Ormai da molti mesi, “tregua umanitaria” dopo “tregua umanitaria”, “cessate il fuoco” dopo “cessate il fuoco”, il patetico Staffan De Mistura, l’inviato dell’Onu per la Siria dal luglio 2014, ripete ai suoi tanti interlocutori il miserabile mantra che segue: «Se entro poche ore, al massimo pochi giorni, non si arriva a un accordo tra le parti, la Siria precipiterà in un completo e definitivo caos». Precipiterà? Evidentemente a De Mistura l’inferno siriano che dal 2011 divora migliaia di vite non dà ancora l’idea di un caos completo e definitivo. È anche vero che al peggio non c’è fine, e difatti oggi egli è costretto ad ammettere: «Sta succedendo l’orrore, Aleppo sta bruciando, è urgente fermare questi bombardamenti». Intanto, mentre scrivo questo post bombe incendiarie cadono su Aleppo a cura delle forze lealiste supportate dall’alleato russo: l’inferno va continuamente alimentato! «Rendere la vita intollerabile e la morte probabile. Aprire una via di fuga oppure offrire un accordo a quelli che se ne vanno o che si arrendono. Lasciare che se ne vadano, uno a uno. Uccidere chiunque resti. Ripetere da capo fino a che il paesaggio urbano, ormai deserto, diventa tuo»: è la tattica nota come “starve-or-submit” applicata dall’esercito siriano ad Aleppo descritta dal New York Times.
Sempre De Mistura è convinto che Aleppo sia «la Stalingrado siriana», e che «chi vince lì fa pendere la bilancia dalla sua parte»: di qui il carattere particolarmente micidiale che il conflitto siriano ha assunto in quella martoriata città, ridotta a un ammasso di case sventrate, a una mortifera trappola che tiene sotto sequestro migliaia di vecchi di donne e di bambini, prezioso materiale biologico da offrire in sacrificio al Moloch. Beninteso il Moloch ha un nome preciso: Sistema Mondiale del Terrore, che poi è uno dei diversi nomi che si possono dare agli interessi economici e geopolitici che fanno capo a grandi, medie e piccole Potenze, e che pretendono di venir soddisfatti con tutti i mezzi necessari: da quelli più “pacifici” a quelli più violenti. Anche il nome di Imperialismo va benissimo, e come sempre, almeno all’avviso di chi scrive, esso va attribuito a tutti gli attori in campo, “simmetrici” e “asimmetrici” che siano, a tutti gli eserciti, “regolari” e “irregolari”, che da anni alimentano le fiamme dell’inferno mentre l’inviato dell’Onu per la Siria si trastulla in pietosi ammonimenti che suscitano solo ilarità nei piani alti del famigerato Sistema. D’altra parte, cosa potrebbe dire e fare di diverso un Alto rappresentante diplomatico dell’Onu, di questo «covo di briganti», per esprimermi leninianamente, chiamato a ratificare e a difendere i rapporti di forza fra le Potenze sanciti dalla Seconda Carneficina mondiale? «”Questi sono giorni agghiaccianti, tra i peggiori da quando è iniziato il conflitto in Siria. Il deterioramento della situazione ad Aleppo sta raggiungendo nuove vette di orrore”, dice l’inviato speciale dell’Onu, Staffan de Mistura, durante la riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza, ribadendo la sua “delusione” per il mancato accordo sulla ripresa del cessate il fuoco deciso il 9 settembre da Usa e Russia. Ormai ad Aleppo “non si possono più contare i morti, a causa del caos che regna” nella seconda città siriana, “nella parte est sono assediate 275mila persone. L’assedio dura da più di 20 giorni» (La repubblica, 23 settembre 2016). Una “delusione” che non mi sento di poter condividere; in un post del 2015 dedicato alle Barrel Bombs usate dal famigerato perito chimico di Damasco, mi chiedevo retoricamente: «Non sarà che all’Onu non si muove foglia che l’Imperialismo (naturalmente a cominciare dalle Potenze maggiori: Stati Uniti, Russia, Cina, Unione Europea a trazione tedesca) non voglia?». «Se mi dimettessi», ha dichiarato qualche giorno fa De Mistura, «vorrebbe dire che la comunità internazionale sta abbandonando la Siria, che l’Onu sta abbandonando la Siria; non manderemo questo segnale». L’opinione pubblica internazionale tira un grosso sospiro di sollievo e sentitamente l’umanità tutta ringrazia. Diciamo…
Fino a che punto, poi, regge l’analogia tra Stalingrado e Aleppo che intriga non pochi analisti geopolitici, soprattutto quelli orientati in senso “antimperialista” (leggi: antiamericana e filo-russa)? A mio avviso essa è fondata solo per ciò che concerne l’aspetto infernale (leggi mostruosamente disumano) delle due battaglie; ricordo a me stesso che nel febbraio 1943 Berlino e Mosca imposero ai rispettivi eserciti impegnati nella città che portava il nome del dittatore russo di non arretrare di un solo millimetro, pena l’immediata fucilazione per alto tradimento – com’è noto, i commissari politici sovietici sparavano alla schiena ai soldati che scappavano o si ritiravano, cosa che può apparire eticamente ineccepibile, oltre che politicamente giustificata e corretta, solo agli occhi di chi condivide il punto di vista ultrareazionario della difesa della patria, a maggior ragione se “socialista”, costi quel che costi. Io sostengo invece la necessità del disfattismo rivoluzionario sempre e comunque. Ma questo è un altro discorso.
Per il resto, non mi sembra che l’analogia di cui sopra abbia solidi appigli storici e geopolitici, anche volendo dar credito all’altra analogia, quella cioè che presenta il Califfato Nero nei panni del nuovo nazifascismo. Forse è la battaglia di Sarajevo tra serbi e bosniaci degli anni Novanta del secolo scorso che può prestarsi a qualche analogia con ciò che accade ad Aleppo, ma il rischio della forzatura storico-politica è sempre in agguato e ciò mi consiglia di non lanciarmi a cuor leggero in analogie di qualche tipo. Del resto, i mattatoi si somigliano un po’ tutti, orrore più, orrore meno.
L’analogia Stalingrado-Aleppo naturalmente viene incontro alla propaganda di Assad e di Putin, i quali in tutti questi anni si sono “venduti” all’opinione pubblica internazionale come i soli veri protagonisti nella “guerra di liberazione” dalle forze del male che oggi indossano i neri panni dell’esercito che massacra nel Santo e Misericordioso nome di Allah. E, infatti, fu il Presidente siriano a tirare in ballo la battaglia di Stalingrado in un messaggio al compare di merende Putin dello scorso maggio reso pubblico dalla Tass: «Aleppo, come molte città siriane, è come Stalingrado. La loro resistenza dimostra che la Siria, il suo popolo e l’esercito non accetteranno meno di una vittoria assoluta sul terrore e la sconfitta totale dell’aggressione». Quanto poco interessi «il suo popolo» al macellaio coi baffetti di cui sopra, è cosa che tutti sanno, anche se qualcuno che dalle nostre parti affetta pose da “antimperialista” duro e puro fa finta di niente, quando non è indaffarato nel negare l’evidenza chiamando in causa il “pensiero unico” occidentale, il servilismo filoamericano dei media mainstream (*) e il complotto internazionale ordito dall’imperialismo occidentale per far fuori il virile Vladimir Putin e il laico Bashar al Assad. Insomma, continua lo strabismo di certo “antimperialismo” italico (un tempo amico del “socialismo reale” di marca sovietica), il quale esattamente come i pennivendoli dell’imperialismo occidentale che critica si è scelto un fronte dei buoni (Russia, Siria, Iran) da sostenere contro il fronte dei cattivi (dagli Stati Uniti a Israele, passando per la Turchia, Arabia Saudita, ecc.). (Brevissima precisazione: qui scrivo “occidentale” solo per sintetizzare un concetto che andrebbe approfondito). Sparare a palle incatenate contro tutti i responsabili del macello siriano per simili “antimperialisti” equivale a fare dell’internazionalismo astratto, dell’antimperialismo parolaio perché incapace di fare politica. Il problema è che certi “antimperialisti” hanno imparato a fare una sola politica: quella delle classi dominanti, ossia di una loro fazione – non importa se nazionale o internazionale – contro quella avversaria.
È ovvio che l’antiamericanismo ideologico di chi vede in opera, e denuncia, solo un imperialismo (il solito, sempre quello, dal 1945 in poi), mentre è pronto a sostenere, o quantomeno a giustificare, le ragioni, a mio modesto avviso non meno reazionarie e disumane, dei Paesi che in qualche modo lo contrastano non aiuta il lavoro di coloro che si sforzano di smontare la propaganda dei governi occidentali senza per questo portare acqua al mulino dei governi che promuovono gli interessi imperialistici dei Paesi concorrenti, non importa se grandi o piccoli, “occidentali” o “mediorientali”, del “Nord” o del “Sud” del mondo. L’autonomia di classe, se non è una vuota frase da spendere sul mercato della politica pseudo rivoluzionaria, non si arresta ai confini nazionali, ma si esercita anche sul terreno della competizione interimperialistica, ovunque e comunque (in forma economica, diplomatica, militare) essa si esplichi.
Ma chi sono io per criticare i tifosi di Putin, il Caro Leader che sta cercando di rialzare il prestigio della Madre Russia dopo la catastrofe sovietica, e di Assad, l’altrettanto Caro Leader che sta lottando con tutti i mezzi necessari (compreso l’uso di cloro e di gas nervino) per evitare il doloroso (per chi?) regime-change voluto dalle oscure forze del Male? Ben poca cosa! Ma lo faccio lo stesso…
Intanto la guerra siriana si incattivisce ulteriormente, e il regime di Assad fa ancor più largo uso delle bombe incendiarie, sempre supportato dall’alleato russo. «La riunione del Consiglio è stata convocata da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti per aumentare la pressione sulla Russia, principale alleato del regime siriano, e far cessare i bombardamenti su Aleppo dando così la possibilità di ristabilire la tregua negoziata tra Washington e Mosca. “Portare la pace in Siria è un compito quasi impossibile ora”, dichiara l’ambasciatore russo all’Onu, Vitaly Churkin, “Damasco ha mostrato una moderazione invidiabile”» (La Repubblica). Il cinismo dell’ambasciatore russo all’Onu (che ha accusato Washington di aver «distrutto gli equilibri del Medio Oriente usando i terroristi di al Nusra per rovesciare il governo») si limita a esprimere il cinismo degli interessi contrastanti, mentre l’attivismo “pacifista” del cosiddetto fronte occidentale, per un verso lascia trapelare la preoccupazione di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti di perdere la guerra siriana, e per altro verso appare come un estremo tentativo volto a spingere la Russia a sacrificare Assad. Quest’ultimo sa benissimo cosa rischia, e difatti agisce nella sola maniera che oggi può consentirgli di mantenersi in sella: incrementare gli sforzi bellici contro i ribelli, riacquistare potere contrattuale su scala nazionale e internazionale con tutti i mezzi necessari, anche a costo di mettere in imbarazzo l’alleato russo, il quale d’altra parte ha dimostrato in diverse occasioni fin dove può spingersi il suo realismo geopolitico: vedi Crimea, fra l’altro.
L’ambasciatrice americana all’Onu, Samantha Power, ha preso di mira frontalmente la politica siriana di Mosca: «La Russia in Siria non sta sponsorizzando la lotta al terrorismo, ma la barbarie». Dopo aver ricordato quanto disse Hillary Clinton un anno fa (se ricordo bene): «l’Isis è una nostra creatura che ci è sfuggita di mano», mi permetto di correggere la Power: tutti gli attori in campo in Siria stanno “sponsorizzando” il Sistema mondiale del terrore e la barbarie. Ammetto che questa è una tesi che difficilmente troverà orecchie all’Onu. E non solo da quelle parti…
(*) «Di manipolato nella rivolta siriana c’è tantissimo. Ed è un problema, perché si tratta di un conflitto coperto in gran parte dai social media, da attivisti legati all’una o all’altra parte del conflitto. Di bufale e mezze verità ne sono circolate moltissime (di un paio ne parlo nel libro). Ma purtroppo molti degli orrori di cui sentiamo sono reali. L’attacco chimico contro Ghouta è stato documentato da un’indagine Onu e da uno studio separato di Human Rights Watch”. […] Uno degli errori principali di Assad è stato rispondere fin da subito con la violenza. Bisogna ricordare che le proteste sono iniziate in modo pacifico, e c’è chi dice che se il regime fosse andato incontro ai dissidenti, per esempio revocando lo stato di emergenza che vigeva dagli anni Sessanta, non ci sarebbe stata alcuna guerra civile e forse Assad avrebbe potuto anche “conservare il posto” senza spargimento di sangue. Quanto ai qaedisti, il problema non è tanto lasciare loro spazio, quanto il fatto che sono bravissimi a prenderselo da solo. Gli elementi più moderati dell’opposizione armata non hanno ricevuto un grande sostegno esterno, specie dall’Occidente, e questo ovviamente ha fatto il gioco di al-Qaeda. Ma purtroppo, anche indipendentemente da questo, quando un conflitto si prolunga accade spesso che gli elementi più radicali si consolidino» (Anna Momigliano, autrice di Il macellaio di Damasco, Vanda E., 2013).
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