GRECIA. LA POSTA IN GIOCO

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Scritto oggi

La situazione è talmente confusa che la stessa tenuta del referendum previsto per il 5 luglio non è data per scontata nemmeno in Grecia, anche se a questo punto la frittata appare ormai fatta, cotta e servita. Si tratta di capire per chi essa si rivelerà più indigesta o persino avvelenata. In un’intervista rilasciata alla BBC, il Super Ministro Yanis Varoufakis ha dichiarato che «un accordo con i creditori della Grecia è sicuro al cento per cento», a prescindere dall’esito del referendum di domenica. Anche se, ha aggiunto il sofisticatissimo Varoufakis, la vittoria del No darebbe al governo di Atene più forza contrattuale mentre la vittoria del Si lo indebolirebbe e comunque sancirebbe la sua personale sconfitta politica, cosa che ne determinerebbe le immediate dimissioni. Anche Tsipras aveva detto qualche giorno fa di non essere un uomo per tutte le stagioni. Staremo a vedere. Nel frattempo, i convocati al referendum “epocale”, bombardati da tutte le parti da ogni sorta di informazione, più o meno credibile e/o verificabile, appaiono sempre più confusi e frastornati, vittime di una  propaganda interna e internazionale sempre più gridata e minacciosa. La verità è che informazione e disinformazione si rincorrono, si accavallano, si intrecciano, si fondono in una sola ciclopica menzogna messa in piedi contro i dominati, chiamati a schierarsi in uno dei due fronti che si fronteggiano. All’ombra di questa menzogna leggo l’ennesimo sondaggio, di qualche ora fa: «Il 74% dei greci vuole che il paese resti nell’eurozona: lo evidenzia il sondaggio della Alco per il quotidiano Ethnos, che ha invece mostrato una sostanziale spaccatura a metà degli elettori ellenici su cosa votare al referendum di domenica. Secondo l’indagine statistica, il 15% vorrebbe tornare ad una moneta nazionale, mentre l’11% non sa o non risponde» (ANSA).

«In Grecia non c’è un referendum tra euro e dracma», ha detto Nichi Narrazione Vendola, «ma un referendum tra l’austerità che ha impoverito milioni di europei e una Europa solidale». È la menzogna declinata da “sinistra”, dai sostenitori del Capitalismo dal volto umano, tutti schierati per il NO. L’austerità sotto l’euro e sotto il controllo dei vecchi creditori e dei vecchi “poteri forti” (con al centro la Germania); l’austerità sotto la dracma e sotto il controllo di nuovi creditori e di nuovi “poteri forti” (con al centro la Russia e/o la Cina?): lo spazio di “agibilità democratica” del popolo greco in realtà sembra estendersi nei limiti di queste due poco rincuoranti opzioni. Padella o brace: fate la vostra scelta! Il Partito dei sacrifici è unico, o “trasversale”, per usare il gergo politichese. Salvare la baracca capitalistica greca costerà carissimo alle classi subalterne greche, in ogni caso, e non a caso il “compagno” Tsipras ha usato il mese scorso parole che ricordano la Seconda guerra mondiale: «Amiamo la pace, ma quando ci dichiarano guerra siamo capaci di combattere e vincere». Lacrime e sangue, per la Patria! Chi mi conosce sa cosa penso della Patria, comunque e ovunque “declinata”.

«Per adesso la Grecia è mantenuta in vita artificialmente dall’azione decisa di Mario Draghi e la sua Banca centrale europea, grazie all’erogazione di liquidità che continua a pompare soldi nelle banche greche. Ma il deflusso di capitali dalle banche greche è sempre più veloce e il panico si è diffuso nel Paese. Le code agli sportelli bancari sono state lunghissime nell’ultima settimana e il governo ha deciso di porre per i prelievi dai bancomat un limite giornaliero di 60 euro. Anche il bancomat del Parlamento greco è andato in sofferenza e gli stessi parlamentari di Syriza hanno dovuto subire una lunga attesa nel ritiro del denaro contante. La borsa rimarrà chiusa fino a dopo il referendum e in Grecia il clima è diventato irrespirabile» (Panorama, 8 luglio 2015). Una situazione da tempi di guerra che molti non credevano possibile nell’Europa del XXI secolo. Mai dire mai! D’altronde lo stesso Mario Draghi, normalmente assai parco di immagini suggestive, aveva detto che la questione greca (che è a tutti gli effetti una questione europea) rischia di farci entrare in una «terra incognita». «Ad Atene e Salonicco è come in tempo di guerra, mentre nelle zone rurali si vive meglio. Quasi tutti hanno un orto, è più facile trovare latte e formaggio. La fame e la miseria si sentono nelle grandi città» (Viki Markakis, Linkiesta). Una volta si diceva: «anello debole della catena capitalistica». Molti guardano solo l’anello debole, e dimenticano o non vedono la catena, che si estende da Atene a Berlino, da Roma a Parigi, da Mosca a Washington, da Pechino a ovunque nel capitalistico pianeta. E difatti il peripatetico di Treviri diceva: Proletari di tutto il mondo, unitevi! «La parola dignità torna spesso [nella comunità greca che vive a Roma]. I greci sono un popolo orgoglioso della propria identità, non fanno nulla per nasconderlo. “Siamo un paese patriottico” spiega Trianda. “Da noi sui confini della nazione non si discute”» (Linkiesta). Ecco! Lo ammetto, il mio “internazionalismo” è patetico.

Intanto un altro teutonico, il Super Ministro Wolfgang Schäuble, vola nei sondaggi di popolarità: oltre il 70% dei tedeschi intervistati dagli istituti di sondaggio appoggiano la sua linea intransigente, cosa che inquieta la stessa Angelona Merkel, la quale vuole ancora usare la carota, insieme al bastone, per riportare a casa la pecorella greca.

Riprendendo le posizioni di Paul Krugman sulla Grexit («La Grecia dovrebbe votare No e il governo ellenico dovrebbe tenersi pronto, se necessario, a lasciare l’euro»), Federico Fubini ha evidenziato un dubbio che serpeggia fra i socialisti europei (nel senso del PSE): «Per la verità Krugman non è il solo premio Nobel newyorkese e liberal, nel senso del progressismo cosmopolita americano, a offrire il suo sostegno incondizionato a questo governo greco. […] Ieri l’ex ministro delle Finanze greco George Papaconstantinou ha preso carta e penna e ha scritto al New York Times: “Non è esagerato dire che la Grecia oggi sta scivolando verso un nuovo totalitarismo e un No al referendum sarebbe un passo in quella direzione. I progressisti non dovrebbero dargli sostegno”, ha scritto. E lo spagnolo Angel Ubide, consigliere speciale del candidato premier socialista Pedro Sanchez, ha notato qualcosa di simile in un articolo per il Peterson Institute di Washington, criticando l’infatuazione dei liberal americani per Varoufakis e il premier Alexis Tsipras: per Ubide, il loro appoggio fa parte di una “Proxy war”, combattuta sulla pelle dei più poveri fra i greci, per affermare una certa idea molto americana sull’insostenibilità di fondo dell’euro» (Il Corriere della Sera, 3 luglio 2015). Syriza e Podemos come (oggettivi) “amici del Giaguaro”? come (oggettivi) utili idioti al servizio dell’imperialismo americano, da sempre ostili al progetto di una Grande Europa a egemonia tedesca? Il sospetto è lanciato (dai socialisti europei, non dal sottoscritto)!

Se di «lotta di classe» si deve parlare a proposito del referendum di domenica, ebbene si tratta della lotta che il Capitale (la cui dimensione internazionale è sempre più evidente) fa ai nullatenenti e agli strati sociali della piccola e media borghesia risucchiati in un processo di rapida e violenta proletarizzazione.

Tsipras, Varoufakis e la malafemmina

Tsipras, Varoufakis e la malafemmina

Scritto ieri

Dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando per Renato Brunetta, Matteo Salvini e Beppe Grillo: vasto, composito e frastagliato appare il partito italiano che tifa per Tsipras, l’ultimo eroe della dignità nazionale prodotto dal Mezzogiorno d’Europa, in vista dell’epocale referendum del 5 luglio – nei riguardi del quale qualche politologo non particolarmente amante della popolarità fa osservare con qualche malignità che non raramente democrazia fa rima con demagogia (1). (E questo, aggiungo io, soprattutto in tempi di acuta crisi sociale). «Tutto, davvero tutto mi divide da Tsipras», ha dichiarato ieri in Parlamento Brunetta, «ma egli oggi rappresenta la risposta di libertà al dominio tedesco e alla burocrazia europea, e per questo io sto dalla sua parte». Detto en passant, l’altro giorno il politico di notevole statura internazionale aveva parlato della necessità di contrastare a ogni costo «l’imperialismo tedesco e la burocrazia di Bruxelles», cosa che pare abbia fatto sussultare non poco le anime dannate di Lenin e Trotsky, ancora in attesa di credibili eredi.

Democrazia e libertà versus dominio e burocrazia: di questo si tratta nella sempre più ingarbugliata, e per molti versi davvero tragicomica, vicenda greca? Democrazia o dispotismo economico-burocratico: è questa la posta in gioco nel Vecchio Continente? Certamente è questo che cercano di venderci i tifosi di «Atene la rossa» (strasic!).

Riferendosi al partito che tifa per Tsipras molti analisti politici hanno parlato nei giorni scorsi di contraddizioni e paradossi; la mia lettura è diversa. Quell’accozzaglia politica che si è coagulata intorno al governo greco dimostra che il mondo del conflitto sociale non si divide, in radice, tra destri e sinistri, ma piuttosto tra anticapitalisti e sostenitori a vario titolo dello status quo sociale – appartenenti alle più disparate, e non raramente disperate, correnti politico-ideologiche: si va dai “comunisti” più o meno vetero/post, ai fascisti più o meno vetero/post, dai sovranisti, agli europeisti, dai liberisti più o meno “selvaggi”, ai benicomunisti di stampo francescano piuttosto che negriano, e via di seguito. Non a caso il virile Putin fa stragi di cuori tanto nell’estrema destra quanto nell’estrema sinistra. E ciò non a dimostrazione del fatto che, in fondo, fascisti e comunisti sono ugualmente attratti da modelli politici e personali autoritari (senza contare la loro comune adorazione feticistica per lo Stato come imprenditore unico), né che oggi le “grandi ideologie” sono ormai tramontate; ma a conferma che i cosiddetti “comunisti” non sono mai stati davvero tali, bensì non più che zelanti servitori del dominio sociale capitalistico. Ma non divaghiamo!

L’illustre economista nonché premio Nobel Joseph Stiglitz si schiera risolutamente (ma no c’era da dubitarne) con il No al prossimo referendum greco: «Un sì alla nuova austerity vorrebbe dire depressione quasi senza fine», mentre «un no aprirebbe invece per lo meno la possibilità che la Grecia, con la sua tradizione democratica, possa essere padrona del suo destino». A parte la balla colossale, in questi giorni ripetuta ossessivamente a destra e a manca, sulla «tradizione democratica» della Grecia, sulla Grecia come «culla della democrazia e della civiltà occidentale»: come se il tempo che ci separa da Pericle, da Socrate e da Aristotele fosse passato invano!; a parte questa demagogia pro-greca d’accatto, come si può credere davvero che un Paese come la Grecia «possa essere padrona del suo destino» nel Capitalismo globalizzato del XXI secolo? (2) Ma davvero si vuol vendere all’opinione pubblica greca e internazionale questa mastodontica menzogna? Pare di sì.

Naturalmente i primi a non crederci, in questa balla speculativa, sono Tsipras e Varoufakis, i leader «dell’esperimento politico bolscefighetto» di Atene (la definizione purtroppo non è mia, ma di Fabio Scacciavillani) (3), i quali infatti stanno cercando di far pesare sul tavolo delle trattative con i “poteri forti” internazionali la delicata posizione geopolitica del Paese, strizzando l’occhio ora alla Russia, ora alla Cina, vedendo l’effetto che la cosa fa a Berlino, a Washington e ad Ankara. La posta in gioco geopolitica, più che economica, è stata messa nel cono di luce con il consueto realismo da Robert Kagan sul Wall Street Journal Europe di ieri. Come la moglie Victoria Nuland (vicesegretario di Stato per l’Europa, particolarmente ostile alla Russia e contrariata da certi atteggiamenti ambigui esibiti dai partner europei sulla questione ucraina), Kagan ha preso molto sul serio l’accordo di cooperazione e finanziamento firmato dal governo greco con la Russia il 18 giugno.

Anche Silvio Berlusconi, a suo tempo vittima del «colpo di Stato» ordito dall’asse franco-tedesco (i sorrisini complici della Merkel e di Sarkozy lo tormentano ancora: altro che Ruby rubacuori!) con la complicità del Presidente Napolitano (Brunetta docet!), oggi fa interessanti considerazioni geopolitiche sulla crisi dell’Unione Europea, anche nel tentativo di agganciare la posizione centrista di Renzi e per questa via smarcarsi dal populismo antieuropeo di Salvini e Meloni. Dopo tutto egli si considera ancora uno stimato leader del Partito Popolare Europeo.

Ma ritorniamo a Stiglitz: «Atene ha la chance di avere un futuro che, anche se non sarà prospero come il suo passato, sarà più ricco di speranza rispetto alla tortura senza scrupoli del presente». Capito classi subalterne greche? Dovrete comunque affrontare duri sacrifici, ma in compenso vi si offre l’occasione di essere più ricchi non in termini di euro (che trivialità, nevvero Santo Padre?) ma di speranza: quasi mi commuovo! Però subito mi riprendo: scusatemi la trivialità, please. La «tortura senza scrupoli del presente» si chiama Capitalismo, e questo ad Atene, a Berlino, a Roma, a Washington, a Mosca, a Pechino e altrove nel mondo. Ed è precisamente questa tortura, questo dominio sociale che ha ormai le dimensioni del pianeta, che ha generato la crisi economica internazionale esplosa nel 2007, la quale ha impattato duramente soprattutto in quei Paesi del Mezzogiorno d’Europa travagliati da decenni da gravi magagne strutturali, gestite soprattutto con la leva della spesa pubblica. D’altra parte nessun politico “meridionale” era – ed è – così elettoralmente masochista da intaccare interessi consolidati, rendite di posizione e parassitismi sociali di varia natura. «Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis sono passati da rivoluzionari a difensori di sprechi e privilegi» (Panorama, 1 luglio 2015). Ora non esageriamo: quando mai la strana coppia di Atene è stata rivoluzionaria?

Ma, prima o poi, i nodi vengono al pettine, soprattutto quando le “formiche” si rifiutano di essere generose con le “cicale”, per riprendere uno stilema polemico interborghese molto in voga qualche anno fa. Detto di passaggio, le “formiche” nordiche votano esattamente come le “cicale” meridionali, come ha fatto rilevare ieri con teutonica malignità la Cancelliera di Ferro parlando al Bundestag. È la democrazia (borghese, e nella «fase imperialista» del Capitalismo!), bellezza! (4).

Chi oggi sostiene che i creditori della Grecia sono moralmente colpevoli per aver consentito a quel Paese di vivere per molti anni al disopra, molto al disopra dei propri mezzi (organizzando persino un’olimpiade nel 2004 e vincendo addirittura un Campionato europeo di calcio nello stesso anno: che bei tempi!) o è in malafede oppure non capisce assolutamente nulla di come funziona il capitalistico mondo. In ogni caso quel personaggio politicamente corretto, sicuramente devoto a Francesco, dice e scrive moralistiche balle.

A proposito dell’evocato compagno Papa! «Se fossi greca? Al referendum di domenica voterei No». È quanto dichiara al Fatto Quotidiano Naomi Klein, «giornalista e scrittrice canadese icona dell’anti-capitalismo del XXI secolo». Anche qui devo dire di non aver nutrito dubbi di sorta, lo giuro. Tutta l’intellighentia che piace vota No. Ora, per capire la natura dell’anticapitalismo (sic!) venduto dalla Signora No Logo in giro per il mondo è sufficiente leggere la sua risposta alla domanda, abbastanza scontata, di Andrea Valdambrini («Papa Francesco come leader del movimento anti-capitalista?»): «Sì, lo è. È una voce importante che ricorda al mondo come non può esistere economia senza la morale. Le persone e il bene del pianeta vengono prima dei profitti». Non c’è dubbio: di questi tempi basta pochissimo per accreditarsi presso l’intellighentia progressista occidentale come «leader del movimento-anticapitalista». E questo certamente non testimonia a favore delle mie capacità! Nella mia più che modesta critica all’Enciclica francescana avevo comunque citato anche Naomi Klein fra i punti di riferimento “dottrinari” del Santo Ecologismo elaborato dal Papa.

Non c’è dubbio che ultimamente il Vaticano, una delle più antiche e potenti agenzie politico-ideologiche al servizio dello status quo sociale planetario, si è di molto rafforzato.

Il populismo di Syriza pare essersi ficcato dentro un cul-de-sac; qualunque sia l’esito del referendum, usato dai capi di quel partito come strumento di pressione politica da far valere nelle trattative  dei prossimi giorni e come comodo alibi per pagare il minor prezzo politico possibile in caso di capitolazione (ad esempio, nel caso vincessero i Sì), appare chiaro che rischiano di venir risucchiati nel vortice della disillusione e della disperazione quella consapevolezza politica e quella combattività che in qualche modo, scontando i limiti di una situazione sociale che depone a sfavore delle classi subalterne in tutto il mondo, si sono fatte strada negli ultimi anni in certi strati del proletariato e della stessa piccola borghesia azzannata dai morsi della crisi.  L’«esperimento politico bolscefighetto» di Tsipras e company può costare molto caro a chi in buona fede si è fidato della loro proposta politica tutta interna alla dialettica interborghese – la quale, com’è noto, può arrivare fino al bagno di sangue (5). Il 30 giugno il quotidiano greco I Kathimerini, schierato per il Sì e molto critico nei confronti del Premier greco («Tsipras sta sfruttando la disperazione della popolazione, ritenendo che una buona parte di essa sia disposta ad accettare qualsiasi cosa, perfino un ritorno alla dracma), paventava la possibilità che «la gente [possa cadere] preda di forze distruttive». Quando la catastrofe incombe e la “coscienza di classe” latita, le «forze distruttive» sono sempre in agguato, pronte a vendicare le offese degli ultimi: non è la vichiana storia che si ripete, si tratta piuttosto della coazione a ripetere del Dominio sociale capitalistico. Del resto, dal mio punto di vista anche Syriza è, nella sua qualità di partito borghese, parte organica delle «forze distruttive», e distruttive nel peculiare significato che tali forze non solo saccheggiano le condizioni di esistenza dei nullatenenti, ma ne annichiliscono anche la capacità di reazione, anche attraverso l’illusionismo democratico. Sotto questo aspetto, sbaglia di grosso chi individua solo in Alba Dorata il nemico da combattere, secondo la vecchia e falsa alternativa tra fascismo e democrazia.

Certo, per una volta potrei affettare un po’ di ottimismo (tanto non costa nulla e si fa sempre bella figura) e dire di sperare che la disillusione possa convertirsi presto in crescita politica. Certamente se fossi in Grecia lavorerei in quel senso. Nel mio infinitamente piccolo, si capisce. E soprattutto senza coltivare, per me e per gli altri, false speranze. Finisco ricordando la mia posizione sul referendum del 5 luglio: si tratta a mio avviso di rifiutare tutte le opzioni vendute alle classi subalterne come le sole ricette in grado di salvarle da una miseria ancora più nera di quella che stanno sperimentando oggi, ossia per legarle più strettamente al carro dei sacrifici («avete scelto voi!»), che comunque esse dovranno fare, non importa se nel nome del “sogno europeista” o in quello, altrettanto reazionario e disumano, del “sogno” sovranista.

(1) «La paura aiuta i demagoghi populisti che la coltivano di mestiere, se non lo si fosse ancora capito. Che Tsipras sia stato un demagogo a ricorrere al referendum chiedendo la fiducia dei greci a lui, non dovevamo scoprirlo certo all’ultimo momento. I populisti demagoghi fanno così, e chi non lo è e non sa mettere in conto le loro mosse perderà» (Oscar Giannino). Ma anche il fronte del Sì, a quanto pare, sa ben giocare con le paure: «Com’è possibile convincere anche queste persone a votare una cosa contro il proprio interesse? Facile, si crea un clima di terrore, paventando l’uscita dall’euro, dall’Europa, il fallimento e il disastro economico e sociale del paese, la perdita di tutti i propri soldi ecc. in caso di vittoria del “no”. In questo sporco lavoro aiutano molto le tv private greche che a ciclo continuo trasmettono servizi che hanno lo scopo di terrorizzare il popolo greco, molte volte riciclando in maniera forviante fotografie ed immagini del passato e magari provenienti da altri paesi. […] L’esempio del primo ministro Matteo Renzi è eclatante, ha dichiarato: “Sarà un referendum tra la Dracma e l’Euro”. In questo carosello di dichiarazioni non è solo, ma ben inserito in un fronte che fa di tutto per terrorizzare il popolo greco. In tanti hanno fatto dichiarazioni in cui la vittoria del “no” coincide con l’uscita dall’euro e dall’Europa. Cosa, che non è vera ed è proprio il più accanito nemico del governo greco a dichiaralo pubblicamente, infatti proprio il ministro delle finanze tedesco W. Schäuble ha dichiarato ieri che anche con la vittoria del “no” la Grecia resterà nell’’uro e si continuerà a trattare» (http://sopravvivereingrecia.blogspot.it/). Il Blog qui citato coltiva un’alta opinione della democrazia diretta referendaria che personalmente non condivido. Come non condivido il suo giudizio sulla dichiarazione di guerra referendaria firmata da Tsipras il 26 giugno: «è di una fierezza rara».

(2) Scrive Paolo Guerrieri: «L’eurozona non è una piccola economia aperta, ma il secondo spazio a livello mondiale per dimensioni di reddito, prodotto e di ricchezza accumulata. […] Per vincere la crisi economica è necessaria più Europa. Non sarà facile in un’era di euroscetticismo crescente. Ma è un dato di fatto che gli Stati nazione europei non hanno più gli strumenti adeguati per governare le loro economie, perché troppo piccole nella nuova economia-mondo. E se vogliamo un rilancio del modello europeo di economia sociale di mercato questo sarà possibile solo in un’ottica europea. Ma bisogna fare presto, prima di vedere definitivamente compromesse le prospettive future dell’intero progetto di integrazione europea» (È fondamentale un cambio di passo in Italia e in Europa, in  Economia italiana, 2014/3). Rimane inteso che questo progetto non può che avere la Germania, ossia lo spazio capitalistico sistemicamente più forte, più strutturato e più dinamico d’Europa, come proprio centro-motore. Hic Rhodus, hic salta!

(3) «Il plebiscito farsa, ultimo rifugio dei demagoghi, rappresenta il capolinea dell’esperimento politico bolscefighetto quale che sia il risultato. […] Quelli che lamentano una moneta senza basi politiche vivono fuori dalla realtà e ignorano la Storia: è sempre l’economia a determinare la politica. Senza la zavorra greca l’euro è economicamente e dunque politicamente più forte» (F. Scacciavillani, Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2015).

(4) Cito da un mio post del 5 giugno: Com’è noto, anche il Ministro tedesco Schäuble si è pronunciato in termini positivi circa la possibilità di sottoporre il piano di riforme che sarà concordato tra Atene e l’ex Troika a un referendum popolare: «Se il governo greco pensa di dover tenere un referendum, allora lasciamogli tenere un referendum – ha dichiarato Schäuble –. Potrebbe essere una misura perfino utile per il popolo greco per decidere se è pronto ad accettare quello che è necessario o se vuole qualcosa di diverso» (Corriere della Sera, 12 maggio 2015). Elettori greci, preparate la corda: da tutte le parti vi si vuol… consultare. Della serie: Decidi tu, oh popolo sovrano, l’albero a cui desideri impiccarti.

(5) E qui viene sempre utile ricordare Schopenhauer: «Ogni povero diavolo, che non ha niente di cui andare superbo, si afferra all’unico pretesto che gli è offerto: essere orgoglioso della nazione alla quale ha la ventura di appartenere. Ciò lo conforta; e in segno di gratitudine egli è pronto a difendere a pugni e calci, con le unghie e coi denti tutti i suoi difetti e tutte le sue stoltezze» (A. Schopenhauer, Il giudizio degli altri, pp. 31-32, RCS, 2010). Ecco la merce nazionalista venduta il 26 giugno da Alexis Tsipras al “popolo greco”: «Vi chiamo tutti e tutte con spirito di concordia nazionale, unità e sangue freddo a prendere le decisioni di cui siamo degni. Per noi, per le generazioni che seguiranno, per la storia dei greci. Per la sovranità e la dignità del nostro popolo». Segue ovazione e orgasmo da parte dei sovranisti, non importa se di “destra” o di “sinistra”, di tutto il mondo. E magari qualche socialsovranista ha in passato urlato (evidentemente a pappagallo) lo slogan: Il proletariato non ha patria! «Se gli levi anche quella…». Mi rendo conto. E allora, più Patria per tutti! Così va bene? Sono stato abbastanza “amico del popolo”?

TSIPRAS E LA “LOTTA DI CLASSE” SECONDO IL MANIFESTO

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Per Il Manifesto «torna la vecchia lotta di classe»: per Zeus, non me ne ero mica accorto! Mi son distratto un attimo… Ringrazio quindi i compagni del “Quotidiano comunista” della preziosa informazione. E tuttavia… Insomma, i dubbi si fanno presto strada. «Lotta di classe»: sarà vero? In che senso, poi, «lotta di classe?». Come al solito, il pessimismo e il sospetto mi fregano. Ma vediamo meglio la cosa.

Leggiamo: «La let­tera “io rinun­cio al mio cre­dito greco”, è una piccola-grande rispo­sta all’agguato di Ue e Fmi con­tro il governo di Syriza gui­dato da Tsi­pras. È il momento più dif­fi­cile per il nuovo ese­cu­tivo di Atene, democraticamente eletto solo 5 mesi fa dopo il disa­stro della destra e della Tro­jka che ha por­tato alla crisi umanitaria. Ora Tsi­pras ha pre­sen­tato un piano con­tro l’asfissia finan­zia­ria. Ma l’Ue, con rapido voltafaccia, dice ancora no: chiede il taglio delle pen­sioni e meno tasse alle imprese. Insomma, torna la «vec­chia» lotta di classe. Il mani­fe­sto sostiene l’iniziativa “io rinun­cio al mio cre­dito” e invita tutti i let­tori a sottoscrivere la let­tera, a ripro­durla e a moltiplicarla. Diciamo forte e chiaro: Atene non è sola». Non c’è dubbio. Ma non contate sul mio appoggio!

Infatti, a mio modesto avviso non stiamo assistendo alla vecchia «lotta di classe»,  né a una sua variante moderna o post-moderna: niente di tutto questo. Si tratta piuttosto di una lotta intercapitalistica che ha molto a che fare anche con i rapporti di forza geopolitici inter-europei e mondiali.  Spacciare per “lotta di classe” lo scontro interborghese (o intercapitalistico, oppure interimperialistico: chiamatelo come più vi aggrada, come suona meglio all’orecchio 2.0) è un classico del pensiero “comunista” da Stalin in poi. Sì, ho detto Stalin: il nonno dei vetero/neo/post “comunisti” ancora attivi in Occidente. E in Italia – come in Grecia – di “comunisti” ce ne sono ancora tanti in circolazione, come sa d’altra parte bene lo stesso Tsipras, alle prese con la Piattaforma sinistrorsa che monta la guardia a difesa delle mitologiche (dopo tutto siamo in Grecia!) Linee Rosse. Syriza, da movimento social-populista qual è, ha forse fatto al “popolo greco” promesse irrealistiche (anche in questo in perfetta continuità con il vecchio personale politico greco, il quale com’è noto ha usato anche la spesa pubblica e l’evasione fiscale come strumento di consenso elettorale/sociale)? È quello che pensano in tanti. Scrive Claudio Cerasa sul Foglio di oggi: «Fare gli anticapitalisti con i soldi degli altri funziona quando prometti, quando sei al comando del paese è un’altra storia. Funziona così. E anche Tsipras deve essersene accorto quando ha capito che – kalos kai Dragatos – l’unico modo per salvare il suo paese era proprio quello: stringere la mano all’Europa e agli orrendi capitalisti nemici del popolo». Com’è noto, per i “destri liberisti” basta un niente, un’Enciclica papale ad esempio, per parlare di “anticapitalismo”; però la battuta non è male.

Cito dalla Lettera di sostegno al governo borghese di Atene (alle prese non con la cattiveria del mondo, ma con le magagne di un Capitalismo, quello greco, praticamente da sempre obsoleto e parassitario, nonché con gli interessi capitalisticamente legittimi di chi a) presta i soldi, b) vuole intascare profitti e c) intende rafforzare ed espandere la propria egemonia sistemica, come la Germania: è il Capitalismo, Varoufakis!): «L’Europa senza la Grecia sarebbe come un adulto privato della sua infanzia. Cioè della sua memoria e delle sue parole». Che infantilismo d’accatto! Lo so, sono duro, ma come diceva il mio filosofo di riferimento «ogni limite ha una pazienza», o qualcosa del genere. Ma ci siamo capiti! C’è in corso una guerra sistemica intercapitalistica giocata sulla pelle del proletariato e della piccola borghesia declassata, e certi “comunisti” mi invitano a versare lacrime sulla Civiltà Occidentale: ma andate a quel Paese! Quale? Il solito!

Per quel che conta la mia opinione (e qui stendiamo il solito velo!), desidero comunicare ai creditori politicamente corretti del Paese che personalmente non rinuncio né al mio credito (avercelo, in tutti i sensi!*) né, tanto meno, al mio “istinto di classe”, il quale mi suggerisce in modo inequivoco di non piegarmi a nessuno degli attori che oggi si scontrano sulla scena internazionale; di non abboccare né all’amo della “destra” (rigorista o populista, europeista o sovranista, liberale o statalista) né a quello della “sinistra” (rigorista o populista, europeista o sovranista, liberale o statalista: magari sotto la forma particolarmente rognosa e chimerica del benecomunismo); di rifiutare di “scegliere” l’albero a cui impiccarmi.

La «lotta di classe» a cui ci invita Il Manifesto è la lotta che il Capitale fa ogni santo giorno agli individui in generale e ai nullatenenti in particolare. Spedire al mittente come velenosa robaccia ultrareazionaria la “solidarietà di classe” immaginata dal “Quotidiano comunista” (sic!) è, a mio giudizio, il minimo sindacale richiesto agli anticapitalisti di tutto il mondo da un pensiero autenticamente radicale. A ogni buon conto, io la penso così.

Non è necessario bere il vino di Marx per capire la natura ideologica (falsa) della democrazia (borghese) in generale e della democrazia (borghese) ai tempi del dominio totalitario e mondiale dei rapporti sociali capitalistici. Né bisogna essere particolarmente “marxisti” per comprendere che solo un’autentica lotta di classe può spezzare il legame politico, ideologico e psicologico che oggi (come da troppo tempo, ormai) incatena i nullatenenti al sempre più disumano carro del Dominio – comunque “declinato”: democrazia, fascismo, liberismo, “socialismo” (leggi: statalismo), ecc., ecc. Insomma: io no sto né con Tsipras, né con la Merkel, né con gli europeisti né con la Troika, né con gli Stati Uniti né con la Russia, né con l’Italia né con la Cina – a proposito: alcuni sovranisti particolarmente intelligenti e furbi pensano che l’egemonia economica e politica russa o cinese sulla Grecia o su qualche altro Paese del Meridione europeo sia preferibile e auspicabile: a queste cime dialettiche io non arriverò mai! E difatti sconto una certa solitudine politica, diciamo. Ma se la “dialettica” è questa…

Una piccola precisazione: quei “” vanno letti come dei “contro”. Per adesso sul sempre più scottante “caso greco” è tutto.

* «Il credito è il giudizio dell’economia sulla moralità di un uomo. […] Entro il rapporto, non è il denaro che viene superato nell’uomo, ma è l’uomo stesso che viene trasformato in denaro, ossia il denaro si è personificato nell’uomo. La persona umana, la morale umana è diventata essa stessa articolo di commercio, un materiale per l’esistenza del denaro» (K. Marx, Scritti inediti di economia politica, p. 12, Editori Riuniti). D’altra parte, «il denaro è solo un rapporto sociale oggettivato» (ibidem, p. 89). Una qualità assai misteriosa che i feticisti d’ogni genere  (compresi Papa e papisti proudhoniani) non riusciranno mai a capire.

ANIMALISTI AGNELLIAggiunta da Facebook, 27 giugno 2015

 YANIS VAROUFAKIS E LA CORDA DEMOCRATICA

La grande “scelta”: corda di destra, di centro o di sinistra?

Ultim’ora Huffington Post: «”Noi agiamo a nome dei greci. Se i greci ci diranno di firmare firmeremo, qualunque cosa questo richieda”. Lo ha affermato il ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis, in merito al referendum che si terrà sull’ultima proposta di aiuti dell’UE».