In attesa di riflessioni più meditate sulla Grande Rinuncia del Papa, un evento di portata storica (almeno a detta dei vaticanisti e degli storici del cattolicesimo) e dai connotati indubbiamente (?) «rivoluzionari», pubblico alcune pagine di miei vecchi lavori che hanno incrociato, en passant, la Santissima strada tracciata dal raffinato pensiero teologico di Benedetto XVI.
«In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai più vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste, e ti porterà dove tu non vuoi» (dal Vangelo di Giovanni, 21, 18 s.). Si tratta di scoprire chi è questo altro.
Da L’Angelo Nero sfida il Dominio
Rimanere vittima della propria creatura: questo paradosso faustiano ha da sempre colpito i pensatori più sensibili. La religione, che nasce come strumento di dominio umano sulla natura «esterna» e «interna», col tempo si trasforma in paradigma del dominio umano sull’uomo: le potenze sociali, che noi stessi creiamo sempre di nuovo con l’ausilio della scienza più avanzata, si rendono autonome e, come le vecchie divinità, c’incalzano dall’esterno, c’incutono timore, ci tiranneggiano. «Ora che la scienza ci ha aiutati a vincere il terrore dell’ignoto nella natura siamo schiavi di pressioni sociali che noi stessi abbiamo create»[1]. La «preservazione contro lo strapotere della natura» (Freud) è un compito storico che la «Civiltà» si è da gran tempo lasciata alle spalle; il nuovo compito storico è la distruzione dello strapotere sociale che non ci lascia diventare uomini.
Alla «psicologia del profondo» il Pastore Tedesco assiso sul Sacro Soglio contrappone la Teologia Politica ancora possibile nel XXI secolo, nel mondo segnato infaustamente da quella «pretesa prometeica» che sostiene «crescite innaturali e consumistiche» sbandierate come progresso umano. «La tecnica – è bene sottolinearlo – è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia … La tecnica permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare le condizioni di vita … Per questo la tecnica non è mai solo tecnica … Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo [umano] viene automaticamente negato», mentre la nostra vita rischia di dispiegarsi interamente all’«interno di un orizzonte culturale tecnocratico, a cui apparterremmo strutturalmente, senza mai poter trovare un senso che non sia da noi prodotto. Questa visione rende oggi così forte la mentalità tecnicistica da far coincidere il vero con il fattibile»[2].
Tutto ben detto. Salvo un piccolo, quasi insignificante particolare: l’orizzonte sociale paventato da Ratzinger è, nelle società capitalisticamente più avanzate (più «civili») del pianeta, una micidiale realtà almeno da un secolo a questa parte. Come, d’altra parte, è sempre più palpabile il «risvolto dialettico» di questa situazione sociale, ossia la possibilità della liberazione. Tuttavia, la stessa prossimità materiale della liberazione crea il maligno paradosso per cui la sua realizzazione appare sempre più come utopica, giacché la tendenza storica all’emancipazione del non-ancora-uomo si rafforza nella misura in cui è l’attualità del dominio a farsi sempre più potente, strapotente.
Il cortocircuito tra la Possibilità e l’Attualità crea l’Evento storicamente produttivo (rivoluzionario). Aprendo le ali al massimo delle sue possibilità, il metaforico Angelo Nero che svolazza in queste pagine può, in effetti, realizzare quel catastrofico – ma quanto fecondo! – cortocircuito; esso è il solo che può rendere effettiva l’apertura del cancello temporale che oggi impedisce all’Attualità di incontrare la Possibilità. La fisica quantistica, per dar conto di eventi fisici di complessa interpretazione (come quelli immaginati tanto per il microcosmo, quanto per il macrocosmo), parla di «punto di anomalia», di «aberrazione», di «discontinuità spazio-temporale»: l’analogia con quanto cerco di esprimere appare quantomeno intrigante. Analoghe analogie si possono trovare anche in molti testi religiosi, allorché i pii poeti cercano di raccontare ciò che difficilmente il concetto può esprimere senza sminuire la portata e il significato degli Eventi più fecondi e miracolosi.
Da Eutanasia del Dominio
A proposito di Spirito: forse non è del tutto casuale se la prima enciclica di Benedetto XVI, il Papa teologo, ha come suoi oggetti critici espliciti Nietzsche e Marx. Contro il primo il teologo tedesco scrive quanto segue: «Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all’eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio. Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non ha innalzato forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?»[3].
Naturalmente Benedetto XVI nega risolutamente questa presunta avversione cristiana per l’eros, e lo fa in un modo quanto mai puntuale, e cioè attaccando la concezione Greca dell’amore, quella concezione così cara al pensiero nietzschiano: «I greci – senz’altro in analogia con altre culture – hanno visto nell’eros innanzitutto l’ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una “pazzia divina” che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine … L’eros viene quindi celebrato come forza divina, come comunione col Divino. A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede nell’unico Dio, l’Antico Testamento si è opposto con massima fermezza, combattendola come perversione religiosa. Con ciò però non ha per nulla rifiutato l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore … Per questo l’eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, “estasi” verso il Divino, ma caduta, degradazione dell’uomo. Così risulta evidente che l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende» (pp. 12-13).
Qui ci troviamo dinanzi al classico tema della sublimazione degli istinti, a partire da quello più potente e foriero di godimento: l’istinto sessuale, in vista della civilizzazione («umanizzazione», nell’accezione papale) degli individui[4]. Il cristianesimo non nega l’eros, anzi lo esalta, ma nella sua vera essenza, la quale non può che essere essenza Divina (e difatti «il sesso» è divinamente bello, apre tutti i pori «del corpo e dell’anima», dà luogo a una vera esperienza mistica, è davvero «un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende»: non c’è dubbio!); il cristianesimo piuttosto lo depura dei suoi tratti bestiali, dei suoi eccessi, lo civilizza, lo «disciplina»: lo nega, appunto. Si può spiegare anche con questo svilimento e depotenziamento – o avvelenamento – dell’eros l’amore che invece Hegel nutrì, soprattutto in gioventù, per la religione greca, «una religione per popoli liberi»; a differenza del cattolico Benedetto XVI, il cristiano Hegel apprezzava i riti dionisiaci, ne vedeva il potente significato sociale: «Alle femmine greche era dato, nelle feste bacchiche, un ambito lecito in cui scatenarsi. All’esaurimento del corpo e dell’immaginazione faceva seguito un tranquillo ritorno nella cerchia del sentimento abituale e della vita consueta. La selvaggia menade era per il resto del tempo una donna ragionevole»[5]. Purtroppo, forse chioserebbe il «dionisiaco» Anticristo[6]. Ma non scantoniamo troppo.
Vediamo adesso cosa argomenta il teologo tedesco contro San Karl Marx: «Il tempo moderno, soprattutto a partire dall’Ottocento, è dominato da diverse varianti di una filosofia del progresso, la cui forma più radicale è il marxismo. Parte della strategia marxista è la teoria dell’impoverimento: chi in una situazione di potere ingiusto – essa sostiene – aiuta l’uomo con iniziative di carità, si pone di fatto a servizio di quel sistema di ingiustizia, facendolo apparire, almeno fino a un certo punto, sopportabile. Viene così frenato il potenziale rivoluzionario e quindi bloccato il rivolgimento verso un mondo migliore. Perciò la carità viene contestata ed attaccata come sistema di conservazione dello status quo. In realtà questa è una filosofia disumana. L’uomo che vive nel presente viene sacrificato al moloch del futuro – un futuro la cui effettiva realizzazione rimane almeno dubbia» [7].
Nell’ultima proposizione il Pastore Tedesco allude ovviamente al «comunismo realizzato», e ne ha, come si dice, ben donde! Per Marx le cose stanno in modo affatto diverso: bisogna liberare il non-uomo che ci sta dinanzi dal moloch del presente, per renderlo finalmente uomo. È la realtà del presente che sacrifica l’uomo, che lo nega continuamente, e ogni forma di religione – compreso il feticismo degli scientisti – non fa che legittimare e sostenere questa pessima realtà. Ma al di là delle banalità sulla cosiddetta «teoria dell’impoverimento»[8], Benedetto XVI mostra di conoscere qualcosa del nemico teorico e pratico che vuole esorcizzare, e lo si vede soprattutto quando si scaglia contro chi coltiva l’assurda «presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. È Dio che governa il mondo, non noi … L’esperienza della smisuratezza del bisogno può spingerci nell’ideologia che pretende di fare ora quello che il governo del mondo da parte di Dio, a quanto pare, non consegue: la soluzione universale di ogni problema»[9]. Qui Benedetto XVI esprime bene la secolare paura delle classi dominanti nei confronti della stessa possibilità che le classi dominate si liberino dell’ipnotico feticismo del potere costituito che le inchioda alla croce della rassegnazione, e prendano finalmente «in prima persona» le redini del loro destino. Si vede che «la cuoca al potere», per usare una bella ancorché anacronistica espressione di Lenin, suscita ancora qualche apprensione – eppure anche Maria, la madre dell’ebreo suppliziato e crocifisso dai Romani sul Golgota, fu una cuoca, forse pure vergine («Essendo intimamente penetrata»…«dalla Parola di Dio … Maria è una donna che ama»), ma sicuramente cuoca, e come tale legittimata a gestire il governo di questo mondo.
Da Illibero arbitrio. La radicalità del male
Dall’orizzonte concettuale dei materialisti di Dio manca il dispiegarsi del concetto, il suo «divaricarsi», mentre al suo posto troviamo il triviale DNA e il più che triviale embrione (o pre-embrione, risalendo forse fino al «miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo» dopo la penetrazione dell’ostinato spermatozoo nella dura membrana della cellula uovo). Viceversa, non sarebbero materialisti, sebbene di Dio. Ma, soprattutto, è scomparso il salto qualitativo: per essi «la vecchia sentenza» è ancora un articolo di fede, anzi, è una «evidenza scientifica». È vero, dal seme nascerà il fiore, ma questa potenzialità che gli è immanente non fa di esso un fiore mancato, ma qualcosa di concluso in sé, una ben definita cosa manchevole in nulla. Se il «prodotto del concepimento» non fa il salto qualitativo del pensare, dell’amare, del rendersi indipendente dal corpo della madre; se esso non salta dentro la dimensione storica e sociale, come può aspirare alla condizione di «persona umana»? Ma per i materialisti di Dio il «prodotto del concepimento» non deve fare alcun salto qualitativo: la sua umanità è iscritta nelle sue cellule; esso è «persona umana» non alla fine del processo, ma in ogni suo punto, e non in quanto patrimonio divino, ma in quanto patrimonio genetico. Amen! No, pardon, Evidenza Scientifica!
«Evidenza scientifica», teleologia, teologia, misticismo: la Chiesa di Roma gioca a tutto campo. E infatti, gli stessi materialisti di Dio non cessano di scagliarsi contro la «nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile … In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura, che era una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà»[10]. Come dimostrano questi passi, che per certi versi superano la tradizionale impostazione polemica anti-illuminista della Chiesa, con la sottolineatura del «capovolgimento dialettico» subito dall’Illuminismo sul suo stesso terreno (il progresso umano che diventa regresso, la speranza che nell’attuarsi diventa ideologia, la falsa coscienza di un cattivo progresso); questi passi, dicevo, mostrano come il Papa teologo abbai ben chiaro il compito a cui è chiamata la Chiesa cattolica in questa fase storica. Non c’è dubbio che l’indirizzo teologico di fondo da egli impresso al discorso cattolico porta oggi il segno della fede concepita come riflessione razionale sulla natura dell’uomo e sul suo destino, in una sorta di neo illuminismo temperato dalla «carità cristiana», come se la Chiesa volesse appropriarsi della migliore tradizione illuminista, purgandola delle sue tossine e scorie «materialistiche» e «positiviste».
È vero, non siamo dinanzi a una assoluta novità dottrinaria nell’ambito della riflessione teologica cattolica; la novità va cercata piuttosto nella forza con cui i vertici massimi della Santa Sede, e non solo ristretti circoli delegati alle «alte speculazioni» teologiche, si stanno impegnando a praticare quell’indirizzo. Soprattutto in ciò si addensa la maggiore differenza tra l’attuale gestione della linea politica vaticana e quella precedente, segnata dal carisma del Papa «venuto dal freddo». La nuova strategia è evidente nella Lezione Magistrale tenuta da Ratzinger all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006: «La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia … Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell’Antico Testamento, realizzata in Alessandria, è più di una semplice (da valutare forse in modo poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo nella storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e per la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione».
Abbiamo capito che a Ratzinger piace molto la traduzione greca dell’Antico Testamento, anche perché nel testo ebraico le differenze tra il pensiero filosofico elaborato nel mondo giudaico e quello sorto nella Grecia di Socrate, Platone e Aristotele, che rappresentano il suo punto di riferimento classico, appaiono evidenti. L’incontro tra «autentico illuminismo» e il cristianesimo dei primi Padri della Chiesa segna la distanza di quest’ultimo tanto dall’ebraismo che lo ha preceduto, quanto dall’islamismo che lo ha seguito. Senza questo fecondo incontro non avremmo avuto il cristianesimo come si è dispiegato nell’arco di due millenni. Di più: il fondamento greco del cattolicesimo consente alla Chiesa di denunciare il «cattivo illuminismo», che nega l’uomo – e perciò Dio – sulla base di una razionalità economicamente orientata, sventolando la bandiera dell’«autentico illuminismo». Da buon teologo tedesco che sa civettare persino con Hegel[11], la cui demoniaca dialettica fece scandalo nel cristianesimo tedesco a cavallo dei secoli XVIII e XIX, Ratzinger vuole una fede fondata oggettivamente, e perciò polemizza con tutti coloro che la vorrebbero ancora relegare a mero fatto soggettivo. «Importante per le nostre riflessioni è ancora il fatto che il metodo – scientifico – come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione … Ma dobbiamo dire di più: è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del “da dove” e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo» (Lezione Magistrale di Ratisbona). La scienza che non è umanamente fondata – e quindi divinamente fondata, a causa del noto sillogismo cattolico –, che non si occupa anche «del “da dove” e del “verso dove”», cioè delle massime questioni esistenziali, non è vera scienza, e merita di finire tra virgolette. La “scienza” che nel suo indagare e manipolare la natura – a partire da quella umana – non possiede uno sguardo umano è una ”scienza” nemica dell’uomo – e perciò, necessariamente, di Dio. A questa forte obiezione gli scienziati rispondono ripetendo il solito dogma della neutralità della scienza in materia “umana”: «la scienza ricerca le leggi obiettive della natura, non è affar suo la “felicità” degli uomini, se non come effetto collaterale di quella pura ricerca», riconfermando così la loro incoscienza circa il reale rapporto che li lega alla società disumana. Anzi, per la scienza (borghese) si tratta all’opposto di eliminare quanto più possibile le maledette «interferenze umane» che si frappongono tra l’oggetto indagato e l’osservatore politicamente, filosoficamente e religiosamente “neutro”, lasciando sul primo le detestabili tracce di antropomorfismo. Per essa la sterilizzazione dell’osservazione è un articolo di fede da far valere almeno quanto la Santissima Trinità dei cattolici. Vade retro, uomo!
Naturalmente per Ratzinger solo il cristianesimo ha uno sguardo realmente e profondamente umano, mentre occorre guardarsi da chi «sacrifica al moloch del futuro – la cui effettiva realizzazione rimane almeno dubbia – l’umanizzazione del mondo»[12]. È chiaro che il Papa qui si riferisce ai «marxisti», i quali anziché realizzare il Paradiso in Terra hanno costruito piuttosto l’Inferno. Di questa straordinaria arma ideologica che Ratzinger mostra di saper maneggiare con tanta abilità, come del resto il suo predecessore, bisogna soprattutto ringraziare gli stalinisti e i maoisti di tutto il pianeta, i quali militando a favore di un miserabile capitalismo di Stato hanno ucciso perfino la speranza per un mondo umano. Un dubbio, a questo punto, si insinua nella mia indigente testa: l’Intelligent Design non avrà davvero un reale fondamento? E Stalin, Mao, Castro e compagnia fetida cantando, che ruolo hanno avuto nel Santissimo Disegno Divino? Il mio pensiero è troppo debole, troppo poco intelligente per tentare una risposta a una domanda così impegnativa: la Carità di Dio, nonostante gli auspici di Ratzinger, non è stata generosa verso chi scrive.
[1] M. Horkheimer, Eclisse della ragione, 1947, p. 160, Einaudi, 2000.
[2] Benedetto XVI, Caritas in Veritate, pp. 88-89, Libreria Editrice Vaticana, 2009.
[3] Benedetto XVI, Deus Caritas Est, p. 13, Libreria Ed. Vaticana, 2006.
[4] George Orwell ha colto acutamente questo aspetto, e difatti il «nuovo mondo» immaginato in 1984 è eccezionalmente sessuofobo: «Fine ultimo del Partito non era tanto quello di impedire che gli uomini e le donne formassero tra loro delle leghe, degli accordi nei quali esso non sapesse come fare a mettere il naso. Il suo vero fine (e pertanto non dichiarato) consisteva nel togliere qualsiasi piacere all’atto sessuale. Non tanto l’amore, quanto l’erotismo era considerato il vero nemico nel matrimonio e fuori … L’unico scopo ammesso e riconosciuto del matrimonio consisteva nel procreare figli a beneficio del Partito. I rapporti sessuali dovevano essere considerati come una sorta di operazione minore, lievemente disgustosa, come per esempio farsi fare l’enteroclisma … Il Partito cercava con ogni mezzo di annullare l’istinto sessuale, ovvero, nel caso in cui non fosse riuscito ad annullarlo, a pervertirlo e a insudiciarlo» (G. Orwell, 1984, p. 89, Mondadori, 1983). Solo all’immensa classe dei «prolet», un’umanità reietta che «il Partito» – cioè il dominio sociale capitalistico esasperato nei suoi tratti essenziali sulla base del modello sovietico staliniano che riempiva di orrore lo scrittore inglese – considerava alla stregua di schiavi e di animali, era concessa la promiscuità, la pornografia e ogni altra «lordura». D’altra parte, «Per dirla con lo slogan del Partito, “i prolet e gli animali sono liberi”». Qui la libertà è sinonimo di bestialità.
[5] Cit. tratta da G. Lukàcs, Il giovane Hegel, I, p. 91, Einaudi, 1975.
[6] «Quel cantare e quel danzare non sono più istintiva ebbrezza naturale, la massa corale nella sua estasi dionisiaca non è più la massa popolare inconsapevolmente catturata dall’impulso primaverile … Nel ditirambo delle sagre di primavera che originariamente era proprio del popolo, l’uomo non si esprimeva come individuo bensì in quanto esponente della sua specie … Nel ditirambo dionisiaco l’entusiasta di Dioniso viene spinto alla più ampia dilatazione di tutte le sue facoltà simboliche: qualcosa di mai sentito irrompe alla superficie, come la soppressione dell’individuatio, l’unificazione nel genio della specie e anzi della natura» (Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, in Verità e menzogna, pp.81-85-87, Newton, 1988).
[7] Benedetto XVI, Deus Caritas Est, pp. 73-74.
[8] Per Marx chi è costretto alla carità ha già perso in gran parte la forza di reagire, di lottare per conquistare condizioni di vita meno miserevoli e, attraverso questa lotta, educarsi e allenarsi in vista della rivoluzione sociale (la «lotta economica» come scuola o palestra di comunismo). Contro i sostenitori della «teoria dell’impoverimento» del suo tempo (1865) egli scriveva: «Se tale è in questo sistema la tendenza delle cose, significa forse ciò che la classe operaia deve rinunciare alla sua resistenza contro gli attacchi del capitale e deve abbandonare i suoi sforzi per strappare dalle occasioni che le si presentano tutto ciò che può servire a migliorare temporaneamente la sua situazione? Se essa lo facesse, essa si ridurrebbe al livello di una massa amorfa di affamati e di disperati, a cui non si potrebbe più dare nessun aiuto» (Marx, Salario, prezzo e profitto, p. 115, Newton, 1976). Altro che «teoria dell’impoverimento»! D’altra parte, la storia di tutto il secolo scorso dimostra ampiamente che per quanto riguarda la miseria e la sofferenza la «trasformazione dialettica» della quantità in qualità non è affatto automatica, spontanea, e attesta anzi come in assenza della coscienza di classe il potenziamento della miseria e del doloro genera solo altra miseria e altro dolore (un esempio a caso: la crisi sociale tedesca degli anni Venti e Trenta). La miseria priva di coscienza è pane per i forti denti della classe dominante, alla quale si può augurare una cattiva digestione, ma nulla di più.
[9] Benedetto XVI, Deus…, p. 81.
[10] Benedetto XVI, Discorso di Verona.
[11] Sicuramente a Ratzinger non è sfuggita la seguente posizione hegeliana in merito al rapporto tra fede e ragione: «Da un lato, com’è noto, il pietismo religioso ha dichiarato che la ragione o il pensiero non sono in grado di conoscere il vero, che anzi la ragione ci conduce nell’abisso del dubbio. Perciò il pietismo sostiene che si debba rinunciare all’autonomia del pensiero e che occorra divenir prigionieri della cieca fede nell’autorità per raggiungere la verità. D’altra parte, è altrettanto noto che la cosiddetta ragione si è fatta valere, ha respinto la pura fede nell’autorità e ha cercato di rendere razionale il Cristianesimo; cosicché è stato detto che solo la propria intelligenza, solo la propria convinzione possono obbligare a riconoscere qualcosa. Ma, strano a dirsi, questa affermazione del diritto alla ragione si è capovolta, sì da ottenere il risultato che la ragione non è in grado di conoscere nulla di vero» (G. W. F. Hegel, Introduzione alla storia della filosofia, p. 49, Laterza, 1982). Qui Hegel attacca non la ragione rettamente intesa, ma la «cosiddetta ragione», cioè il suo concetto declinato illuministicamente. La razionalità come viene fuori dall’illuminismo è, per il filosofo di Stoccarda, falsa razionalità, pensiero che rimane alla superficie delle cose, che non è in grado di coglierne l’intima essenza, la quale è, in ultima analisi, essenza ideale, cioè a dire divina. Al netto della dialettica, Hegel deve piacere molto al pastore tedesco.
[12] Benedetto XVI, Deus Caritas Est, p. 74, Ed. Vaticano, 2006.