NEGAZIONISTA E COMPLOTTISTA È QUESTA SOCIETÀ

Prima della cura

Tutta la vita delle società nelle quali predominano
le condizioni moderne di produzione si presenta
come un’immensa accumulazione di rischi. L’anno
2020 ce lo ha ricordato nel modo più incisivo.

R. A. Ventura, Radical choc.

Sono francamente odiose le accuse di negazionismo e complottismo scagliate come oggetti contundenti dai socialmente allineati contro chi azzarda un minimo (non un massimo!) di atteggiamento critico sulla cosiddetta “crisi sanitaria” e, soprattutto, sulla sua gestione da parte dei “comitati scientifici”, dei decisori politici e dei loro apparati propagandistici. Si sta generalizzando l’escrementizia tendenza a bollare come “negazionista” e “complottista” chiunque esprima un’idea difforme da quella certificata come politicamente e socialmente corretta dagli esponenti più autorevoli della classe dirigente del Paese. Chi non si allinea di buon grado all’opinione comune è concepito dai più come una persona quantomeno “strana”, dalla quale è igienico mantenere le debite distanze: non si sa mai! E la cosa appare ai miei occhi tanto  più sinistra e politicamente significativa, nel momento in cui il Parlamento italiano vara una Commissione d’inchiesta (con poteri di autorità giudiziaria) sulle cosiddette “fake news” che si configura come una vera e propria Commissione di controllo e censura delle opinioni considerate dai politici filogovernativi non in linea con le verità stabilite dai sacerdoti del regime: intellettuali, politologi, scienziati, artisti, opinion leader, ecc.

Naturalmente chi abbaia contro l’irrazionalismo dei “negazionisti” e dei “complottisti” non ha nemmeno una vaga idea di quanto profondamente irrazionale, per non dire folle, sia la società che nega in radice una vita autenticamente umana e che complotta tutti i giorni contro gli individui, soprattutto  contro quelli che sopravvivono a stento nei piani bassi di un edificio sociale sempre più imputridito e appestato: altro che Coronavirus! Perché la crisi sociale che stiamo vivendo non ha niente a che fare con un virus, con la natura «che oggi ci presenta il conto», mentre ha moltissimo a che fare con la natura del capitalismo.

 

Dopo la cura. «Parker Crutchfield, professore associato di etica medica alla Western Michigan University, qualche giorno fa ha pubblicato su The conversation un singolare articolo. In sintesi, lo studioso vorrebbe iniettare nel sistema idrico americano un mix di sostanze psicoattive, che dovrebbero ammansire i bifolchi che rifiutano di indossare le mascherine» (La Verità). Se non puoi convincerli, puoi sedarli.

Per come la vedo io, il problema non è il “negacomplottista” che considera il Covid «una bufala pianificata a tavolino per dare un’ulteriore stretta alle libertà individuali», e che scende in strada senza bavaglio, pardon, senza mascherina per manifestare questa sua “bizzarra” posizione; ci sono più paradossi, più contraddizioni e più irrazionalità sistemica tra terra e cielo, non crede per principio alle “verità ufficiali” fabbricate da un non meglio specificato “sistema”. Il vero problema è piuttosto la gente che rendendosi conto di quanto rischiosa e “problematica” sia la vita che ci offre questa società, tuttavia non scende in strada (con o senza mascherina!) per manifestare la necessità e l’urgenza di sbarazzarsi di un’organizzazione sociale che, appunto, non smette di creare all’umanità problemi d’ogni tipo.

Forse ce la prendiamo tanto con il «comportamento irresponsabile» dei “negazionisti” per non guardare in faccia la nostra irresponsabilità sociale, la nostra impotenza, la nostra incapacità di immaginare un modo di vivere autenticamente umano, completamente diverso da quello a cui siamo avvezzi. Scriveva il grande Tolstoj: «Non ci sono condizioni alle quali un uomo non possa assuefarsi, specialmente se vede che tutti coloro che lo circondano vivono nello stesso modo» (Anna Karenina). Il problema è dunque il cerchio stregato dell’assuefazione, questo nostro essere gregge (per dirla con Forrest Gump, pecora è chi la pecora fa), non certo chi si prende la “pericolosa” e “irresponsabile” libertà di non rispettare le regole del distanziamento asociale. Forse è quella libertà che l’apologeta della mascherina come “segno di rispetto per gli altri” segretamente invidia. Forse.

SULL’ATTO DI SOTTOMISSIONE ALLA CINA BY DOLCE & GABBANA

Gli uomini sono molli quando vogliono qualcosa
dai più forti; duri e brutali, quando ne sono richiesti
dai più deboli. È questa la chiave del carattere nella
società come è stata finora.
M. Horkheimer, T. W. Adorno

«Maglione nero e facce tiratissime: così Domenico Dolce e Stefano Gabbana nel video pubblicato sui social dove si scusano dopo le polemiche nate in Cina che hanno portato alla cancellazione dello show previsto a Shanghai. Stefano Gabbana, che dice: “vogliamo anche chiedere scusa a tutti i cinesi nel mondo perché ce ne sono molti e prendiamo molto seriamente questa scusa e questo messaggio”. “Siamo sempre stati molto innamorati della Cina, l’abbiamo visitata, amiamo la vostra cultura e certamente – sottolinea Dolce – abbiamo ancora molto da imparare e per questo ci scusiamo se abbiamo sbagliato nel nostro modo di esprimerci”. Conclude Gabbana: “faremo tesoro di questa esperienza e sicuramente non succederà mai più, anzi proveremo a fare di meglio, rispetteremo la cultura cinese in tutto e per tutto. Dal profondo del nostro cuore vi chiediamo scusa”» (Ansa.it).

Dolce: Vi chiediamo scusa con la faccia sotto i piedi e potete camminare; quelli pensano siamo proprio due umili.
Gabbana: Una bellissima immagine, la nostra faccia sotto i loro piedi e possono muoversi quanto pare e piace loro, e noi zitti sotto.
Dolce: Scusate il paragone di prima tra la pizza e le bacchette, non volevamo minimamente offendervi.  I vostri peccatori di prima con la faccia dove sappiamo.
Gabbana: Gli si è detto…
Dolce: Sempre zitti.
Gabbana: Sempre zitti.

La vicenda che ha visto come protagonisti il duo D&G e la Cina si presta a più commenti, alcuni poco seri, anzi decisamente spassosi, e altri concettualmente un po’ più preganti sotto diversi aspetti – non ultimo quello relativo al moralismo vomitato in queste ore dagli amici italiani del Celeste Imperialismo Cinese, i quali hanno approfittato del randello padronale Made in China per contunderlo sulla testa dei noti stilisti, evidentemente oggetto di non poca invidia sociale, magari celata dietro una miserrima ideologia “anticapitalista”. Fare la “lotta di classe” con l’appoggio dei Carabinieri o usando il randello di questo o quel padrone è evidentemente il destino di molti “comunisti” italioti.

È piuttosto sull’agghiacciante scenografia messa in piedi dai due imprenditori italiani per rendere più credibile il loro atto di sottomissione, la loro “autocritica” nei confronti del Grande Fratello capitalistico cinese, nonché sul loro “linguaggio del corpo”, che vorrei dire due cose, in estrema sintesi e sapendo di pestare i calli di qualche lettore. Pazienza!

Che cosa hanno voluto comunicare D&G ai dirigenti cinesi e alla popolazione di quel grande Paese, una popolazione peraltro sempre più intossicata di propaganda nazionalista e revanscista? Di più: che tipo di Cina hanno inteso evocare i due simpatici (c’è dell’ironia, lo giuro!) personaggi per far comprendere all’interlocutore che il messaggio è arrivato alle loro sofisticatissime orecchie forte è chiaro? Inutile girarci intorno: la scenografia ricorda fin troppo bene i processi stalinisti e maoisti, e il linguaggio del corpo comunica un solo, inequivocabile concetto: la piccolezza e la debolezza di chi disgraziatamente viene a trovarsi nella problematica (diciamo così!) situazione di dover giustificare il proprio comportamento dinanzi al Moloch. I capitali in ballo sono tanti («il mercato del lusso del Dragone vale oltre 500 miliardi di yuan annui, circa 72 miliardi di dollari,  pari a quasi un terzo del valore che il settore registra a livello mondiale», scrive l’Ansa), e i due imprenditori italiani hanno dovuto abbandonare subito ogni velleità suggerita dall’orgoglio radicato in una prestigiosa marca; ma forse in questa foga “autocritica” essi sono andati incontro a un eccesso di difesa, per così dire, un eccesso che probabilmente non verrà colto da Pechino. Può anche darsi che a Pechino quell’eccesso vada benissimo, semplicemente perché esso si sposa con la realtà cinese e con il “messaggio” che i Cari Leader intendono comunicare all’opinione pubblica interna e internazionale. Con la Cina non si scherza!

I due personaggi hanno offeso con una serie di luoghi comuni (sull’Italia: pizza, spaghetti e cannolo siciliano «troppo grosso per lei», e sulla Cina: bacchette e ammiccanti donne dal fascino orientale), e si sono difesi evocando altri luoghi comuni: il Processo del Popolo. D’altra parte, in tempo di populismo… Ma non è detto che la difesa non sortisca effetti positivi, magari non subito, magari insieme ad altri atti di sottomissione concordati con i dirigenti cinesi. Vedremo.

Scrive Giulia Pompili: «La lezione che la Cina ha dato al lusso made in Italy è questa: possiamo chiudere tutte le porte quando ci pare, anche se siete un colosso internazionale» (Il Foglio). Di qui, per la Pompili, l’esigenza di una comunicazione pubblicitaria che tenga conto delle tradizioni culturali dei Paesi che si intendono conquistare con i marchi italiani. È la stessa preoccupazione espressa sul Manifesto da Simone Pieranni: «La figuraccia del marchio italiano può anche diventare un evento su cui soffermarsi, ragionando su quanto si conosce in Italia della Cina. Benché non manchino i tentativi, l’Italia è ancora preda di un incredibile orientalismo, ovvero quella prassi di pensare ai paesi lontani come fossero una proiezione del proprio immaginario. […] Significa, in pratica, non conoscere il proprio target, errore fatale per chi si muove su immaginari, advertising, potere del brand». Essendo io un anticapitalista “a 360 gradi”, poco mi curo dell’errore fatale di comunicazione commesso da D&G: non ho insomma suggerimenti da dare al responsabile del marketing di Dolce & Gabbana – magari se mi pagassero, potrei fare qualcosina…

Piuttosto mi interessa quel che dice Pieranni a proposito del caso in oggetto come «termometro di una situazione interna assatanata in fatto di patriottismo»: «In trent’anni la Cina è passata da una situazione di estrema povertà a quella di potenza mondiale, ormai in procinto di diventare numero uno al mondo e determinare i destini anche di altre zone del mondo. Questa crescita economica ha visto il ritorno di un nazionalismo forte, basato su una sorta di sentimento di rivincita». Tra l’altro l’imperialismo cinese inizia a manifestare l’intenzione di esportare anche il modello politico, ideologico e culturale con caratteristiche cinesi, naturalmente rendendolo adattabile alle specificità locali – o periferiche, secondo la concezione chiamata tutto-sotto-il-cielo (dinastia Zhou) che colloca la Cina al centro del mondo. Già da qualche parte in Italia si sostiene con entusiasmo che l’etica confuciana è più rispettosa della donna, della famiglia, della gerarchia sociale, del lavoro e di quei tanti valori etici ormai “traditi” dall’Occidente.

D&G forti con i deboli e deboli con i forti: è questa la lezione che ci viene dal caso in questione? Certamente. Ma a mio avviso non è questa la chiave di lettura più interessante, anche se posso capire – ma non condividere – la reazione di chi ha in antipatia i due “simpatici” personaggi. Sul piano personale essi non mi fanno né caldo né freddo, come si dice dalle mie parti. Io immagino piuttosto un operaio, un ladro, un campagnolo, uno studente, un dissidente politico (magari di etnia uigura) che viene “attenzionato” dal Celeste Moloch e trascinato in giudizio: come deve sentirsi il malcapitato? Come un’assoluta nullità che può solo confidare nella magnanimità dei suoi padroni. «Pochi giorni fa in Cina sono scomparsi un vescovo e un gruppo di catechisti. I cinesi non chiederanno scusa e nessuno chiederà loro di farlo, tantomeno il Vaticano fresco firmatario di un accordo che mette la Chiesa cinese nelle mani del Partito comunista cinese. Era già scritto nel libro di Siracide: “Il ricco commette ingiustizia e per di più grida forte, il povero riceve ingiustizia e per di più deve scusarsi”» (C. Langone, Il Foglio). Nella Neolingua si chiama “Partito comunista cinese” ciò che nella Mialingua si chiama Partito capitalista cinese. Ma questo è un altro discorso.

OCCULTISMO

Dopo gli speculatori finanziari che ingrassano servendo il Dio Denaro, i capitalisti che inseguono solo il profitto (che scandalo!), i corrotti incapaci di cristiano pentimento e i mafiosi indegni di Nostro Signore è la volta degli operatori della superstizione. Il Compagno Papa è davvero infaticabile. Leggo sul Messaggero: «”Avrei voglia di domandarvi, ma ognuno risponda dentro, in silenzio, quanti di voi ogni giorno leggono l’oroscopo? Quando vi viene voglia di leggerlo, guardate a Gesù che vi vuole bene”. Papa Francesco mette all’indice gli esperti di astrologia, le fattucchiere, i medium nonché maghi e divinatori. Non servono “oroscopi o negromanti per conoscere il futuro”, non serve la “sfera di cristallo o la lettura della mano”: il “vero cristiano” si fida di Dio e si lascia guidare in un cammino aperto alle sorprese di Dio. Altrimenti “non è un vero cristiano”».

Detto che chi scrive non è un cristiano, né vero né falso, sarebbe auspicabile, Santissimo, qualche “sorpresa” in meno; troppe “sorprese” non fanno bene alla salute, diciamo. Alludo a quelle “sorprese”, di cui tutti farebbero volentieri a meno, tipo guerre mondiali, campi di sterminio, gulag, carestie, malattie, annegamenti nel Mediterraneo, disperate e spesso mortali fughe attraverso il deserto alla ricerca di un tozzo di pane, miserie materiali e spirituali di vario genere, e via elencando. Diciamo che quanto a guida del gregge il buon Dio ha finora lasciato a desiderare. E per favore non scomodare il libero arbitrio: non provarci nemmeno! Né la tesi circa il carattere necessariamente imperscrutabile, eppur razionalissimo, del Disegno Divino può reggere, neanche lontanamente, il confronto con chi offre sul mercato della vita risposte “umanamente” più sostenibili. E poi, se togli al gregge anche il “diritto” alla superstizione cosa gli rimane nel difficile e quotidiano tentativo, spesso non coronato dal successo, di dare un senso all’insensatezza più sfacciata? La “vera religione”? La scienza? Ma se ciò bastasse, oggi non staremmo qui a lamentare il successo di medium, maghi, fattucchiere, negromanti, astrologi, divinatori, ecc., ecc. D’altra parte, lo scottante caso della Madonna di Medjugorje di cosa ci parla?

«Ogni anno in Italia, cadono vittime del fenomeno dell’occulto circa 12 milioni di persone. Secondo quanto riportano diverse associazioni antiplagio le  persone raggirate sborsano anche diversi miliardi di euro per ingrassare i 120.000 maghi operanti nel settore. Somme che si concentrano soprattutto nelle grandi città: Milano, Roma e Napoli.  Il 52% delle consulenze presso i maghi vengono fatte per questioni di cuore, il 24% per questioni economiche ed il 13% per questioni di salute. Sono tantissime le denunce che arrivano allo sportello antiplagio rivelando casi di dipendenza dalla consulenza, casi nei quali i clienti parlano del telefono come di una vera e propria droga».

Ora, dinanzi a questo fenomeno, come ad altri analoghi fenomeni sociali, c’è da chiedersi se la maggiore responsabilità circa il suo dilagare negli strati più diversi della popolazione sia da attribuire agli operatori del settore, i quali in fondo si limitano a soddisfare una domanda, secondo i noti criteri “mercatisti”, o non piuttosto alla società presa nel suo insieme che crea quel mercato – che realizza l’incontro tra la domanda in grado di pagare e l’offerta.

Nel precedente post dedicato al Compagno Papa, mi sono permesso di affermare, sulla scorta del mio astrologo di riferimento, la seguente banalità: «Non c’è magagna sociale che non realizzi un’occasione di profitto per chi ha le giuste “competenze specifiche” (da quelle giurisprudenziali a quelle malavitose, da quelle sanitarie a quelle criminali) da far valere sul mercato: è il Capitalismo, Santità!». Confermo! Non è insomma agli operatori della superstizione che si può imputare il carattere radicalmente disumano e irrazionale della vigente società; non sono loro che creano un materiale umano così vulnerabile alle sciocchezze d’ogni genere. Vietare, criminalizzare o semplicemente ridicolizzare gli “impostori” e i “ciarlatani” non eliminerà un mercato creato dall’hegeliana società civile, ed è questa consapevolezza che, tra l’altro, mi suggerisce un atteggiamento critico, ma non illuministico, nei confronti di ogni forma di superstizione, a cominciare da quella venduta come «vera fede» dalla Chiesa Romana.

Qualche anno fa il Cardinale Ersilio Tonini stigmatizza l’invasione delle rubriche astrologiche nei media: «Questo dilagare spasmodico, ossessionante dell’occultismo fra non molto eroderà via la sostanza, il concetto stesso che l’uomo ha di sé e del suo posto fra le cose e i fenomeni. E lo farà intaccando la radice dell’essenza umana: l’intelligenza» (da Vero, 13 Maggio 2011). Ma come, «la radice dell’essenza umana» non si trovava un tempo nel nostro essere stati creati a immagine e somiglianza di Nostro Signore? Ecco il teologo spiazzato dalla concorrenza comportarsi alla stregua di un ateo, il quale pretende di dare scacco matto al Re (al Celeste Sovrano del Creato) sul piano della mitica evidenza scientifica. Il fatto è che chi avverte un subdolo disagio rodergli l’anima, oltre che il corpo, non cerca discorsi intelligenti, ma discorsi conformi all’assurdità del Mondo che lo ospita. L’espansione dell’occultismo non ha a che fare con una supposta indigenza in fatto di intelligenza (magari causata dalla solita televisione e dai cosiddetti social), ma testimonia piuttosto l’impotenza sociale di tutti gli individui, la loro indigenza esistenziale. È vero che, come scriveva Adorno, «L’occultismo è la metafisica degli stupidi», ma è soprattutto vero che occulte sono le Potenze Sociali che ci dominano, nonostante esse camminino sulle gambe degli uomini. Sotto questo radicale aspetto siamo tutti stupidi: dallo scienziato che vuole riprodurre in laboratorio l’Istante Zero della Creazione Universale, al teologo che vuole provare la superiorità della sua fede sul piano della razionalità.

I politici “tradizionali” si lamentano per il dilagare dell’antipolitica; gli scienziati si lamentano per il diffondersi nella società di atteggiamenti antiscientifici; il giornalismo mainstream denuncia il dilagare delle fake news; la Chiesa denuncia la sleale concorrenza organizzata ai suoi danni da parte di «false religioni alternative» e si scaglia contro le “insane” inclinazioni superstiziose dei cristiani. Verrebbe da esclamare: da che pulpito!

Aggiunta da Facebook:

LA CHIESA E IL “FRONTE UNICO UMANISTA”

Da La Repubblica:

«Il cardinale Gianfranco Ravasi, teologo, biblista, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, non è però uomo che si dia per vinto. Con il “Cortile dei Gentili” e il “Tavolo permanente per il dialogo fra scienza e religione” sta cercando “alleati” fra coloro che hanno ancora fiducia nell’uomo e nel suo pensiero. «Atei, scienziati, persino chi ancora crede nelle ideologie. Non è più tempo di contrapposizioni ma di dialogo. […] La tecnologia corre e ci propone nuovi mezzi con una velocità che la teologia e gli altri canali della conoscenza umana non riescono a seguire. […] Per colpa dell’ignoranza, non della scienza, stiamo vivendo una globalizzazione della cultura contemporanea dominata solo dalla tecnica o dalla pura pratica. C’è, ad esempio, una sovrapproduzione di gadget tecnologici di fronte alla quale non riusciamo a elaborare un atteggiamento critico equilibrato. Ci ritroviamo in un’epoca di bulimia dei mezzi e atrofia dei fini. Ci ritroviamo spesso appiattiti, schiacciati su un’unica dimensione [quest’ultima locuzione non mi è nuova]. Un certo uso della scienza e della tecnologia hanno prodotto in noi un cambiamento che non è solo di superficie. Se imparo a creare robot con qualità umane molto marcate, se sviluppo un’intelligenza artificiale, se intervengo in maniera sostanziale sul sistema nervoso, non sto solo facendo un grande passo avanti tecnologico, in molti casi prezioso a livello terapeutico medico. Sto compiendo anche un vero e proprio salto antropologico, che tocca questioni come libertà, responsabilità, colpa, coscienza e se vogliamo anima. […] Il fondatore del cristianesimo, Gesù di Nazaret [ma non era stato Paolo?], era un laico, non un sacerdote ebraico. Egli non ha esitato a formulare un principio capitale: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. La contrapposizione fra clericali e anticlericali ormai è sorpassata. Alcuni aspetti della laicità ci accomunano tutti e la teologia ha smesso da tempo di considerare la filosofia e la scienza solo come sue ancelle. I problemi piuttosto sono altri. Semplificazione, indifferenza, banalità, superficialità, stereotipi, luoghi comuni. Una metafora del filosofo Kierkegaard mi sembra adatta ai tempi di oggi: la nave è finita in mano al cuoco di bordo e ciò che dice il comandante con il suo megafono non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani. È indispensabile riproporre da parte di credenti e non credenti, i grandi valori culturali, spirituali, etici come shock positivo contro la superficialità ora che stiamo vivendo una svolta antropologica e culturale complessa e problematica, ma sicuramente anche esaltante”».

A mio avviso, e come provo ad argomentare nei miei modesti scritti, il comando della nave è invece saldamente nelle mani del Capitale, cosa impossibile da capire quando gli occhi sono occlusi, mi si consenta la dotta metafora, dal prosciutto feticistico che impedisce di vedere i rapporti sociali di dominio e di sfruttamento che presuppongono e pongono sempre di nuovo ciò che siamo e che facciamo, «tecnologia intelligente» inclusa. Per un verso il Fronte Unico Umanista proposto da Ravasi fa capire, mi sembra, con quanta intelligenza politica e con quale respiro dottrinario si muova la Chiesa, o quantomeno una parte maggioritaria di essa; e per altro verso ci parla della profondità della crisi esistenziale (che poi è crisi sociale tout court) che stiamo attraversando in questo scorcio di XXI secolo. Da sempre la Chiesa si mostra particolarmente a proprio agio nei momenti critici, pronta a orientare e a confortare il gregge che soffre ma non comprende.

Nella sua infinita ingenuità, diciamo così, il nostro Cardinale vorrebbe salvare qualcosa che andrebbe piuttosto creata: la dimensione umana delle nostre relazioni sociali. In ogni caso, e per quel che vale, io mi chiamo fuori dal F. U. U. Per me oggi più di ieri è «tempo di contrapposizioni», possibilmente di classe. Sì, sono settario fino in fondo, settario senza speranza. Ma di classe! E che un qualche Dio (anche artificiale, per me andrebbe benissimo: non coltivo certe fisime ideologiche) mi aiuti!

 

A DOMANDA RISPONDE

Papa Francesco: «Cosa c’è all’origine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo?».
Sebastiano: Rapporti sociali di dominio e di sfruttamento. Nel XXI secolo questi rapporti si compendiano nel concetto di Capitalismo e nella sua demoniaca prassi, che oggi ha una dimensione mondiale.

Papa Francesco: «Cosa c’è all’origine del degrado e del mancato sviluppo?».
Sebastiano: La contraddittoria manifestazione di quei rapporti sociali.

Papa Francesco; «Cosa c’è all’origine del traffico di persone, di armi, di droga?»
Sebastiano: L’economia fondata sul profitto «predato», «smunto», «estorto», «scroccato» ai lavoratori nelle onestissime imprese che producono beni e servizi. Su questa base virtuosa si erge l’edificio di una società completamente dominata dal denaro, la cui origine, com’è noto, non puzza, non ha colore, non ha sesso, non ha razza, non ha religione (fratello Jihadista si fa per dire!), è del tutto impersonale, è soprattutto disumana. Non c’è magagna sociale che non realizzi un’occasione di profitto per chi ha le giuste “competenze specifiche” (da quelle giurisprudenziali a quelle malavitose, da quelle sanitarie a quelle criminali) da far valere sul mercato: è il Capitalismo, Santità!

Papa Francesco: «Cosa c’è all’origine dell’ingiustizia sociale e della mortificazione del merito? Cosa, all’origine dell’assenza dei servizi per le persone? Cosa, alla radice della schiavitù, della disoccupazione, dell’incuria delle città, dei beni comuni e della natura? Cosa, insomma, logora il diritto fondamentale dell’essere umano e l’integrità dell’ambiente?».
Sebastiano: Azzardo una risposta originale: il maledetto rapporto sociale di cui sopra!

Per Sua Santità la causa è invece un’altra: «La corruzione, che infatti è l’arma,  è il linguaggio più comune anche delle mafie e delle  organizzazioni criminali nel mondo. Per questo, essa è un processo di morte che dà linfa alla cultura di morte delle mafie e delle organizzazioni criminali». Di qui, la sua “rivoluzionaria” idea di scomunicare i corrotti e i mafiosi.

Ora, chi sono io per obiettare al Santissimo Padre che è il profitto il linguaggio comune di tutte le attività imprenditoriali, comprese quelle mafiose e quelle che fanno capo alle «organizzazioni criminali nel mondo»? Chi sono io per obiettargli che è il Capitale in sé che dà corpo a «un processo di morte che dà linfa alla cultura di morte»? E difatti, come sempre, non gli obietto un bel nulla: non è che il poveruomo può scomunicare, dalla sera alla mattina, un intero regime storico-sociale! Un  po’ di sano realismo, per favore. E poi anche il Papa ha il sacrosanto diritto di vendere un po’ di ideologia al popolo indignato e affamato di capri espiatori. Che il Capo dei Capi Totò Riina crepi in carcere e senza il conforto di Nostro Signore!
Non sarò diventato anch’io un pochino populista? Che tempi! Che tempi!

UN CATTOCOMUNISTA AL QUIRINALE?

mattarella-636812Il pezzo che segue è stato scritto ieri.

Come ricordava ieri Fausto Carioti su Libero, in vista delle elezioni politiche del 2006, che porteranno al successo (molto relativo) dell’Unione di Romano Prodi, Sergio Mattarella disse di avere in comune molte più cose con i “comunisti” di Armando Cossutta che con i radicali di Marco Pannella, i cui valori di riferimento si risolvono, sempre secondo l’ex pupillo di Ciriaco De Mita, in un’inaccettabile individualismo in campo economico e sociale. I radicali, sentenziò allora il “cattolico adulto” siciliano, ci farebbero perdere voti perché i loro valori etici sono distanti da quelli che da sempre sono al centro della concezione solidaristica e comunitaria della vita cara al popolo di sinistra. È in posizioni di tal fatto che bisogna ricercare il significato più profondo di un termine politologico di italianissima marca  ritornato in auge negli ultimi giorni: “cattocomunismo”.

Di Pannella e dei radicali non la pensavano diversamente i “comunisti” del PCI, i quali negli anni Settanta appoggiarono le campagne per i “diritti civili” promosse appunto dal PR solo dopo averle osteggiate, sabotate e comunque stemperate attraverso un meticoloso lavoro di mediazione con le “masse cattoliche” che votavano DC. L’individualismo piccolo borghese dei radicali fa il gioco dei reazionari perché tende a spaccare le masse popolari: questo l’argomento usato allora dai “comunisti” contro il partito di Pannella. Analogo discorso il PCI in odor di “compromesso storico” scagliava contro le «avanguardie studentesche e operaie», il cui «radicalismo piccolo borghese» indeboliva il «fronte di classe» e offriva facili pretesti alla reazione: «Compagni, ricordate la lezione cilena!».

Com’è noto, il tasso di laicità dei togliattiani è sempre stato oggetto di critica e di scherno da parte di socialisti, repubblicani e forze “laiciste” di varia tendenza, che non perdoneranno mai al PCI il “vizio d’origine” rappresentato dalla costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi (Art. 7). Che poi oggi Pannella saluti l’elezione di Mattarella con un «Dio ce l’ha mandata buona», ebbene questa bizzarria forse si spiega con la tendenza manifestata ultimamente dal vecchio trombone radicale ad annettersi svariati personaggi: da Papa Francesco al Dalai Lama, da Giorgio Napolitano a George Soros, da Eisenhower a Gandhi,  e così via. Chissà se pur di non ammettere di averla sparata troppo grossa questa volta, il vecchio Marco berrà la favola dell’«Einaudi cattolico» messa in giro da ciò che rimane della mitica corrente demitiana. Piero Ostellino continua invece a non avere dubbi sulla natura antiliberale di Mattarella: «Matteo Renzi ha riesumato, come presidente della Repubblica, un vecchio democristiano di sinistra, quanto di più illiberale abbiano prodotto, da noi, la cultura politica egemone e il sistema politico» (Il Giornale, 1 febbraio 2015). Musica per le orecchie della “sinistra – ma anche della “destra” – antimercatista”.

Sempre a proposito di cattocomunismo, una vignetta di Mauro Biani pubblicata ieri dal Manifesto recitava: «Siamo vissuti berlusconiani, moriremo democristiani. Può essere un passo avanti». Per la “sinistra” di Miserabilandia la cosa potrebbe pure stare in questi ottimistici termini. D’altra parte, sulla natura conservatrice del sedicente quotidiano comunista non ho mai avuto dubbi. Ricordo, ad esempio, che negli anni Novanta Il Manifesto, avvezzo a ingoiare giganteschi rospi pur di eliminare dalla faccia della terra il Cavaliere Nero di turno (da Andreotti a Craxi, da Berlusconi a Renzi), deplorò la scelta di Fini di dar vita ad Alleanza Nazionale perché la nuova formazione politica «svendeva l’anima sociale» del vecchio MSI al campione del “liberismo selvaggio” e della “sottocultura televisiva”. «Fini e An», disse invece Mattarella il 9 aprile 1994, «per la smania di occupare il governo hanno accettato senza difficoltà l’inquietante proposta di Bossi di spaccare l’Italia, barattando il federalismo con la promessa di presidenzialismo». Ecco perché oggi giornalisti di stampo “liberale” come Piero Ostellino e Nicola Porro, che giustamente definiscono Mattarella nei termini di un classico «esponente dell’establishment conservatore che è solito cambiare qualcosa affinché nulla cambi» («in confronto a Mattarella, Forlani è un movimentista», ha detto ad esempio lo spassoso De Mita), si domandano con angoscia come ci si possa entusiasmare per un esponente della «preistoria della prima repubblica, per l’unto da De Mita, per la scelta di un uomo della sinistra dc (che era vecchia e pallosa anche allora quando comandava). Ma ci rendiamo conto, Mattarella». Proprio questo profilo politico rende simpatico il grigio e compassato Sergio al conservatore sinistrorso: «C’è Stato», esulta oggi Il Manifesto. C’è Stato, c’è Stato, altroché se c’è lo Stato!

Ecco cosa invece pensava del “comunismo” il nuovo Presidente della Repubblica: «Sono personalmente convinto, avendo sempre militato in una forza politica che ha contrastato il comunismo, quando questo era forte e comandava in molti Stati d’Europa, che l’ideologia comunista o, volendo essere più precisi, il marxismo-leninismo, rappresenti una negazione della libertà e sia in conflitto, insuperabile, con i principi di una democrazia liberale». Può darsi. Ciò che è certo, almeno all’avviso di chi scrive, è che il “comunismo” «o, volendo essere più precisi, il marxismo-leninismo» di cui parlava il democristiano siculo, era in conflitto insuperabile con la teoria e, soprattutto, con la prassi dell’autentico comunismo, mai sperimentato in nessun luogo del pianeta nemmeno in una sua forma rozza o incompiuta. Ovviamente non mi sorprende affatto che Mattarella non abbia colto l’abissale differenza che passa tra il comunismo e lo stalinismo (che del primo è la più cruda negazione): non ci sono riusciti nemmeno fior di intellettualoni “comunisti”!

Insomma più che di cattocomunismo*, a proposito dei «cattolici che guardano a sinistra» si dovrebbe parlare piuttosto di cattostalinismo, o cattostatalismo. Ma queste sono quisquilie politologiche, pinzillacchere dottrinarie, mi rendo conto. E allora concludiamo con qualcosa di serio!

Le prime parole del nuovo Capo di Stato hanno commosso chi pensa ossessivamente, dalla mattina alla sera, alla cattiva esistenza «degli ultimi»: «Il mio pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo». Sì, come prima esternazione di sobria banalità può bastare. È sufficiente quantomeno a convincere Norma Rangeri a una cauta apertura di credito: «Capiremo se le prime frasi pro­nun­ciate dal Presidente della Repub­blica sono sol­tanto parole o diven­te­ranno fatti. Per­ché la par­tita non si gioca tra i mille scesi in campo tra le mura del parlamento, ma tra i milioni di lavo­ra­tori e fami­glie ita­liane che sono al collasso» (Il Manifesto, 31 febbraio 2015). Sento puzza di «convergenze parallele»…

«”Se fossi in Parlamento voterei Mattarella come presidente della Repubblica”. Lo afferma il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, interpellato telefonicamente: “Considero che sia la figura adatta, con l’autonomia necessaria per far applicare e far rispettare i principi della nostra Costituzione. E in più – prosegue Landini – in un momento di distacco e di sfiducia delle persone dalla politica, considero l’etica e la moralità con cui Mattarella ha fatto politica un punto e una qualità molto importanti”» (Il Secolo XIX, 30 gennaio 2015). Molti sostenitori della “Rivoluzione Greca” ancora in corso non la pensano diversamente, e con ciò essi mostrano una stringente coerenza – e non faccio dell’ironia: tutt’altro”! Non c’è che dire, i lavoratori italiani si trovano in mani sicure: quelle degli onesti servitori del Superiore Interesse Nazionale. D’altra parte, dai figli e dai nipotini del togliattismo-berlinguerismo non ci si poteva aspettare di meno.

mattarella-636806* Scrive Francesco Cundari: «Quale sia l’origine del termine è difficile dire. Il dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro ne data la nascita al 1979. Ma già l’anno prima lo si ritrova in un libro di Enzo Bettiza (“Il comunismo europeo”) dove l’autore definisce le Brigate rosse “una sorta di esasperazione estremistica del compromesso storico”. […] Storicamente, il riferimento più naturale è al gruppo di Franco Rodano, fondatore del Movimento dei cattolici comunisti, poi confluito nel Pci, dopo avere incrociato varie esperienze con altri giovani provenienti da esperienze associative di area cattolica, come il già citato Ossicini e Antonio Tatò, che molti anni dopo sarebbe diventato il più stretto collaboratore di Enrico Berlinguer. E così, dopo essere stato a lungo un ascoltato consigliere di Palmiro Togliatti, Rodano avrebbe esercitato, anche attraverso Tatò, una forte influenza su Berlinguer, tanto da essere ritenuto da molti il vero ispiratore del compromesso storico» (Il Foglio, 30 gennaio 2015). Questo a proposito di cattostalinismo e, in un certo senso, di “album di famiglia”: «Chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle BR. Sembra di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria. Il mondo, imparavamo allora, è diviso in due. Da una parte sta l’imperialismo, dall’altra il socialismo. L’imperialismo agisce come centrale unica del capitale monopolistico internazionale» (R. Rossanda, Il Manifesto, 28 marzo 1978). Che brutto album!

QUELLA “TERRA DI MEZZO” MI RICORDA QUALCOSA. E NON È LA MAFIA

R600x__mafia_romaPostato su Facebook il 4 dicembre

Per quanto mi riguarda la cosa più intelligente – o meno banale – sull’ennesima “crisi morale” che scuote il Paese, giunge dalla metaforica penna di Giuliano Ferrara (all’indignato Partito degli Onesti segnalo invece l’articolo politicamente correttissimo di Sua Santità della Morale Roberto Saviano pubblicato oggi da Repubblica):

«Secondo me questa storia della cupola mafiosa a Roma è una bufala. Una supercazzola del tipo “Amici miei” nella versione “camerati miei”. Roma pullula come tutte le grandi città di associazioni per delinquere, e le risorse pubbliche, scarsine, sono appetite da piccoli medi e grandi interessi (questi ultimi in genere sono al riparo dalle inchieste): ladri, ladruncoli, millantatori, politicanti, funzionari corrotti e cialtroni vari sono un po’ dappertutto (Roma è il teatro degli Er Più de borgo, uomini d’onore all’amatriciana), ma trasformarli in una “mafia”, precisando che è “originale”, “senza affiliazione”, e farne un “sistema criminale” simile alla piovra, in un horror movie che si ricollega alla banda della Magliana, andata in pensione parecchi anni fa, è appunto una colossale bufala» (Il Foglio, 4 dicembre 2014).

Senza entrare nel merito dell’operazione Terra di Mezzo, che si presta a commenti di vario genere e che può indignare/sorprendere solo chi sogna una società (capitalista) dalle mani pulite (sic!) e dal volto umano (strasic!), mi sento di poter dire, senza paura di incorrere in gravi errori di valutazione, che il “mondo criminale” di Massimo Carminati e di Salvatore Buzzi somiglia come una goccia d’acqua alla “convenzionale” Terra del Capitale plasmata dagli interessi economici, ossia al mondo dominato dalla bronzea legge del profitto. Ma anche alla società civile come hobbesiano mondo degli interessi, per l’appunto, tematizzata dalla migliore filosofia politica borghese dal XVI secolo in poi.

Dalle sentine romane vien fuori poi molto materiale che invita a riflettere sull’antiquata e sempre più decomposta struttura sociale del cosiddetto Bel Paese. Struttura che, beninteso, comprende anche il sistema politico-istituzionale italiano e il suo rapporto con la «società civile»: vedi alle voci parassitismo sociale, “partitocrazia”, “consociativismo”, burocrazia, “capitalismo municipalista”, “terzo settore”, “privato sociale”, e così via. Come sanno tutti (persino io!), è nelle pieghe dell’inefficienza sistemica che si annida il “magna magna”, a Roma come a Pechino. Solo che in Cina i politici corrotti rischiano la fucilazione: è la patria ideale dei grillini e manettari di vario conio politico-ideologico!

La violenza come strumento al servizio degli interessi economici e politici è cosa vecchia quanto il mondo che in quegli interessi trova la sua unica legittimità storica e il suo vitale nutrimento. Giusto un mentecatto della narrazione politica come Nichi Narrazione Vendola poteva commentare la vicenda romana come segue: «Destra e mafia: una coppia di fatto». Semmai: Capitale e violenza (politica, militare, psicologica, SISTEMICA) una coppia di fatto – e di diritto, quando entra in scena il Moloch che detiene il monopolio della violenza. Anche perché, a quanto pare, ai vertici della “cupola mafiosa” romana si trovavano due tipi aventi alle spalle esperienze politiche opposte: un estremista di “destra” e un estremista di “sinistra”. Una struttura criminale post fasciostalinista? Non saprei dire. Certo, bisogna pure stendere un miserabile velo sulla presunta correttezza etica delle cooperative rozze. Ma questi sono problemi che toccano er popolo de sinistra, non il sottoscritto.

R600x__inchiesta_mafia_capitale_soliti_ignotiIl problema, sempre dal mio singolarissimo punto di vista, non è insomma la violenza (tantomeno la corruzione) messa al servizio degli affari, ma la stessa possibilità di intascare rendite e profitti: fare del moralismo intorno alle concrete strade che questa astratta possibilità prende, significa non capire l’essenza del cattivo mondo che ci ospita.

Ecco la Terra di Mezzo secondo Marx (ovvero, la trasversalità degli istinti borghesi): «La verità è che in questa società borghese ogni lavoratore, purché sia un tizio intelligente ed astuto, e dotato di istinti borghesi, e favorito da una fortuna eccezionale, ha la possibilità di trasformarsi in sfruttatore del lavoro altrui. Ma se non ci fosse lavoro da sfruttare, non ci sarebbero capitalisti né produzione capitalistica» (Il Capitale, libro I, capitolo sesto inedito). Come sempre, il problema “sta a monte”. Infatti la questione, per parafrasare taluni nostalgici di Berlinguer, non è morale ma squisitamente sociale. Insomma, io mi “stupisco” che molti si stupiscano che ci sia gente («anche de sinistra!») disposta a trasformare le altrui disgrazie (immigrati, carcerati, terremotati, senza tetto e via di seguito) in altrettante occasioni di profitto.

Leggo sull’Avvenire di oggi: «Un’organizzazione che favoriva l’immigrazione clandestina in Europa, con sbarchi in Italia, è stata scoperta dalla Squadra mobile di Catania e dallo Sco. La polizia di Stato ha arrestato 11 eritrei. Il gruppo criminale a carattere transnazionale operava in Italia, Libia, Eritrea e in altri Stati nordafricani». Il fatto che quell’organizzazione dedita al traffico di carne umana sia stigmatizzata come «gruppo criminale» non muta di una virgola la sostanza della cosa. Non chi scrive, ma la realtà conferma sempre di nuovo che non c’è magagna sociale che non possa trasformarsi in ghiotta occasione di profitti per chi ha denaro, inventiva, coraggio, spregiudicatezza, cinismo, disperazione e quant’altro da investire. Criminale è la potenza del denaro, il quale d’altra parte non è che un rapporto sociale.

Ecco perché quando il Papa più amato dai progressisti dice oggi che «I poveri non possono diventare occasioni di guadagno», mi vien da sorridere, sempre con rispetto parlando: che tenerezza! Che Santissima Ingenuità! Che amabile banalità! D’altra parte, cos’altro avrebbe potuto dire un Santo Padre (ancorché “mezzo comunista”) che si rispetti?

222Mi scrive un lettore del post sempre su Facebook:

«Il discorso è assolutamente vero, e ovunque almeno in Italia la cosiddetta “criminalità organizzata” e solo uno dei tanti comitati d’affari, è anche vero però, che a Roma si è vista affidare l’intera Atac a gente di Terza Posizione e un sacco di personaggi inquietanti dei Nar e di TP prendere posizioni importanti nell’amministrazione. Chi conosce la storia del neofascismo romano tra i ’70 e gli ’80 non può non notare il ritorno sistematico di tutti questi nomi e negare una certa particolarità, (pur se coerente rispetto a ciò che succede altrove in Italia) nella situazione che s’è delineata a Roma».

La mia risposta:

«Per quanto mi riguarda non nego affatto le peculiari forme che fenomeni sociali riconducibili a un’unica matrice storico-sociale (il capitalismo) assumono nei diversi punti del Paese e del globo. È per questo, ad esempio, che trovo quantomeno inadeguato rubricare tutti i “fenomeni criminali” come mafia. Comunque, e sempre ribadendo l’esistenza delle specificità locali, io invito a riflettere non su “Mafia capitale”, ma sul Capitale. Sul Capitale, qui genericamente inteso, come si dà nello specifico italiano, più che romano. E quindi sul Capitale nel suo rapporto con la realtà politico-istituzionale del Bel Paese. È all’interno di questo contesto concettuale che, a mio avviso, le peculiarità locali possono trovare una corretta (non ideologica) collocazione».

Il lettore mi fa sapere che concorda con me «al 100 x 100».

Italian navy rescue asylum seekersPostato su Facebook il 20 dicembre 2014

SCHIAVITÙ 2.0 E “POST-CAPITALISMO”

Da Articolo 21 (Redattore Sociale, 12 dicembre 2014 ):

«Sono 400 mila i braccianti che nel 2013 hanno lavorato in condizioni di sfruttamento nelle campagne italiane. Ma non è solo nei campi che si annida la schiavitù. A portare i nuovi sfruttati in Italia sono bande di colletti bianchi organizzate come agenzie e cooperative, che procurano regolari documenti. […] A sentire gli operatori sul campo, la schiavitù 2.0 non avrà più il volto e le mani nodose degli ex braccianti riconvertiti al caporalato: a portare in Italia i nuovi schiavi, sempre più spesso, sono bande di colletti bianchi organizzate in agenzie, associazioni o cooperative sociali. Come a dire che Salvatore Buzzi e i suoi sodali non sono certo gli unici ad aver intravisto un business milionario dietro i flussi migratori diretti nel belpaese. Ma se le cifre dell’agricoltura iniziano a essere progressivamente inquadrate, non si può dire altrettanto per quanto riguarda l’industria e i servizi: “Oggi –  continua Monsignor Perego – sappiamo con certezza che situazioni di sfruttamento sono largamente diffuse tanto nel mondo delle badanti e dei servizi di cura, quanto in quelli della ristorazione, del catering, del turismo e di gran parte dei lavori che presentano caratteri di stagionalità».

«Quasi a ribadire, ancora una volta, che il business dei migranti non inizia e non finirà con “mafia capitale”. “E anzi – conclude Monsignor Perego – proprio il processo alla cupola romana potrebbe far luce su un nuovo aspetto della questione: perché, quando i legami d’affari tra i vari clan saranno noti, non è escluso che venga fuori un filo che lega le organizzazioni che si occupavano d’accoglienza a quelle che tengono in piedi sistemi di sfruttamento vero e proprio”».

Bande di colletti bianchi? Mafia capitale? Sistema criminale? Ma non si fa prima a chiamare il tutto con il suo vero nome?

DIEGO FUSARO, VALENTINA NAPPI E L’ACEFALO PRINCIPIO DEL GODIMENTO

valentinaChe filosofi siete se vi vergognate della
vostra vita sessuale? Così cercate la verità?
(Valentina Nappi).

La cosa stessa brama l’intima penetrazione
del pensiero non pago dell’apparenza.
Confessare la verità, magari fra risa, pianti
e grida di dolore e di gioia, le dà il massimo
dei godimenti possibili in questo ingannevole mondo.
«Presto, presto, mettetemi a nudo!», grida la cosa.
(Sebastiano Isaia).

Nella sua epica polemica con Valentina Nappi (questa meravigliosa «merce seducente», questa «pura macchina di piacere senza dignità» verso la quale chi scrive deve confessare un’indicibile attrazione… intellettuale), il filosofo di successo Diego Fusaro inveisce contro gli «utili idioti al servizio di sua Maestà Le Capital». Non da oggi ritengo che lo stesso pensatore che passa (vai a capire poi il perché) come un brillante rinnovatore del “marxismo novecentesco” vada senz’altro rubricato a sua volta come utile idiota, nonché «vecchio anzitempo», come ho scritto in passato su qualche post dedicato alle sue posizioni politiche ultrareazionarie: fasciostaliniste, sovraniste e servili nei confronti degli Stati che entrano in rotta di collisione con l’imperialismo americano – e solo per questo ritenuti degni di ammirazione: vedi la Siria del macellaio e perito chimico Assad.

La risposta “definitiva” di Fusaro (La signorina Nappi e le orge del capitale) alla scollacciatissima «signorina Nappi» me ne dà ampia conferma.

La sua difesa dell’alta cultura borghese («Goethe e Mozart, Hegel e lo stesso Marx»), ultima trincea dalla quale esperire feconde pratiche catecontiche in attesa di tempi migliori, non appare infatti credibile, almeno ai miei occhi; essa si mostra in tutta la sua miserabile pregnanza soprattutto quando Fusaro afferma di voler frenare la «marcia trionfale del capitale», quando si tratta invece di superare il Capitalismo tout court; di voler conservare quel simulacro di sovranità nazionale che barcolla sempre più paurosamente sotto i colpi del rapporto sociale capitalistico (la cui dimensione geosociale “naturale” è il mondo, come aveva già capito il pornosofo di Treviri), quando si tratta per le classi subalterne di tutto il pianeta di riconoscersi come soggetti capaci di rivoluzione sociale: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!»; di voler uscire dall’euro (e ripristinare la liretta?), quando si tratta di uscire fuori dalla maligna (e non c’è esorcista che tenga, caro Francesco*) dimensione capitalistica.

Una dimensione che fa di ogni cosa, a cominciare dai corpi degli individui (non si parla forse di “capitale umano”?), un’occasione di profitto, una risorsa economica da sfruttare al 100 per cento, e anche oltre, come accade appunto per la bio-merce chiamata uomo/donna, una miniera praticamente inesauribile di occasioni di profitto.

Scriveva Ettore Gotti Tedeschi qualche anno fa: «Nel riflettere su cause, conseguenze e soluzioni di questa crisi economica, ritengo che non sia il capitalismo a dover avere i sensi di colpa bensì piuttosto il moralismo perduto. Ciò perché l’origine vera della crisi è di ordine morale. […] Essa risiede nel pensiero nichilista che ha confuso le ultime generazioni dissacrando l’uomo» (Il virus nichilista che contagia il capitalismo, Il Sole 24 ore, 13 febbraio 2010). Ma nichilista è innanzitutto il Capitalismo! Il Capitalismo tout court, senza altre inutili e ambigue definizioni che sortiscono l’esclusivo effetto di sviare l’attenzione dalla radicalità del male: il vigente rapporto sociale di dominio e sfruttamento. Hic Rhodus, hic salta! Tutto il resto è insulso moralismo, da Papa Francesco in giù. Ma sto divagando! O no?

imagesPLB5XUP7Lo ripeto, il pulpito “anticapitalista” di Fusaro non mi sembra quello dal quale poter scagliare frecce critiche né contro gli apologeti della «Destra del Denaro» né, tanto meno, contro la «”Sinistra del Costume” e i suoi utili idioti al servizio del re di Prussia che starnazzano dicendo che la famiglia è una forma borghese superata e che la precarietà è buona e giusta».

Corre un’abissale distanza fra chi (vedi ad esempio Theodor Adorno e Max Horkheimer) praticò la resistenza esistenziale (politica, concettuale, psicologica, umana) e persino il katechon ai tempi dello stalinismo e dell’americanismo trionfanti, e chi oggi affetta pose da intellettuale che la sa lunghissima intorno al discorso del Capitale (esattamente come Massimo Recalcati**), mentre trasuda reazione politico-ideologica da tutti i pori. La nostalgia di Fusaro del «capitalismo borghese», contrapposto al «capitalismo postborghese e finanziario» dei nostri pornografici giorni come solo i grandi pensatori dialettici possono fare, odora di muffa, anzi di putrefazione.

Sulle riflessioni politiche e filosofiche della «signorina Nappi» mi eserciterò un’altra volta, forse. Magari quando sarò riuscito a mettere a freno il mio pregiudizio positivo nei suoi confronti. Maledetto «acefalo principio del godimento»!

na1* «Papa Francesco, che alle tentazioni del demonio dedica spesso riferimenti ampi e espliciti nella sua predicazione, ha mandato un messaggio al congresso, in cui invita gli esorcisti, “in comunione con i propri vescovi”, a manifestare “l’amore e l’accoglienza della Chiesa verso quanti soffrono a causa dell’opera del maligno» (Il giornale, 29 ottobre 2014). L’espansionismo politico-ideologico della Chiesa progressista di Bergoglio non conosce tregua e penetra, come il coltello nel burro, in una società in crisi di valori (compresi quelli di scambio). Il 23 ottobre il Santissimo ha bacchettato il «populismo penale» dei manettari, ma anche scomunicato i corrotti che tradiscono il bene comune; il 27 ha poi proclamato la conciliabilità tra punto di vista creazionista e punto di vista evoluzionista, provocando il sarcasmo di Piergiorgio Odifreddi, il Papa dell’Ateismo che denuncia il goffo «e patetico tentativo da parte dei papi e della Chiesa di continuare ad arrampicarsi sugli specchi per conciliare Dio e la scienza». Per la verità si tratterebbe di riconciliare uomo in quanto uomo e società, ma questo è un altro discorso. Infine, Francesco ha ribadito di essere dalla parte dei poveri e delle loro lotte. Altro che “comunismo”!

** Scrivevo il 6 giugno di quest’anno (Sognando Berlinguer. Massimo Recalcati e i «falsi miti edonistici del capitalismo:

«”Da una parte c’era Deleuze che diceva che nel capitalismo c’è qualcosa di cui dobbiamo appropriarci: la politica dei flussi, la deterritorializzazione, i concatenamenti molteplici e infiniti del desiderio [ahi!]; dall’altra parte c’era Berlinguer che mostrava, direi oggi a ragione,  il rischio immanente a questo discorso, cioè la sua collusione fatale con la dimensione più dissipativa e irrazionale dell’iper edonismo del discorso del capitalista. È un fatto ai miei occhi chiaro: Berlinguer ha storicamente vinto su Deleuze. La sua questione morale è oggi ancora una alternativa etica al discorso del capitalista, mentre le macchine desideranti di Deleuze sono state fagocitate dal discorso del capitalista, hanno dato luogo a quella “mutazione antropologica”, per usare un’espressione di Pasolini, che ha trasformato l’uomo in una macchina impersonale di godimento” (M. Recalcati, Patria senza padri, p. 47, Minimun fax, 2013). Ora, non voglio diffondermi in un confronto tra Deleuze e Berlinguer, anche perché non sarei in grado di svolgerlo in modo appropriato; qui mi permetto solo di affermare, con la stessa sicumera di Recalcati, che a un Berlinguer anticapitalista, o quantomeno critico del “discorso del capitalista”, può credere giusto un indigente in fatto di coscienza critica. E purtroppo questo “tipo umano” abbonda. Eccome se abbonda!».
Su questi temi leggi La “rimozione” di Massimo Recalcati.

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Il Marx dei fasciostalinisti
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La resa incondizionata degli amici del macellaio di Damasco

MISERABILANDIA E IL FALLO DI BERLUSCONI

silvioIl fallo, inteso come errore, non sussiste. Il fallo, se Dio vuole, non costituisce reato. Dopo l’epocale sentenza emessa ieri dalla Corte d’Appello di Milano, Miserabilandia è tornata a spaccarsi: ecco il partito berlusconiano esultare e gongolare, ecco il partito antiberlusconiano piangere e rosicare.

«Berlusconi è innocente a sua insaputa», ha balbettato uno stinto Travaglio, la punta di lancia della fazione manettara, nonché zelante velina al servizio dei Pubblici Ministeri chiamati a raddrizzare l’albero storto  dell’etica italiota. Poche storie: «essere Berlusconi non è reato», hanno rilanciato i fedelissimi dell’ex puttaniere di Arcore, Giuliano Ferrara in testa, il quale è apparso contento di scoprirsi un dignitoso signore (nonostante certe frequentazioni “pericolose”), anziché «una puttana alla corte di Silvio».

«Tutto quello che dicono sul fatto che noi vogliamo il fango e la ghigliottina e il sangue e le manette sono tutte cazzate», ha dichiarato Travaglio ad Affaritaliani.it. con il solito spocchioso livore. Uhm. Sarà vero? Titubo. Tentenno. Nel dubbio consiglio prudenza, secondo il noto principio di precauzione: se li conosci

Ascoltata con le lacrime agli occhi la sentenza del Bunga-Bunga, l’ironico Giancarlo Lehner, politico e intellettuale di provata fede berlusconiana (altro che Fini e Alfano!), si è affrettato a divulgare la seguente sconvolgente notizia: «Rosy Bindi annuncia di voler lasciare la politica per darsi alla teologia. Non si minaccia così Nostro Signore». Come dargli torto. E poi, la campagna femminista incentrata sul Corpo delle Donne ha ancora bisogno di colei che osò negarsi ai demoniaci istinti sessuali del noto satrapo (il quale bramava, a quanto pare “a sua insaputa”, le virginali grazie della pulzella di Sinalunga). Tanto più adesso che si profila l’odioso sdoganamento a mezzo riforme costituzionali del famigerato Porco: se non ora, quando?

boccassini-berlusconi-occhiali-571132Ancora stordito dall’inattesa assoluzione, lo Statista Pregiudicato oggi alle prese con la riforma costituzionale ha dichiarato che, dopo tutto, la maggiore responsabilità delle sue traversie politico-giudiziarie va attribuita non tanto alla Magistratura, che comunque in larghissima parte è fatta di «brave persone», ma «all’odio, al gossip e alla disinformazione» propalati da certi giornali faziosi. Naturalmente l’allusione dell’eroe del giorno cade su Repubblica e su Il Fatto Quotidiano, gli araldi dell’antiberlusconismo duro e puro.

L’intellettualone – nonché fasciostalinista – Alberto Asor Rosa, a suo tempo teorico del «colpo di Stato democratico» ai danni dell’ex Cavaliere Nero, appresa la sciagurata sentenza ha sentenziato che adesso il partito anticostituzionale si è indubbiamente rafforzato: di qui, sempre secondo il Professorone, l’urgenza di costruire una forte Resistenza in grado di arrestare l’involuzione antidemocratica del Paese. Un appello (l’ennesimo) al quale gli amanti della Costituzione «più bella del mondo» risponderanno certamente con rinnovato entusiasmo, al contrario di quanto farà chi scrive, nella sua qualità di nemico irriducibile della Repubblica democratica fondata sul lavoro salariato.

Norma Rangeri (Il Manifesto) non riesce a nascondere la sua indignazione, che cerca di esprimere in modo ironico: «Non sarà lo sta­ti­sta che in Europa e nel mondo ci invi­dia­vano, ed è pur sem­pre un imprenditore pre­giu­di­cato per reati di frode fiscale, oltre che un ex pre­si­dente del con­si­glio a pro­cesso per la compra-vendita di parlamentari. Ma con l’assoluzione pro­nun­ciata dai giu­dici della corte d’appello di Milano, oggi Sil­vio Ber­lu­sconi con­qui­sta l’invidiabile sta­tus di anziano miliar­da­rio a tal punto cre­du­lone da scam­biare Ruby per la nipote di Mubarak. […] La realtà supera sem­pre la fan­ta­sia, e dice che non c’era biso­gno di que­sta assoluzione per ridare a Ber­lu­sconi il ruolo di part­ner pri­vi­le­giato nella revi­sione delle regole democratiche. Come si diceva una volta, il pro­blema è politico». Non c’è dubbio.

Anche per il garantista Piero Sansonetti «il problema è politico», e infatti egli invita i suoi amici della sinistra forcaiola a non guardare solo le vicende giudiziarie dell’imputato eccellente per evidenti fini politici, perché l’irresponsabile partito dei Pubblici Ministeri oggi stritola soprattutto migliaia di poveri cristi.

ferrara-boccassini-246760Ad Alessandro Trocino (Il Corriere della Sera) Giuliano Ferrara confessa di sentirsi «l’uomo più felice del mondo», perché è un amico di Berlusconi e perché l’ha «sempre considerato non un pregiudicato ma un perseguitato». Io invece l’ho sempre considerato un capitalista e un politico al servizio del regime sociale capitalistico, esattamente alla stregua di tanti altri suoi colleghi (di “destra”, di “centro”, di “sinistra”). Qui però si tratta dell’ex Premier e della felicità dei suoi amici e tifosi, non del sottoscritto.

Ecco alcuni passaggi dell’intervista-orgasmo rilasciata dal noto Elefantino (che pubblico solo per confermare quanto ebbe a dire una volta Rino Formica, una delle teste “più lucide” della cosiddetta Prima Repubblica: «La politica è sangue e merda»).

«Questa è stata una vicenda ignobile. Un’inchiesta che è andata avanti come una campagna di disinfestazione moralistica e con toni da comune senso del pudore che non vedevamo dai reazionari anni 50. È stato un processo da inquisizione, che fa esplodere la grande complicità del sistema mediatico, dei vari Travaglio, Santoro, Lerner. Non amo polemizzare alla memoria ma tutti ricordiamo come la stessa mano che ha scritto che Rostagno era stato ucciso dai suoi amici e non dalla mafia, tesi smentita da una sentenza di tribunale, ha poi costruito intorno a Berlusconi un romanzo voyeuristico e spionistico che tornerà per sempre a disonore del giornalismo italiano. È noto che Berlusconi non ama giocare a canasta con i suoi coetanei, ma l’idea che fosse a capo di un racket di prostituzione poteva venire solo a una giustizia ripugnante, codina e reazionaria. Gli avversari di Berlusconi sostengono: un conto è un’assoluzione, un conto il giudizio politico. Chi lo contestava prima, non cambierà idea. Sono sepolcri imbiancati, ipocriti. Il punto è precisamente quello, si trattava di una contestazione penale. Sono state costruite accuse grottesche, come il reato di palpeggiamento*. Oggi, spero, sarebbe accolto con un fragoroso pernacchio chi avanzasse l’idea di mettere in galera una persona solo perché critica la magistratura».

A questo proposito io consiglio maggiore prudenza, anche perché non tutti possono permettersi gli avvocati di serie A, e probabilmente nemmeno quelli della serie inferiore.

CDR457840 digital rectal exam* «Camera dei Deputati, 4 aprile 2011. Dibattito sulla prostata – evidentemente infiammata – dell’Assatanato di Arcore. La relatrice di minoranza del PD ha dichiarato che il noto Mostro si è reso responsabile di “atti eticamente e penalmente sensibili”.

Vacilla, sotto la spinta degli eticamente corretti (ex stalinisti, ex fascisti, ex cattocomunisti, fondamentalisti cristiani e gentaglia varia), il già debole confine che separa peccato e reato. Per parafrasare il bravo cantautore siciliano, forse è venuto il tempo di rimetterci la maglia, e, già che ci siamo, il cappotto: forse i tempi stanno davvero per cambiare. In peggio, ovviamente, perché com’è noto il peggio non conosce limite. Intanto ho chiesto istruzioni al mio avvocato: meglio non lasciarsi trovare impreparati in caso di equivoche conversazioni telefoniche.

La voce del padrone eticamente impeccabile fa sapere che chi ha la coscienza tranquilla e non ha nulla da nascondere non ha motivo di preoccuparsi. Appunto!» (La prostata di Silvio e gli eticamente corretti).

mutande-572267Aggiunta da Facebook (24 luglio 2014)
DIALETTICA DELLA LINGERIE
Dedicato anche a Barbara Spinelli*

«Juliette ha per credo la scienza. Le ripugna ogni venerazione la cui razionalità non si possa provare. Anche la libertina Juliette si schiera dalla parte di quella normalità che riduce il piacere fisico. Il debosciato senza illusioni per cui si pronuncia Juliette, si trasforma nell’uomo pratico e comunicativo, che estende la sua professione d’igiene e di sport anche alla vita sessuale. Il dominio sulla natura si riproduce all’interno dell’umanità. L’immaginazione cerca di tener testa all’orrore. Il proverbio romano per cui res severa verum gaudium, esprime anche la contraddizione insolubile dell’ordine che trasforma la felicità nella sua parodia, e la suscita solo dove la prescrive. Sade e Nietzsche hanno eternato questa contraddizione, ma hanno contribuito così a recarla al concetto» (M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo).

* «Sade avrebbe potuto far proprie letterariamente le parole di Ferrara, e in genere la condotta di Berlusconi, anche se quest’ultimo non torturava ma blandiva favorite e concubine. Ma Sade è uno scrittore. Raffigurando teatralmente la negazione dell’uomo e di Dio, Sade è lo scandaloso demistificatore che nel ’700 abbatte tutti i tabù e le morali costituite: “È la natura che voglio oltraggiare: voglio perturbare i suoi piani, contrastare il suo cammino, fermare il corso degli astri” (La Nuova Justine). “Il marchese De Sade installato a Palazzo Chigi è dinamite non letteraria o artistica o naturale, ma pericolo pubblico che ha degradato e in parte distrutto l’Italia. Ancora oggi ne paghiamo il prezzo, se è vero che Berlusconi, rallegrato dall’assoluzione, si appresta con l’aiuto di Renzi a divenire, anche se tuttora condannato per frode fiscale, il padre rifondatore – e sovvertitore – della nostra Costituzione» (B. Spinelli, Il Fatto Quotidiano).

Dinanzi a una simile dimostrazione di razionalità politico-filosofica il mio indigente pensiero ammutolisce. Tanto più che non ho nulla da dire contro i “sovvertitori” «della nostra Costituzione». Lo confesso: «la mia fantasia è sempre stata al riguardo molto oltre i miei mezzi; ho sempre immaginato molto più di quanto ho fatto» (Le 120 giornate di Sodoma).

Leggi:

UMILIATI E OFFESI. I DOLORI DEL POPOLO ANTIBERLUSCONIANO

IL COLPO DI STATO SESSUALE È MEGLIO

IL BUCO DELLA SERRATURA. E QUELLO DI NOI TUTTI

L’ODIOSA VERITÀ DEL CAVALIERE NERO

BENVENUTI A MISERABILANDIA

IL GARANTISTA: UNA RAZZA ESTINTA?

C_2_video_371734_videoThumbnailQualche mese fa mi concedevo il lusso della seguente incidentale riflessione: «Soprattutto a proposito della “deriva manettara della sinistra” Piero Sansonetti ha scritto cose intelligenti» (Riflessioni rigorosamente antisovraniste). A mio avviso, l’editoriale di oggi del direttore del Garantista, dedicato alla battuta berlusconiana sulla Magistratura come «potere incontrollato e incontrollabile» sanzionata ieri dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, conferma questo giudizio.

Per Sansonetti «il pregiudicato», come amano chiamarlo alcune tifoserie particolarmente agitate di Miserabilandia, Silvio Berlusconi aveva tutto il diritto di commentare nel modo che sappiamo la battuta del Presidente della sesta sezione del Tribunale Giovanna Ceppaluni («Non c’è proprio alcun bisogno che lei capisca»), sbagliata nei contenuti e maleducata nella forma: «non ci si rivolge così né a un giovane né, tanto meno, a un uomo anziano». Naturalmente questa sua ultima “scivolata garantista” confermerà dalle parti dei manettari sinistrorsi l’idea secondo la quale Sansonetti ha venduto l’anima al Demonio. «Sansonetti è un uomo di sinistra? Ma non scherziamo! Quello è più a destra del pregiudicato di Arcore!»

In una intervista a Tempi del 17 giugno scorso Sansonetti spiegava nei termini che seguono il senso della sua nuova e difficile avventura editoriale: «Da almeno vent’anni, penso anche trent’anni, non c’è più una sinistra garantista in Italia, quanto meno non è maggioritaria. Anzi, oggi questa parola ha subìto uno strano contrappasso, spesso in certi ambienti assume il significato erroneo di “amici dei mafiosi”. Per garantismo invece si intende la civiltà, la migliore tradizione dell’illuminismo o del cristianesimo. Ecco noi vogliamo costringere anche la sinistra a ragionare, a tornare a personaggi che sono stati pilastri portanti del diritto per l’Italia. C’è stato un tempo in cui la sinistra italiana è stata garantista e vorrei spingere quella attuale a ricordare persone come Umberto Terracini, o Piero Calamandrei».

Qui il nostro garantista senza se e senza ma si rende responsabile di un piccolo peccato omissivo: egli, infatti, non ricorda al lettore le cosiddette leggi speciali (o «emergenziali», come si disse allora) varate negli anni Settanta dallo Stato democratico per reprimere movimenti politici e sociali irriducibili alla cosiddetta logica democratica, che è poi la logica della conservazione sociale, la quale ha soprattutto nella prassi elettorale il suo momento più efficace e pregnante. Perché più efficace e pregnante? È presto detto: con la scheda elettorale il Dominio consegna ai dominati la corda con cui essi sono invitati a impiccarsi. Certo, ai cittadini elettori è concesso il diritto di scegliere “liberamente” l’albero che più gli aggrada per espletare la cosa: l’albero di “destra”, l’albero di “centro”, l’albero di “sinistra”, e così via. Ce n’è per tutti i gusti! Basta rispettare la Sacra Costituzione benedetta a suo tempo da Umberto Terracini e da Piero Calamandrei.

Chi ha una certa età, o semplicemente chi ha studiato la storia dei famigerati “anni di piombo”, sa bene come il partito della repressione ebbe soprattutto nel PCI di Berlinguer, nella DC di Cossiga e nel PRI di La Malfa (il quale dopo l’uccisione di Aldo Moro chiese, con Almirante, l’introduzione della pena di morte per i reati di terrorismo) i suoi maggiori sponsor. Con la scusa della lotta al terrorismo, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, lo Stato democratico «nato dalla Resistenza» (e degno erede dello Stato fascista*) gettò nelle patrie galere migliaia di giovani che in qualche modo cercarono di organizzare la lotta dei salariati e dei proletari in genere (disoccupati, senza casa, coscritti alla leva, carcerati, ecc.) al di là e contro la politica dei sacrifici e la “logica delle compatibilità” centrata sugli interessi nazionali.

Allora i “garantisti”, specie se di fede “comunista”, si contavano sulle dita di una sola mano, al punto che qualche intellettuale particolarmente coraggioso avanzò l’ipotesi del garantista come di una specie ormai estinta. Inutile dire che i pochissimi garantisti che ebbero l’ardire di sollevare dubbi circa la «tenuta democratica» del Paese sottoposto al regime emergenziale, non compresero come sia un inganno ideologico contrapporre carota e bastone, agibilità democratica e autoritarismo, elezioni e repressione, democrazia e fascismo, Umberto Terracini e Cossiga (pardon: Kossiga). Ma dal garantista è meglio non pretendere quello che egli, in assoluta buonafede, non è in grado di offrire.

berlusconi-marcello-dell-321114* Cosa che non compresero i terroristi “rossi” imbevuti di ideologia stalinista e resistenzialista, cresciuti, come ebbe a scrivere allora Giorgio Bocca, coltivando il risibile (ma questo lo sostiene chi scrive) mito della «Resistenza tradita» elaborato dalla “sinistra” del PCI. Lo stesso Bocca ammise che proprio questo legame con la Resistenza e con la storia del PCI gli procurava nei confronti dei «nipoti di Stalin e Togliatti» un ambivalente sentimento di odio/amore. Come non smetto di ricordare in questo blog, la Repubblica democratica nata dalla Resistenza si è data come la continuazione del regime sociale capitalistico con altri mezzi e nelle mutate circostanze, e quindi in assoluta continuità “strutturale” con il precedente regime politico-istituzionale. La stessa Resistenza altro non fu se non la continuazione della guerra imperialistica con altri mezzi, nelle mutate circostanze create dalla vittoria delle potenze “antifasciste”.

ITALIANI! Grillo e dintorni.

Ridiamo sull’abisso dell’orrore.
Walter Benjamin
Sghignazziamo sull’abisso di Miserabilandia.
Sebastiano Isaia

Nel suo libro Un Grillo qualunque Giuliano Santoro ha definito il Beppe nazionale, dominatore di mari e scalatore di montagne, come la prosecuzione di Berlusconi con altri media. Non mi sembra un giudizio infondato, tutt’altro. Naturalmente cambiando il non poco che c’è da cambiare nel confronto tra la “discesa in campo” dell’imprenditore milanese, nei primi anni Novanta, e quella recentissima del comico genovese.

Non va, infatti, dimenticato che Berlusconi non ha solo ereditato l’elettorato dei vecchi partiti rottamati per via giudiziaria (il “famigerato” Pentapartito a guida Forlani-Craxi), ma ne ha incorporato fin dall’inizio il personale politico, e questo ne ha di molto depotenziata la carica innovativa, fino a risucchiarlo nella tradizionale politica “compromissoria” italiana. Ancora oggi l’acciaccatissimo Silvio muore dalla voglia di sparigliare il quadro politico-istituzionale del Bel Paese, sacrificando a quest’impresa temeraria e «surreale», per dirla con Giuliano Ferrara, persino la sua stessa creatura partitica. Forse questa storia rappresenta un monito per Grillo, come lascerebbe pensare anche il suo rapido dietrofront a proposito dell’amico Di Pietro, oggi in rapida disgrazia.

Dal punto di vista elettorale il suo Movimento agisce come una camera di compenso, un polmone che recupera una parte dell’astensionismo, creato dalla crisi dei partiti tradizionali, delegittimati sul piano “morale” come su quello politico, e la reimmette nei normali circuiti istituzionali.

Vittorio Feltri, diventato un simpatizzante dichiarato dello «sfasciacarrozze» ligure, le cui provocazioni pare gli procurino veri e propri «orgasmi» (colpa del punto G?), ha dichiarato che ogni epoca ha il suo Berlusconi. Grillo, ovviamente, rifiuta qualsiasi indecente accostamento con lo «psiconano», nonostante si presenti a tutti gli effetti, al pari dell’ex premier, come il nuovo salvatore della patria: «Ringraziate che ci sono io, altrimenti ci sarebbero stati i neonazisti». La Grecia insegna. Certo, non è un giudizio lusinghiero per i suoi seguaci, ritenuti potenziali neonazisti, ma a Beppe, per adesso, essi concedono tutto, e il contrario di tutto, come accade fra innamorati.

Con altri media, per ritornare alla definizione di Santoro, fino a un certo punto, visto che la presenza di Grillo sui media mainstream è diventata davvero strabordante, sebbene il Capocomico affetti di disprezzare il «teatrino della politica» allestito nei talk show televisivi, soprattutto se orchestrati dai conduttori di “sinistra”, i quali evidentemente si sentono in dovere di azzopparne la galoppata politico-mediatica. Chissà poi perché…

D’altra parte, mandria elettronica e mandria televisiva calpestano lo stesso terreno “esistenziale” e si nutrono della stessa sostanza sociale, ragion per cui enfatizzarne le differenze, che pure ci sono, magari per  mitizzare il supposto carattere necessariamente democratico e attivo della Rete, mi appare del tutto sbagliato. Un attivismo elettronico sordo e cieco dinanzi alla menzogna più disumana moltiplicherebbe per mille i vecchi pogrom. Ma ritorniamo al nostro amico.

Se Beppe non va alla televisione, la televisione va da Beppe, novello Profeta, che può così espandere enormemente la sua tecnica comunicativa basata sul monologo, la cui essenza risiede nella passività dell’ascoltatore sollecitato a reagire a comando. Ma non è che il tradizionale comizio funzioni con regole diverse: l’attesa passiva della parola o del gesto da parte del pubblico accomuna la performance del comico e quella del politico.

Mandria elettronica e mandria televisiva calpestano lo stesso terreno “esistenziale” e si nutrono della stessa sostanza sociale. Il comico genovese sfonda lo schermo, come dicono gli esperti, e, com’è noto, dove c’è il pubblico televisivo c’è l’investimento pubblicitario, e così quelli che vivono di industria televisiva sono diventati tutti pazzi per Grillo, il fustigatore della «Casta». Un circolo che si autoalimenta con la soddisfazione di tutti, anche degli spettatori. D’altra parte, come scriveva Horkheimer, «la popolarità consiste nella concordanza senza riserve degli uomini con tutto ciò che l’industria del divertimento giudica loro gradito» (Arte nuova e cultura di massa, 1941). E Adorno rincarava la dose: «L’industria culturale, anziché adattarsi alle reazioni dei clienti, le crea o le inventa. Essa gliele inculca, conducendosi come se fosse anch’essa un cliente» (Minima moralia).

Sul palco il Capo, protagonista di un comizio-spettacolo permanente, perché replicato su ogni media: web, televisione, radio, giornali; sotto il pubblico, più o meno pagante, assetato di “provocazioni politiche” e di battute comiche. Battute e risate: lo spettacolo può andare in onda, in teoria senza soluzione mediatica di continuità, anche perché il caro Beppe recita quasi sempre lo stesso copione, teatro dopo teatro, piazza dopo piazza, aggiornandolo “in tempo reale” con le ultime malefatte dell’odiata «Casta».

Come ho scritto altrove, il Programma politico di Grillo non è che un fritto misto messo insieme assemblando idee prese a “destra” e a “sinistra”: un po’ di liberismo “ben temperato”, un po’ di keynesismo non “fondamentalista”, molta meritocrazia, molta apologia del Capitalismo ecosostenibile, benecomunismo quanto basta, un luogocomunismo anti finanziario che fa tanto Occupy, sovranismo economico anti euro, moralismo giustizialista alla Travaglio-Di Pietro e via di seguito. Il tutto impastato sul palco con l’indiscutibile verve del comico genovese, che gli  permette di calare impunemente sugli astanti le banalità più clamorose, i luoghi comuni più triviali in guisa di perle di saggezza. «Se l’ha detto Beppe, c’è da fidarsi!» «Hai sentito che ha detto Beppe?! Che forza!» Marco Pannella, forse invidioso dei successi “grillini”, sostiene che l’amico Beppe gli ha saccheggiato il Programma. Sarà vero? Ai politologi l’ardua sentenza!

D’altra parte, il fenomeno-Grillo appare significativo più dal punto di vista sociologico, che da quello politologico, e giustamente Santoro sostiene che «per non farsi ipnotizzare, bisogna guardare più alla forma che al merito del grillismo. In altre parole, se perdiamo troppo tempo passando in rassegna i vaghissimi e poco praticabili punti programmatici del partitino di Grillo, rischiamo di perdere di vista la sua vera natura, che risiede negli strumenti di costruzione del consenso, nei suoi archetipi retorici e nella sua struttura organizzativa» (Perché grillo rafforza la delega, Micromega 8 maggio 2012).

Nel frattempo il «partitino» sta scalando rapidamente la classifica elettorale, almeno nei sondaggi e in qualche elezione amministrativa, cosa che gli fa conquistare nuove simpatie, anche da parte di gente ritenuta solo qualche mese fa al di sopra di ogni sospetto, e che getta nel panico, letteralmente, i leader dei partiti e partitini tradizionali, “estreme” comprese.

Del tutto sbagliato, invece, mi sembra la riflessione di Santoro intorno al rapporto tra grillismo e berlusconismo: «Il problema è che abbiamo chiuso frettolosamente l’era berlusconiana, non abbiamo capito cosa abbia significato davvero, che scorie culturali abbia lasciato nel nostro paese. E quindi ci troviamo ad avere un oppositore che forse opera in modo diverso ma sicuramente si muove, come direbbe Vincent Vega in Pulp Fiction, “nello stesso fottuto campo da gioco”» (Intervista di G. Santoro a WM2, Giap, 8 novembre 2012).  Sennonché, il «fottuto campo da gioco» di cui si parla non l’ha certo creato Berlusconi con l’antenna magica, essendo stato piuttosto il Cavaliere Nero di Arcore un agente economico, culturale e politico interamente radicato nelle condizioni “sistemiche” della società italiana.  Il giudizio di cui sopra in parte si spiega con la relativa arretratezza in campo televisivo del bel Paese almeno fino alla fine degli anni Settanta, ai tempi dell’austero bianco e nero e del monopolio Rai, difesi allora soprattutto dai cattocomunisti, ostili alla «deriva americanista» dei media italiani. Il Drive in degli anni Ottanta come metafora di un mondo interamente sussunto alla logica della merce e del profitto. Ma la metafora rinvia alla realtà! «Si sente spesso affermare che i moderni mezzi di comunicazione di massa – cinema, radio, televisione ecc. – offrono a chiunque ne disponga la sicura possibilità di pervenire al dominio delle masse mediante manipolazioni tecniche: ma non sono i mezzi di comunicazione di per sé il pericolo sociale» (M. Horkheimer, T. W. Adorno, Massa, 1954). L’attenzione va piuttosto posta sulla riduzione degli individui a massa, «la quale è un prodotto sociale … Essa dà agli individui un illusorio senso di prossimità e unione ma proprio questa illusione presuppone l’atomizzazione, alienazione e impotenza degli individui» (ivi).

Più in generale, Santoro si muove nell’ambito di quel pensiero progressista mondiale che negli ultimi vent’anni ha fatto di Berlusconi se non il male assoluto, qualcosa che c’è andato molto vicino. Molto. Dimmi chi è il tuo Nemico e ti dirò chi sei…

Per attirare un’attenzione malevola su di sé Grillo gioca a carte scoperte, scopertissime, con la tecnica della fascinazione demagogica, facendo il verso a Mussolini e persino a Goebbels, ma anche ai comunicatori settari, laici e religiosi, che fioriscono rigogliosamente soprattutto negli Stati Uniti. Il tutto secondo l’aurea regola della comunicazione moderna del purché se ne parli. Non importa se bene o male, perché il nemico del comunicatore è l’anonimato mediatico.

Affettando pose “caudilliche”, per così dire, o da Grande Timoniere, pescando istrionicamente nello sterminato repertorio storico disponibile ormai da decenni su ogni tipo di media (televisione in primis), il Nostro sa di irritare gli storici, i sociologi, gli intellettuali della cattedra, gli esperti in comunicazione e i politici tradizionali, stuzzicandone i tic e provocando le loro reazioni pavloviane, che non fanno che espandere il suo potere mediatico e il suo mercato elettorale. Basta leggere, ad esempio, gli stizziti commenti di Eugenio Scalfari al grillesco Italiani! (richiamo che, detto per inciso, ricorda più il fantastico Totò dell’Arrangiatevi! che il Duce del fatale balcone), molto più comici dei comizi del genovese, per capire come il pesce che crede di saperla assai lunga abbocchi puntualmente all’amo.

Il problema, inteso come fatto da investigare, è che Grillo, suo malgrado (?), mostra tutta la pregnanza e la forza di quella tecnica manipolatoria, confermando così che la tesi secondo cui «Sempre i demagoghi seminano su un terreno già arato» (Horkheimer e Adorno) continua a essere valida, soprattutto in tempi di crisi. Sotto questo aspetto il Capocomico appare come una sorta di apprendista stregone: egli testa per conto del Dominio le capacità critiche delle persone. Non lo sa, ma lo fa, e il risultato sorride, necessariamente, al Dominio. Ma non è certo il solo a farlo, non ha l’esclusiva del test, e non c’è luogo pubblico (stadi, teatri, cinema, piazze) che non si presti a questa funzione. Come sempre il problema non è la tecnica, né il tecnico, bensì le condizioni sociali che rendono possibile il materiale “umano” su cui egli lavora, il terreno su cui semina. Grillo è la regola, non l’eccezione.

Sul piano ideologico insiste la maligna pretesa, tipica del cieco moralismo d’ogni tempo, di poter rendere “virtuosi” gli individui, a cominciare da chi si candita a governare la “cosa pubblica”, sulla base della società classista e disumana. Di qui il tentativo di piegare con la violenza, virtuale o reale secondo le circostanze, la Moltitudine a comportamenti ritenuti appunto virtuosi in quanto rispettosi del “Bene Comune”. Servi e padroni affratellati da un comune destino di probità. L’autodafé 2.0 è dietro l’angolo. Forse è già in corso. Grillo o non Grillo.

Una linea politico-ideologica, questa, molto funzionale in tempo di crisi economica e di “marasma esistenziale”, per la sua capacità di fagocitare tensioni sociali, risentimenti, invidie e frustrazioni sociali. Salvo poi venir liquidata in tempi migliori come inspiegabile e insopportabile concessione alla demagogia del «Savonarola di turno».

La stessa cosiddetta “democrazia diretta” basata sulla piazza reale e virtuale non smentisce, ma anzi conferma questa analisi, perché la sudditanza al Dominio sociale s’impone naturalmente e spontaneamente sulla base dei rapporti sociali capitalistici, e difatti nessuna assemblea popolare e democratica delibererà mai il superamento di quei rapporti sociali senza l’irruzione sulla scena sociale dell’evento-Rivoluzione. E non sto parlando né di “rivoluzione culturale” né di “rivoluzione elettorale”, beninteso. Il padrone onesto, in linea con gli standard meritocratici e “socialmente responsabile” è il massimo di pensiero “rivoluzionario” cui può arrivare la Moltitudine non penetrata da quella che un tempo – penso al giovane Lukàcs, ad esempio – si chiamava coscienza di classe.

Solo a Carlo Formenti, «giornalista di formazione marxista, docente universitario di Teoria e tecnica dei nuovi media e firma della rivista Alfabeta 2, di fronte al modello Grillo» poteva venire «da pensare, per alcuni versi, “alla Comune di Parigi”: “Per esempio per quanto riguarda la responsabilità dell’eletto, la sua revocabilità” e la “retribuzione ridotta a livello di quella di un impiegato”. Tutte cose che, dice Formenti, “suonano familiari alle orecchie della sinistra classica”» (Marianna Rizzini, Il Foglio, 10 novembre 2012). D’altra parte, anche a Toni Negri il presente evoca la Comune di Parigi: osservando il movimento Occupy Wall Street. Segno che la «formazione marxista» induce al più ardito ottimismo della volontà… Chi scrive, si capisce, non ha mai avuto nulla a che fare con la «sinistra classica».

CARLO, CROLLA IL CAPANNONE, NON IL CAPITALISMO!

Qualcuno in Alto Loco avverti il vecchio trincatore e sciupa cameriere di Treviri che in Italia non è crollato il Capitalismo, ma che sono venuti giù alcuni capannoni industriali. Che non c’è stata la Rivoluzione Sociale, ma il terremoto. Che le vittime sono gli operai, non i rapporti sociali di produzione capitalistici. «Ma quello continua a bere!» Vogliamo forse vietargli un po’ di Sacro lenitivo?

Ma ecco giungere da queste parti un losco e brutto figuro. Dice di chiamarsi Gad Lerner. E che dice? «Possibile che strutture di costruzione recente, in zone di elevato reddito e di antica tradizione manifatturiera, rivelino una tale fragilità? Possibile che i luoghi di lavoro si rivelino ancora una volta soggetti a rischio nonostante si tratti di opere realizzate da poco? La calamità naturale e l’insensibilità sociale ancora una volta si intrecciano sul territorio italiano». La Sacra Legge del Profitto presso taluni buoni di spirito si chiama dunque «insensibilità sociale»? «Chi è questo sicofante della borghesia?», tuona l’olimpico Carletto, mentre congeda Rousseau, ancora gasato dal successo ottenuto su Voltaire a proposito del terremoto di Lisbona (correva l’anno di disgrazia 1755). Qualcuno in Altissimo Loco avverti l’Avvinazzato che, nonostante tutto, la sua fottutissima anima continua a saperla più lunga di tutti i socialmente sensibili di questo mondo. Così almeno si calma!

IL COLPO DI STATO SESSUALE È MEGLIO

«Il progressista Claudio Sardo, direttore dell’Unità (io preferivo la direttora di prima, per ragioni di basso berlusconismo, si capisce: m’acchiappava assai!), oggi ha scritto che «persino in Madagascar ci ridono dietro». A causa dell’impresentabile Silvio, ovviamente. A questo punto le cose sono due: o dichiariamo guerra a quel Paese, peraltro geopoliticamente ben piazzato e ricco di materie prime (buttale via, di questi tempi!), ovvero facciamo fuori il forte trombatore di Arcore.

Com’è noto, il fasciostalinista Asor Rosa propose a suo tempo il colpo di Stato basato sui carabinieri e la guardia di finanza; gli indignati di viola vestiti hanno poi aggiunto la Buon Costume (esiste ancora?), e Barbara Spinelli l’Esorcista (vedi il suo articolo di oggi pubblicato su Repubblica, organo del Partito Capitalistico Antiberlusconiano). Lo sporcaccione che si spaccia per difensore dei valori cristiani usava il crocifisso in modo non convenzionale: «cosa deve accadere d’altro affinché la Chiesa proclami il suo NO!»?

Per la miliardesima volta l’opposizione (dall’ex fascista Fini a Nichi Narrazione Vendola, passando per il salumiere Bersani) ha chiesto le «immediate dimissioni» del Premier che così tanto male ci rappresenta nel vasto mondo (io, ad esempio, non vado più in Brasile, non tanto per mancanza di moneta e di lavoro, ma per vergogna: pensa te!), e l’implementazione di un «governo di Unità Nazionale», o di «Solidarietà Nazionale», ovvero di «Salvezza del Bene Comune», insomma: del purché Silvio vada a farsi fottere. Praticamente un’istigazione a delinquere di stampo sessuale!

E qui ci avviciniamo alla soluzione che propongo io, modestamente, beninteso: da domani spedirgli a casa camionate di donne che usano guadagnarsi il pane lavorando il pene. Quanto potrà reggere il cuore del vecchio Satrapo?

Dite che sarebbe una morte troppo piacevole? Ma nella vita non si può avere tutto! Invito al pragmatismo: è Machiavelli che ce lo chiede. Un proiettile in testa potrebbe farlo diventare un eroe, una vittima del mondo crudele: ci manca solo questo!

Lo spettro di Marx invece insinua proditoriamente questo veleno dialettico: «ma se ci sono così tante donne disposte a fare “il mestiere più antico del mondo” (vedi anche il Vecchio Testamento), la colpa è del “porco” di turno, o di una società che ha nel denaro il suo equivalente Universale, la sua Potenza Astratta – ma quanto potente! – in grado di comprare tutto, a iniziare dagli uomini? Questo vostro cosiddetto Cavaliere Nero, non dice forse la verità intorno a questa società escrementizia? Egli è l’eccezione, o non piuttosto la regola rivelata ed esibita?»

E no, Carlo: sai quanto io ti stimi, e via di seguito; ma con queste sottigliezze sociologiche oggettivamente difendi l’indifendibile!
Meglio il colpo di Stato sessuale, datemi retta amici. Per esperimenti e per una messa a punto della patriottica iniziativa, si può contare ovviamente sul sottoscritto, il quale si dichiara disposto a sacrificarsi per il Bene Comune. Quando il gioco si fa duro