LA CATTIVA ECONOMIA DEI BUONI DI SPIRITO

Buoni e cattivi… Per il Capitale sono tutti buoni!

Emanuele Campiglio ha scritto l’ennesimo libro benecomunista che perora la causa di un Capitalismo equo e sostenibile, che chiama «economia buona», in evidente contrapposizione all’«economia cattiva», quella che sporca il pianeta e genera denaro per mezzo di denaro. Naturalmente la sostenibilità deve estendersi fino a toccare la sfera etica, per andare appunto «verso un’etica della sobrietà e un consumo critico». Fin qui avete appreso qualcosa di originale, che non avevate mai udito prima d’ora? Non credo proprio. Infatti il libro in questione si segnala per banalità e luogocomunismo: di qui il suo successo editoriale, anche grazie alle ospitate nei salotti televisivi progressisti, come quello che gestisce con inappuntabile professionalità Corrado Augias su RAI tre. E proprio lì mi sono imbattuto in Emanuele Campiglio, e poi nel suo libro, pubblicato da Bruno Mondadori. Il libro è in effetti una sequela di insipide banalità economiche e sociologiche, scritte nel consueto melenso gergo dei teorici del Capitalismo dal volto umano, e si capisce subito che Amartya Sen ne sia il principale ispiratore. Ma un posto di riguardo nel libro è riservato anche a Joe Stiglitz, teorico della «buona» globalizzazione ed economista di riferimento di Beppe Grillo. Di suo Campiglio aggiunge un plus di conformismo progressista, rigorosamente modellato su Occupy Wall Street.

La bussola del Capitale segna sempre il Nord del Profitto

Un primo passo verso la stabilità economica? Applicare «la Tobin Tax e investire in etica e trasparenza». Inusitata e rivoluzionaria ricetta! Peccato che, come sanno gli economisti più smaliziati e meno proni al politicamente corretto del populismo 2.0, la Tobin Tax sui flussi speculativi a breve spaventa solo chi la propone, chi si lascia suggestionare dalla sua dimensione diventata mitica, mentre non è che una modestissima riforma finanziaria di difficile applicazione, a causa della dimensione mondiale della Finanza, della rapidità delle transazioni speculative e dell’inestricabile intreccio fra «economia reale» e «economia virtuale». D’altra parte, come sosteneva Susan Strange, difficilmente chi vuole realizzare un profitto speculativo, allettante per definizione, si lascia intimidire da un modestissimo prelievo fiscale. Non c’è aglio che possa impaurire il vampiro della Finanza. Senza contare che, come dicevo, l’integrazione di Finanza «buona» e Finanza «cattiva» è talmente forte e strutturale, che si corre il rischio di bastonare la seconda solo per azzoppare la prima. E dal mio punto di vista disfattista la cosa non appare affatto male…

Quanto poi all’«investire in etica e trasparenza»… Beh, lasciamo perdere, per un resto di tolleranza. È dai tempi dell’ubriacone di Treviri che il pensiero critico-radicale è costretto a misurarsi con i costruttori di chimere (sotto forma di capitalismi etici, trasparenti, sociali, solidali, a chilometro zero, immersi nell’orto…), ma rimane il fatto che nel frattempo la qualità dei suoi avversari si è alquanto abbassata. Che l’accumulazione capitalistica, «verde» o «nera» che sia, ha nella produzione di valore – soprattutto di plusvalore – la sua più forte legittimazione etica, perché su essa poggia l’intera baracca sociale (compresa la vita di chi consuma improduttivamente valore insegnando l’etica della responsabilità), è cosa che non sfiora neppure chi pasticcia malamente per argomentare «la grande transizione verso un’economia florida e sostenibile».

Bisogna riportare la Finanza alla sua naturale funzione di supporto allo sviluppo dell’economia reale di un Paese: questa è la rivoluzionaria e originale tesi del nostro giovane e geniale Scienziato Sociale. Di questo passo egli corre il rischio di vincere il premio Nobel per l’economia. Chi afferma che il Capitale, industriale, commerciale o finanziario che sia, ha come suo assoluto, ossessivo e legittimo (posti gli odierni rapporti sociali planetari) imperativo categorico la Legge del profitto, e che è precisamente su questa base che si muove il contraddittorio e disumano processo dell’economia capitalistica; ebbene un simile individuo non merita che la commiserazione della Scienza Economica. Che peccato. Avevo fatto un pensierino su un certo premio…

«Consumo collaborativo», «consumo critico», «Green Investment Bank», «Banca del tempo», «riconversione eco-logica dal basso», «Lavoro e beni comuni» e, dulcis in fundo, «Felicità Interna Lorda». E qui il debito “dottrinario” di Campiglio nei confronti di Amartya Sen si rende esplicito. «Il PIL misura tutto, tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Meglio il FIL e il «capitale sociale», nevvero? La “felicità” che taluni hanno in testa è attraente come le segrete di Alcatraz.

Vedi anche Chimere riformiste intorno alla crisi.