LA VERITÀ È RIVOLUZIONARIA!

In Vite precarie osservavo, forse con qualche fondamento, che «Nel capitalismo la vita è precaria per definizione». In altri scritti ho dichiarato la mia netta preferenza per il franco linguaggio del reazionario che non affetta pose politicamente corrette, una volta messo a confronto con l’insulso blaterare luogocomunista del progressista. Ieri sera ho avuto modo di rafforzarmi in queste modeste «ideuzze», per dirla con Giuliano Ferrara.

E proprio sull’elefantino intendo dire due cosette. Ospite della trasmissione Piazzapulita di La7 (un titolo, un programma… politico!), condotta da Corrado Formigli, uno dei tanti cloni di Michele Santoro, Giulianone si è prodotto in un esercizio di pura e semplice verità, la quale necessariamente in questa società deve assumere il truce volto della cinica brutalità. Interrompendo il balbettio progressista di Maurizio Landini, segretario della Corporazione Sindacale chiamata FIOM-CGIL, il quale non la finiva più di leccare la sottoscarpa del «keynesiano» Barack Obama, il direttore de Il Foglio ha urlato quanto segue (riassumo): «Caro Landini, finiamola con queste storie vittimiste sul precariato! Obama può sussidiare l’industria privata perché negli Stati Uniti sono tutti precari. In quel Paese è facile assumere perché è facile licenziare. E sa perché? Perché il lavoro è sottoposto alle leggi del profitto e del capitale. È il capitalismo!»

Ciò va detto anche a dimostrazione che non tutti quelli che hanno militato nel PCI di Togliatti-Longo-Berlinguer non hanno capito un beneamato ciufolo del Capitale. Naturalmente il capitalismo esiste anche nel Bel Paese, ma appesantito da quelle magagne corporative e stataliste ereditate dal fascismo e dal «cattocomunismo» che è difficile eliminare senza mettere in crisi l’intero «sistema-Paese».

Le classi subalterne devono imparare il linguaggio della vita reale, se vogliono iniziare a diventare soggetti, e non oggetti, della prassi sociale.

Chiudo questa noterella con un’altra perla di verità, venuta fuori su un altro contesto politico-sociale, benché intimamente connesso con quello appena sfiorato. Per aver detto una mera banalità intorno alla moneta unica europea, ossia che l’Euro è una «strana creatura», a cagione della sua genesi e della sua prassi (una divisa per 17 sovranità!), il solito Puttaniere di Arcore è stato randellato a sangue dagli europeisti duri e puri (praticamente quasi tutti i politici, gli intellettuali, gli operatori dei media, ecc.). L’antiberlusconismo ha raggiunto cifre che vanno ben oltre il mero parossismo: la strumentalità politica annichilisce qualsiasi pur minimo ragionamento, e basta compulsare con occhio critico i Social Network per capirlo.

Vediamo cos’ha scritto Der Spiegel del 31 Ottobre 2011 a proposito dell’Euro: «Chi mette i soldi detta le regole [non sembra di sentire Umberto Bossi?] … I francesi hanno voluto l’EURO per sottomettere la Germania. Adesso i tedeschi si servono dell’EURO per sottomettere la Francia». Germania Über Alles? Non c’è dubbio! Sarkozy e Obama ne stanno già parlando. Gli europeisti, confrontati con la cinica e brutale dialettica della storia, non sanno che pesci pigliare e cercano capri espiatori sui quali scaricare la loro progressista frustrazione.

La verità è rivoluzionaria in questo peculiare senso, che un pensiero autenticamente critico-radicale non teme di parlare il linguaggio della vita reale, anche quando esso ne attesta la contingente (speriamo!) impotenza politica. L’illusione non ha mai reso forte nessuno.

ESSI SOPRAVVIVONO! OVVERO: IL DECOMPOSTO CHE AVANZA

A volte ritornano. Non c’è dubbio. Pensavi che fossero morti e sepolti per sempre, cacciati nell’oltretomba della storia per l’esaurirsi di una vecchia e maligna «spinta propulsiva», e invece te li ritrovi dinanzi agli occhi più baldanzosi che mai. È un fatto: essi sopravvivono! Lo attestano Il Manifesto, Liberazione e L’Unità. Di chi parlo? Degli statalisti, è chiaro.

In realtà, lo Statalista riciccia sempre in tempi di crisi economica, allorché il truce Leviatano («quella potenza astuta che tutto scova, con quel nemico tutt’orecchi che mai sonnecchia», per dirla con Kierkegaard) è invocato almeno da una parte della società affinché salvi «le sorti generali del Paese», ossia il regime capitalistico.

E già, allo Statalista piace un sacco il Capitalismo di Stato, come quello che faceva capo al «paradigma dell’IRI» e alla defunta (se Carlo Marx vuole!) Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Ma anche il New Deal rooseveltiano non era mica da buttare!

Un Paese come il nostro che ha conosciuto il fascismo e il più forte partito stalinista del Vecchio Continente (alludo al PCI di Togliatti-Longo-Berlinguer-Occhetto), è ovvio che offra più di ogni altro le migliori condizioni di esistenza, o quantomeno di sopravvivenza, allo Statalista, «Nero» o «Rosso» che sia.

Oggi che certe merdose monete sono andate fuori corso, lo Statalista ama celarsi dietro l’ultima epocale fregnaccia ideologica: il Bene Comune. Per mutuare ancora il filosofo di Copenaghen, qui la farsa e il comico si toccano a vicenda in un’infinità assoluta.

L’acqua? È un Bene Comune, si capisce. La Giustizia? Si possono nutrire dubbi a tal proposito? I servizi sociali? Beni Comuni Naturali! E il lavoro? Come sopra. E il Capitale, come la mettiamo con questa demoniaca categoria economica? Nessun timore, nessun tremore: anch’esso è un Bene comune: «lo affermano gli Art. 41 e 42 della Sacra Carta», mi fa sapere lo Statalista. Ah, se lo dice la Sacra Carta possiamo stare tranquilli. Che cacadubbi che sono!

D’altra parte, se i profitti sono privati e le perdite (almeno in Italia) sono pubbliche, perché non pubblicizzare tutte le attività economiche del Paese? Ma sì, mettiamo in piedi un bel Capitalismo di Stato e mandiamo una volta per sempre a farsi fottere quel dannato liberismo selvaggio! Silvio concorda, e anzi ci tiene ad accompagnarlo personalmente lì dove esso merita di finire: a puttane!
Mi raccomando, se si libera un posto mi si tenga presente: l’ideologia antiliberista non mi tange in alcun modo. È il capitalismo tout court che mi serra piuttosto lo scroto: ahia!

Insomma, tempi duri si annunciano per le «lenzuolate liberali» del prossimo governo Bersani-Di Pietro-Vendola-Casini-Fini: il decomposto che avanza reclama il suo momento di gloria. Almeno per qualche settimana ancora.

In effetti, con un debito pubblico che si avvicina paurosamente ai due trilioni di euro, la papera statalista non può certo galleggiare felicemente. «E se tassassimo i più ricchi? Se tassassimo la rendita finanziaria e speculativa? In fondo anche la Tassa è un Bene Comune!» Sarà…

Ad ogni modo, ci terrei a rimanere fuori dal Bene Comune. Quel Bene, infatti, mi puzza assai di Male. Ma tanto!