: «Un sistema che annienta popoli interi in nome del profitto di pochi potenti: la finanza speculatrice, le banche, le multinazionali, i governanti corrotti, unite da tempo in un meccanismo di arricchimento sulle spalle di persone oneste che non vedono più nel loro futuro un lavoro stabile, un’istruzione adeguata, una sanità pubblica funzionante, la possibilità di una casa propria, di una famiglia, una pensione sicura, in poche parole di UNA VITA DEGNA DI ESSERE VISSUTA».

Non riesco a capire se si rivendica una società umana, ossia libera dal rapporto di dominio e di sfruttamento capitale-lavoro (il lavoro salariato che compare nella Sacra Costituzione Italiana all’Art. 1, per intenderci), ovvero un capitalismo «dal volto umano», ossia una società basata sul «duro, gratificante ed eticamente corretto» lavoro svolto nella sfera della cosiddetta «economia reale», e sul cosiddetto Stato Sociale. Insomma, si ha nostalgia per qualche forma di economia capitalistica fortemente penetrata dallo sguardo Paterno del Leviatano, pardon: dello Stato?

Se così fosse, la rivendicazione di un mondo a misura d’uomo suona un tantino contraddittoria. Anche alla luce dell’incontestabile fatto storico per cui la tanto stigmatizzata finanziarizzazione dell’economia ha la sua possente e inestirpabile (salvo rivoluzione sociale, beninteso!) radice nella «buona e onesta economia reale».
Per questo fare delle Banche e della finanza speculativa le sole responsabili, sul versante economico, della crisi, nonché della riduzione degli individui a mera merce (perché oggi siamo merce, siamo «capitale umano» che produce e consuma merce), per un verso significa esporsi alle manovre dei settori capitalistici che oggi hanno interesse a fare della Finanza il capo espiatorio verso cui orientare il malessere e l’indignazione della gente; e per altro verso attesta l’esistenza di un pensiero feticistico, il quale non comprende che il denaro e la merce non sono oggetti demoniaci, ma espressioni di peculiari rapporti sociali. Per mutuare il noto detto popolare, il pesce puzza alla radice.

Ecco, modestamente io suggerisco di organizzare l’indignazione su questa base teorica e politica. Solo così, infatti, la riflessione intorno alle forme politiche della lotta anticapitalistica e dell’organizzazione sociale nel suo complesso assume una dimensione davvero radicale, tale da inorridire i politici, gli intellettuali, gli artisti e i Miliardari che oggi giocano alla «Rivoluzione dell’Indignazione».

APPENA SFORNATO: L’Angelo Nero sfida il Dominio

Brossura, pp. 224, formato 12 x 18, copertina a colori.
Prezzo di copertina 13 €
PREZZO DI VENDITA ONLINE 9 € + s.d.s.

CLICCA QUI PER ACQUISTARLO SU ILMIOLIBRO.IT

A questo saggio non si può certo rimproverare né un difetto di tempestività né la mancanza di respiro (storico, sociologico, politico) nel modo in cui approccia temi che sembravano essere usciti definitivamente dal nostro orizzonte di Civiltà, e che sono invece tornati prepotentemente alla ribalta. La crisi sociale sistemica nella quale ci troviamo immersi ha generato una serie di “ritorni” che hanno spiazzato non poco la politica e la scienza sociale. Ritorno dello Stato-Nazione, ritorno dei confini nazionali, ritorno dell’imperialismo europeo, ritorno del misticismo, ritorno della “rivoluzione”: come si amalgama tutto ciò con l’epoca della globalizzazione? Si avverte il bisogno di trovare nel caotico dipanarsi degli eventi che rigano la Società-Mondo del XXI secolo un filo conduttore che non annulli la complessità del tutto, ma che la renda almeno intellegibile e, soprattutto, permeabile alla critica. Questo saggio ha l’ambizione di toccare da una prospettiva radicalmente critica questioni – afferenti i significati di Politica, Diritto, Violenza, Nemico, Democrazia, Libertà, Civiltà – in realtà mai archiviate dalla nostra società.

Prossima pubblicazione: L’ANGELO NERO SFIDA IL DOMINIO

A questo saggio non si può certo rimproverare né un difetto di tempestività né la mancanza di respiro (storico, sociologico, politico) nel modo in cui approccia temi che sembravano essere usciti definitivamente dal nostro orizzonte di Civiltà, e che sono invece tornati prepotentemente alla ribalta. La crisi sociale sistemica nella quale ci troviamo immersi ha generato una serie di “ritorni” che hanno spiazzato non poco la politica e la scienza sociale. Ritorno dello Stato-Nazione, ritorno dei confini nazionali, ritorno dell’imperialismo europeo, ritorno del misticismo, ritorno della “rivoluzione”: come si amalgama tutto ciò con l’epoca della globalizzazione? Si avverte il bisogno di trovare nel caotico dipanarsi degli eventi che rigano la Società-Mondo del XXI secolo un filo conduttore che non annulli la complessità del tutto, ma che la renda almeno intellegibile e, soprattutto, permeabile alla critica. Questo saggio ha l’ambizione di toccare da una prospettiva radicalmente critica questioni – afferenti i significati di Politica, Diritto, Violenza, Nemico, Democrazia, Libertà, Civiltà – in realtà mai archiviate dalla nostra società.

Per aggiornamenti sulla disponibilità continuate a visitare questo blog nei prossimi giorni.

FRESCO DI STAMPA IL NUOVO LIBRO DEL NOSTROMO!

TUTTO SOTTO IL CIELO – Alle origini del boom economico cinese

Brossura, pp. 224, formato 12 x 18, copertina a colori.
Prezzo di copertina 13 €
PREZZO DI VENDITA ONLINE 9 € + s.d.s.

CLICCA QUI PER ACQUISTARLO SU ILMIOLIBRO.IT

L’improvvisa irruzione nei media del tema della modernizzazione capitalistica dei Paesi arretrati attraverso lo spettacolo della crisi internazionale nel mondo islamico, rende attuale lo studio delle cause che determinarono già alla fine del XVIII secolo il grande Divario di Civiltà tra Occidente e Oriente.

Che sia proprio la Cina,un tempo paradigma dell’arretratezza e della stagnazione sistemica di una civiltà, a recitare oggi un ruolo centrale nell’economia globalizzata, ci suggerisce che indagare le ragioni dell’eccezionale successo della Prima Rivoluzione Industriale e dell’incredibile insuccesso che fu il mancato decollo capitalistico della Cina nel momento in cui “sarebbe potuto accadere”, può aiutarci a comprendere la dinamica generale della modernizzazione capitalistica.