Scrive Lucio Caracciolo: «L’eventuale presa di Tripoli da parte del generale Haftar non avrebbe conseguenze definitive, ma comunque i segnali in arrivo dall’ex colonia italiana sono allarmanti. Il rischio di uno scontro indiretto tra Russia e Turchia nel nostro cortile di casa». In effetti gli interessi in gioco per l’Italia nella partita libica sono a dir poco cospicui, e di molteplice natura: economici (leggi: petrolio, gas, infrastrutture), geopolitici, strategici – inclusa la sicurezza del Paese e la sua politica dei flussi migratori. Ma ciò che volevo far notare qui è la schiettezza che esibiscono i migliori servitori degli interessi (imperialistici) del nostro Paese: la partita libica si gioca interamente «nel nostro cortile di casa», ossia in una riserva di caccia che la geopolitica (incrocio tra storia, rapporti di forza tra le Potenze e la dislocazione geografica di un Paese) ha da molto tempo assegnato all’Italia. Un’area che include, oltre la sponda africana, una parte non piccola dei Balcani.
Soprattutto gli “amici” francesi e britannici non perdono di cogliere una sola occasione che possa in qualche modo ostacolare l’iniziativa italiana «nel nostro cortile di casa», e in questo la concorrenza è avvantaggiata, e di molto, dalla sua non disprezzabile dotazione militare. Soprattutto la Gran Bretagna, fresca di Brexit, sta investendo molto nella costruzione di nuove portaerei. Abbiamo visto all’opera il “vantaggio competitivo” anglo-francese nei confronti dell’Italia nel 2011, quando Parigi e Londra decisero di far saltare in aria il vespaio libico per decenni tenuto sotto stretto e violento controllo da Gheddafi, fino ad allora assai coccolato e “assistito” finanziariamente da tutti i governi italiani che si sono succeduti dal 1969 in poi, anno di ascesa al potere dell’ex dittatore di Tripoli – il quale non a torto si vantava di aver contribuito alla salvezza dell’italianissima Fiat nella seconda metà degli anni Settanta. «E adesso anche l’amico Silvio mi lascia nelle mani del nemico che vuole sgozzarmi!». Com’è noto, l’amico Silvio (Berlusconi, si capisce) fu costretto ad accettare obtorto collo (insomma, a subire) l’intervento “umanitario” anglo-francese.
«L’Italia ha perso terreno in Libia, non possiamo negarlo. Ma ora deve riprendersi il ruolo naturale di principale interlocutore, da sempre amico del popolo libico». Questo ha dichiarato il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio di rientro da una missione-lampo a Tripoli, Bengasi e Tobruk – a dimostrazione che come sempre Roma pratica la tradizionale politica estera italiana che consiste nel giocare di sponda con tutti gli attori in campo, per saltare sul carro del vincitore al momento opportuno; una strategia molto disprezzata dagli “amici” europei e che non sempre sortisce gli effetti desiderati dai furbi di casa nostra: a furia di infornare il pane della diplomazia in tutti i forni aperti (o che sembrano tali), Roma rischia di ritrovarsi senza petrolio, senza gas e senza un effettivo controllo politico-militare su quanto avviene nel suo immediato cortile di casa: una vera e propria sciagura nazionale.
Negli ultimi tre anni l’attivismo della Turchia nel suo ampio cortile di casa ha subito una notevole accelerazione, e a farne le spese potrebbero essere anche gli interessi “energetici” italiani: «Al centro delle tensioni tra la Turchia e l’Italia, come anche con altri paesi dell’Unione Europea tra cui Francia, Grecia e Germania, vi è lo sfruttamento dei giacimenti di gas nelle acque territoriali di Cipro: Ankara considera da sempre la parte meridionale dell’isola come secessionista, ma l’Eni italiana ha ottenuto da Nicosia concessioni per lo sfruttamento dei fondali. Già nel febbraio dello scorso anno la Turchia aveva bloccato nelle acque di Cipro la nave esplorativa italiana Saipem 12000, che non potendo lì operare era stata poi trasferita in Marocco. Da lì a poco erano giunte nell’area navi esplorative turche. In seguito le autorità di Ankara avevano disposto imponenti esercitazioni navali in prossimità delle acque di Cipro, e “Scopo dell’esercitazione – aveva spiegato il ministro della Difesa Hulusi Akar – è quello di mostrare la determinazione e la preparazione al fine di garantire la sicurezza, la sovranità e i diritti marittimi della Turchia”. […] Per dare seguito ai propri diritti di sfruttamento Roma ha inviato in questi giorni nell’area la fregata Federico Martinengo, classe Fremm, insieme ad altre nove unità navali al fine di dimostrare di essere in grado di tutelare i propri interessi, un esempio che a breve potrebbe essere seguito dai francesi e non solo» (G. Eddaly, Notizie Geopolitiche). La crisi cipriota rischia di saldarsi a quella libica con effetti imprevedibili e certamente non orientati alla “pace e prosperità”.
«A parole, Russia e Turchia sembrano voler appoggiare la ripresa di un dialogo, ma nei fatti danno supporto sul terreno a Haftar e Sarraj, forse col progetto di “spartirsi” poi la Libia, come avvenuto per la Siria» (L’Avvenire). I Paesi dell’Unione Europea lamentano la latitanza di Washington nella crisi libica, mentre gli americani non intendono fare il lavoro sporco se non sono sicuri di poter portare a casa un successo. «Non vogliamo più sacrificare uomini e dollari per conto degli interessi europei, magari per sentirci poi dire dagli stessi alleati della Nato che siamo i soliti imperialisti a cui piace recitare il ruolo dei poliziotti del mondo»: è la “filosofia” che ispira la politica estera americana negli ultimi trent’anni, e che si è delineata con maggiore nettezza già con la Presidenza Obama.
E in questo contesto assai “problematico”, che rischia di innescare avventure belliche di grandi dimensioni, ben oltre lo schema delle “guerre per procura”, cosa fa l’ONU? «L’ONU, poveretta, quando il conflitto si allarga non conta più niente» (Romano Prodi). Lo avevo sospettato! Nel «covo di briganti» (Lenin) chiamato ONU non si muove foglia che l’Imperialismo non voglia. E quando parlo di Imperialismo, alludo ovviamente in primo luogo alle Potenze mondiali più grandi: Stati Uniti, Cina e Russia, con l’Unione Europea che con affanno e tra mille contraddizioni cerca di darsi una consistenza politico-militare in grado di reggere il confronto con quei tre Paesi. La Gran Bretagna è costretta, almeno in questa fase, a consolidare la sua storica “relazione speciale” con gli Stati Uniti.
Monitorare la partita libica mi pare oggi più che mai importante per chi ha in odio una Società-Mondo che produce sempre di nuovo sfruttamento, oppressione e guerre, e per quel poco che vale annuncio che in caso di “precipitazioni belliche” offrirò alla Patria il mio più totale disfattismo, la mia più totale avversione nei confronti dei suoi interessi più o meno vitali.