SE TERESA D’ÁVILA LEVITA (FORSE) TUTTO È ANCORA POSSIBILE

chagall6Questa prigione divina dell’amore in cui io vivo,
ha reso Dio mia preda, e libero il mio cuore.
Mi fa nascere tal passione veder Dio mio prigioniero,
che muoio perché non muoio.
Teresa D’Ávila.

«Gli atei sono prigionieri che non possono girare la testa né a destra né a sinistra. Se vedesse santa Teresa d’Ávila che levita in chiesa, un ateo le direbbe “Ma cretina, che fai? Scendi giù, ti stai dimenticando che c’è la legge di gravità…”» (La Stampa, 7 marzo 2015). Questa è, a mio sindacabile giudizio, la riflessione forse più intelligente mai partorita dalla sicula testa di Franco Battiato, un intellettuale che apprezzo molto più come cantautore, che come “filosofo” più o meno New Age, e ancora meno come “politico” schierato a oltranza contro i “poteri forti” – sempre non meglio specificati, anche per evitare imbarazzanti scoperte: vedi la recente vicenda occorsa all’autore de Il cielo in una stanza, tanto per rimanere nell’ambiente musicale.

Ed io come me la caverei se mi trovassi dinanzi alla miracolistica scena proposta dal mistico di Jonia? Come affronterei la sfida con l’Ignoto? Scapperei via terrorizzato, come inclino a pensare conoscendomi abbastanza bene, oppure, vinto dalla curiosità, che in parte surroga il coraggio, mi avvicinerei con stupore alla Santa fluttuante nell’aire, per assistere meglio all’Evento, e magari per dirle con materialistica commozione: «Teresa, vorrei tanto levitare anch’io, insegnami come si fa e, già che ci sei, aiuta pure il mondo a vincere la Gravità che lo trascina sempre più in basso»? Perché è sempre bello buttarla in Teologia Politica, non siete d’accordo?

Teresa d’Ávila levita? Buon per lei! Mi si creda, non tenterei nemmeno un approccio positivista teso a cercare il – supposto – trucco che si cela dietro l’Incomprensibile. Teresa d’Ávila levita? Che invidia!

Non è forse liberatorio pensare che possiamo avere la meglio sulle «eterne, bronzee, grandi leggi» che ci tengono inchiodati all’Ordine Immodificabile delle Cose, e comportarci come il bizzarro atomo “deviante” immaginato da Epicuro* che tanto affascinò il giovane Marx? Levitare è giusto! Ecco, l’ho detto…

Personalmente non ho bisogno di credere in Dio per aprirmi alla possibilità del Miracolo. «Magari!»: ecco la mia attuale disposizione d’animo. Magari! Perché amici, diciamolo con franchezza: a questo punto della Tragedia solo un Miracolo può mettere il mondo nelle condizioni di oltrepassare la cattiva realtà. Sulla natura di questo Miracolo qui è meglio sorvolare, anche per creare un po’ di suspense nell’ateo duro e puro che sghignazza alle spalle di chi crede nel Demonio (o nei miracoli di Padre Pio) mentre il Dominio lo sevizia a sangue dalla mattina alla sera senza che egli ne abbia contezza alcuna.

Una volta (1966) Martin Heidegger disse che «Solo un Dio può ancora salvarci». In realtà basterebbe assai meno, non ci sarebbe bisogno di scomodare l’Altissimo, peraltro impegnato a capire qualcosa della Teoria del Tutto, giusto per non farsi dare lo sfratto da Stephen Hawking, o da un Odifreddi qualsiasi. Oggigiorno perfino Lui deve sperimentare la Precarietà Universale che incalza noi poveri cristi, con rispetto parlando. Che tempi! No, per salvarci basterebbe davvero poco, almeno per come la vedo io. D’altra parte, si sa, tutto è relativo, e ogni cosa ha senso solo se messa in relazione ad altro.  Di qui, l’evocato ambiguo Miracolo.

Scriveva la Santa spagnola nella sua autobiografia (1567): «Il fatto di essere sollevata per aria non mi è accaduto spesso. Sebbene noi sperimentiamo quanto sia gradevole tutto questo, la debolezza della nostra natura ci rende all’inizio timorosi». Ma è un timore che si vince facilmente, una volta sperimentata la gradevolezza dell’estasi. Perché fu l’amore che permise a Teresa di vincere la Gravità. E questo non bisogna dimenticarlo.

«Si possono fare grandi esperienze spaziali», osserva l’architetto di fama mondiale Zaha Hadid, «ma una cosa che non è cambiata è che abbiamo a che fare con la gravità. Stiamo con i piedi per terra. Ho imparato da un grande ingegnere, Peter Rice, a capire la logica della struttura» (La Stampa, 8 marzo 2015). Io appena ho incominciato a capire la logica della struttura, sulla scorta del grande ingegnere di Treviri, ho imparato che è sulla struttura stessa che bisogna lavorare, per metterla in questione nel modo più radicale: si tratta di mettere il mondo «con i piedi per terra», superando una volta per sempre la condanna faustiana/demoniaca che ci vede sottomessi a ciò che noi stessi creiamo. Dite che sto equivocando in un modo a dir poco imbarazzante? Dite che la signora Hadid parla di ben’altra gravità, di ben’altra struttura? In effetti… A leggere più attentamente… Ecco cosa può capitare a chi si mette in testa di cavalcare anche il misticismo pur di portare acqua al mulino della Trascendenza Rivoluzionaria! È proprio vero, abbiamo a che fare con la Gravità. Che cretino sono stato a lasciarmi sviare dal mistico della Magna Grecia! Teresa d’Ávila non può, anzi: non deve levitare, ecco tutto.

sha* Si tratta della deviazione spontanea degli atomi nel corso della loro caduta nel vuoto in linea retta: deviazione casuale, sia nel tempo sia nello spazio, che permette agli atomi di incontrarsi. Il concetto fu introdotto da Epicuro con il termine greco parénclisi (παρέγκλισι), successivamente tradotto da Lucrezio con la parola latina clinamen. Auguste Cornu ha fornito una convincente spiegazione della preferenza antipositivista di Marx esposta nella sua dissertazione dottorale redatta tra il 1838 e il 1840 (Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro):

«Mentre Democrito si era interessato solo della natura materiale dell’atomo, Epicuro ne considera anche l’essenza spirituale, e vede in esso non solo la sostanza del mondo sensibile, ma anche il simbolo della coscienza individuale dell’uomo. È dal punto di vista della possibilità per l’uomo di agire sul mondo che Marx giudica la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro; e ciò spiega il suo tentativo di riabilitare Epicuro, il quale teneva conto sia dell’elemento spirituale che dell’elemento materiale, mentre Democrito, considerandone soltanto l’elemento materiale, si limitava allo studio della natura empirica. Nonostante l’insufficienza e la debolezza delle sue spiegazioni fisiche, Marx preferiva la filosofia della natura di Epicuro a quella di Democrito, perché, respingendo il determinismo di Democrito, egli aveva dimostrato che l’uomo poteva agire liberamente. […] Nella filosofia di Epicuro, era il principio di libertà, necessario all’azione, che attirava Marx verso questo filosofo e lo rendeva indulgente verso le sue spiegazioni un po’ fantasiose dei fenomeni fisici. […] Lo lodava soprattutto perché aveva analizzato i fenomeni fisici nei loro rapporti con l’uomo, e aveva fatto della sua filosofia della natura la base di un’etica che si proponeva di giustificare e garantire la libertà umana» (A. Cornu, Marx e Engels dal liberalismo al comunismo, p. 212, Einaudi).

FRANCO BATTIATO E GLI ESSERI DEL SOTTOSUOLO

rettilianoEsordisco con un giudizio che irriterà non poco i tantissimi seguaci di Franco Battiato, per poi mettere le metaforiche mani avanti. A mio modesto avviso il cantautore siciliano è uno di quei personaggi dell’italico bel canto che farebbero bene ad aprire bocca solo per cantare, per esternare frasi poetiche e melodie, perché non appena provano ad articolare un discorso minimamente serio intorno al mondo in generale e a Miserabilandia (l’Italia delle contrapposte tifoserie politiche) in particolare, questi signori baciati dalle Muse si diffondono in ragionamenti infantili, banali e luogocomunisti fino al parossismo. Celentano è un altro caso tipico, ma ne potrei fare altri, presi dal mondo della canzone come da quello del teatro, o del cinema e via discorrendo. E questo lo dico da fan sfegatato di Battiato, che seguo in pratica da sempre, almeno dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Questo vale in parte per lo stesso Celentano, il cui problema non sta nell’ignoranza (rivendico per me lo scettro della suprema ignoranza), ma in una povertà di pensiero che molti scambiano per saggezza popolare. Com’è ridotto male il popolo… Ciò non toglie che canzoni come Azzurro e Una carezza in un pugno non smettano di titillare la mia anima inguaribilmente romantica e la mia nostalgia per il bel tempo che fu, oratorio compreso.

2724923966_c90af5f08b_zEntusiasta de L’Ombrello e la macchina da cucire (1995), una sera di molti anni fa decisi di seguire un’intervista televisiva di Battiato: dopo alcuni minuti di assolute banalità infantili intorno alla sua cosiddetta “filosofia”, un risibile sincretismo filosofico-religioso indigente fino all’imbarazzo, dovetti migrare su altre reti, non perché avessi visto crollare dinanzi ai miei occhi un mito, ma per rispetto nei confronti del bravissimo cantante musicista. Fui vinto non dalla disillusione ma appunto da un invincibile imbarazzo, un sentimento che non abbandona mai la creatura compassionevole, per esprimermi in “battiatese”. Il vertice dell’imbarazzo lo toccai allorché il Siciliano iniziò a parlare della solita India (il luogo comune per antonomasia dell’alternativo d’OC), esternando filastrocche pseudo filosofiche probabilmente attinte da qualche manuale di pensiero (che parola impegnativa!) “esoterico”. Riflessioni che sarebbero suonate infantili e ridicole all’orecchio di un quindicenne di media intelligenza già avvezzo alle buone letture, e quindi in grado di cogliere in fallo il vuoto di pensiero che si spaccia per profondità. Ma veniamo rapidamente alla stringente attualità.

Cosa sono i politici per Battiato? «Esseri del sottosuolo, dei poveri disgraziati». E la politica? «Ci sono delle ostilità, visive, auditive, che fanno veramente male perché la politica è menzognera. Sei costretto a seguirla per il bene del Paese, anche per vedere se puoi fare qualcosa per cambiare questa Italia, ma ti lascia delle ferite, perché quelli sono esseri del sottosuolo» (Globalist.it, 30 marzo 2013). Una vita intera spesa nella ricerca del reale senso della vita, e questi sono i risultati? Complimenti! I politici sono «esseri del sottosuolo» (rettiliani?), «la politica è menzognera»: un acquisto politico-filosofico davvero invidiabile, e soprattutto originale, come si conviene a un artista che non nasconde ambizioni avanguardiste.

battiatoyoungnc0Ora, qui non si rimprovera al nostro bravo cantante una concezione ultrareazionaria della politica, centrata sul bene del Paese, oggi ridotto a Povera patria in balìa di politicanti ladri, corrotti e puttanieri: chi non condivide questa posizione è pregato  di scagliare, insieme a chi scrive, la prima pietra. Rilevo solo nelle riflessioni di Battiato una declinazione particolarmente povera di concetti di quella posizione maggioritaria («Incontrare delle persone oneste è una boccata d’ossigeno indimenticabile: già questo ti basta»), e la grande popolarità di queste idee costituisce il problema per chi si batte contro la demagogia dei politici e degli intellettuali eticamente corretti, i quali cercano di confinare il disagio sociale degli individui, azzannati dal Dominio nel corpo e nell’anima, dentro i maligni sentieri della conservazione sociale, per mobilitarlo all’occorrenza nell’opera di pulizia morale e di rinnovamento meritocratico («sono uno di quelli che crede solo nelle cose eccellenti, per cui questa è la direzione da seguire»). Opera di cui una parte sempre più grande delle classi dominanti del Bel Paese sente l’urgente bisogno. Battiato o non Battiato, Grillo o non grillo.

L’agognata e sempre dilazionata «riforma strutturale» della società italiana, idonea a superare le annose magagne del capitalismo Made in Italy (a cominciare dal parassitismo sociale finanziato con la spesa pubblica, base del clientelismo foraggiato dai partiti), troverebbe una necessaria corrispondenza nella riforma politico-istituzionale e perfino morale reclamata a gran voce dalla parte migliore del Paese. Migliore, beninteso, dal punto di vista di chi milita a favore della Patria, in vista appunto di una sua modernizzazione e moralizzazione, dovesse ciò implicare il taglio, più o meno simbolico, di qualche testa (sicuramente quella del Cavaliere Nero, il principe degli «esseri del sottosuolo») e magari, perché no?, una bella guerra di liberazione contro il Fronte del Nord capeggiato dalla Germania.

Ciò che abita il sottosuolo non è il politico corrotto, eliminato il quale «le cose si aggiusterebbero», ma un rapporto sociale disumano che ci fa schiavi di una prassi che per l’essenziale non controlliamo, a prescindere dall’onestà e dalla trasparenza di chi ci governa.

GIOCHI DI GUERRA ALL’OMBRA DEL PROFETA

«L’ayatollah Khomeini per molti è santità. Abbocchi sempre all’amo. Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso» (Franco Battiato, Up Patriots To Arms).

Com’è noto, nella primavera del 1993 apparve l’articolo di Samuel Huntington, pubblicato su Foreign Affairs, sullo scontro tra le civiltà. Un articolo che, come si dice, fece epoca: «La mia tesi è che la fonte prima di conflitto in questo nuovo mondo non sarà né essenzialmente ideologica né essenzialmente economica.  Le grandi divisioni all’interno dell’umanità e la fonte di conflitto predominante avranno carattere culturale. Gli stati nazione resteranno i protagonisti più potenti degli affari mondiali ma i principali conflitti della politica globale avranno luogo tra nazioni e gruppi di civiltà diverse. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le faglie tra civiltà saranno i fronti di battaglia del futuro».

Finita la guerra fredda, sconfitto su tutti i fronti (economico, politico, scientifico, culturale) il Nemico fronteggiato nel corso di quasi mezzo secolo, gli Stati Uniti avevano bisogno di una nuova ideologia, o, per dirla con il Nichi nazionale, di una nuova «narrazione» sulla cui base incardinare la loro visione strategica adatta ai nuovi tempi, e Huntington cercò di rispondere a questa esigenza, peraltro in concorrenza con il teorico della fine della storia Francis Fukuyama. Gli eventi che seguirono parvero dargli ragione. Naturalmente alludo all’11 Settembre.

Scriveva Edward Said nel novembre del 2001, mentre le squadre di soccorso scavavano sotto le macerie ancora fumanti delle Twin  Towers alla – vana – ricerca di superstiti: «Viviamo momenti di tensione ma è meglio pensare in termini di comunità che detengono il potere e comunità che ne sono prive, di secolari politiche di raziocinio e ignoranza, e di principi universali di giustizia e ingiustizia, piuttosto che smarrirsi in astrazioni che possono essere fonte di soddisfazione momentanea ma producono scarsa auto-consapevolezza. La tesi dello “scontro di civiltà” è una trovata tipo “Guerra dei mondi”, più adatta a rafforzare un amor proprio diffidente che la conoscenza critica della sorprendente interdipendenza del nostro tempo» (Più che di civiltà è scontro di ignoranze, La Repubblica, 1 novembre 2001).

Nella giusta critica della rozza, semplicistica e pericolosa tesi di Huntington l’intellettuale palestinese scomparso nel 2003 commise, a mio avviso, un grave errore di valutazione (di matrice illuministica, per così dire, come peraltro si ricava già dal titolo), che lo portò a «smarrirsi in astrazioni» altrettanto inconcludenti sotto il profilo storico e reazionarie sul piano dell’iniziativa politica. Per non «smarrirsi in astrazioni» sul terreno dei rapporti tra ciò che chiamiamo Occidente e Islam occorre prendere in considerazione concetti “forti” quali imperialismo, scontro interimperialistico, lotta fra fazioni capitalistiche, potenza e impotenza sociale, ecc.. Solo all’interno di questa costellazione concettuale le questioni culturali e “antropologiche”, che ovviamente esistono e che hanno una grande importanza sul piano della prassi e dell’analisi critica di essa, si riempiono di viva sostanza storica e sociale. Solo a partire dall’analisi delle grandi forze sociali che spingono, e spesse volte strattonano, il processo storico mondiale si  può costruire la «conoscenza critica della sorprendente interdipendenza del nostro tempo».

I concetti appena evocati dovrebbero informare anche l’analisi di quanto sta accadendo in tutto il mondo musulmano dopo la diffusione del film «blasfemo» L’innocenza dei musulmani, giudicato dalle frange più radicali del fondamentalismo islamico «un altro capitolo nella guerra crociata contro le terre del Profeta». Lo stesso Mohamed Morsi, il presidente egiziano venuto in visita in Italia, nel cuore della Civiltà Cristiana, ha dichiarato senza peli sulla lingua che «il Profeta è una linea rossa invalicabile». Chi tocca il Profeta muore: questo continua a essere l’imperativo categorico che sovrasta la Comunità devota ad Allah, anche dopo la cosiddetta «primavera araba», ultima infatuazione degli intellettuali progressisti occidentali – «Il processo democratico continua, anche se lentamente e non senza problemi», ha scritto ad esempio Loretta Napoleoni nel suo libro Contagio: già, non senza problemi…

Siamo di fronte a un ennesimo episodio di scontro tra le civiltà? O stiamo assistendo all’esplodere di un vasto movimento antimperialista cementato da un’ideologia religiosa? Ovvero, per dirla con Edward Said, siamo dinanzi a «uno scontro di ignoranze», più che di civiltà? A mio avviso, nulla di tutto questo. Si tratta piuttosto di un ennesimo esempio di come le “moltitudini” prive di coscienza rimangano facilmente vittima delle ideologie più reazionarie e, quindi, degli interessi che fanno capo alle classi dominanti o solo ad alcune delle sue fazioni che oggi aspirano al potere in esclusiva, ovvero a strati sociali e a gruppi politico-ideologici che sognano un’impossibile ritorno indietro delle società musulmane.

A proposito di linea rossa, ieri il premier israeliano ha dichiarato ai media americani che «il programma nucleare iraniano deve rappresentare per il mondo libero una linea rossa invalicabile»: il Presidente degli Stati Uniti deve imparare la lezione cubana impartita da Kennedy ai russi. Il clima in Medioriente si arroventa, e il regime iraniano naturalmente ha gettato benzina sul fuoco della “blasfemia”: «L’Iran condanna con forza gli insulti alle figure sacre dell’Islam», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, che ha accusato Washington di alimentare «l’odio culturale e gli insulti alle figure sacre dell’Islam, destinati a scatenare una guerra contro l’Islam». Per capire quanto inadeguata sia una lettura in chiave astrattamente culturale delle tensioni che da oltre mezzo secolo travagliano quell’area del mondo, è sufficiente ricordare l’alleanza di fatto che si costituì tra Israele, Iran e Siria ai tempi della lunga guerra tra Iran e Iraq. Come sempre, anche allora ai palestinesi toccò in sorte il triste ruolo di merce di scambio tra potenze regionali assetate di petrolio e di potere. All’ombra del Profeta si bruciano i corpi e le coscienze delle moltitudini.

Come ho scritto in diversi articoli, nel mondo musulmano il Verbo del Profeta può essere usato, indifferentemente, per tutte le cause: per quella del “progresso” (ossia dello sviluppo capitalistico, non importa se di tipo “occidentale” o “autoctono”), come per quella della “conservazione”, e questo in assoluta analogia con quanto è accaduto nel resto del mondo nel corso dei secoli. Non è la religione presa in sé che favorisce o impedisce il processo sociale – colto in tutta la sua dimensione esistenziale: dall’economia alla psicologia degli individui, dai rapporti sociali alle relazioni fra uomo e donna, e via di seguito. Non è a partire dalla religione che possiamo ricostruire la storia passata e presente delle civiltà, mentre piuttosto è la prassi sociale, a cominciare dall’attività che crea e distribuisce la ricchezza sociale, che spiega non tanto la religione quanto le sue cangianti interpretazioni.

Permettetemi una correzione alla precedente tesi: per tutte le cause, tranne che per quella che sostiene l’emancipazione delle classi dominate e di tutta l’umanità: a questa altezza storica e sociale il Verbo del Profeta è inconsistente.

Non a caso prima ho parlato di “moltitudini” prive di coscienza, non semplicemente «ignoranti», ossia non illuminate dalla razionalità scientifica e dal pensiero laico. D’altra parte di questa coscienza di classe: coscienza della propria situazione sociale e delle eccezionali potenzialità storiche che in essa si celano, sono prive anche le classi dominate del resto del pianeta, e infatti anch’esse vanno appresso all’ideologia dominante e ai gruppi di potere che si contendono le fette più cospicue della ricchezza sociale. Atea o religiosa, la demagogia che si nutre del malessere sociale è ovunque in agguato, per sacrificare corpi e coscienze sull’altare del potere. C’è da sperare – e da lottare – che siano le faglie tra le classi sociali i fronti di battaglia del futuro. Ovunque.