LE ECCITANTI AMBIZIONI DELLA SINISTRA SOVRANISTA

eni-aperturaDefinire il Sovranismo come la malattia senile del Nazionalismo mi sembra ancora troppo poco.

Che cosa vuole l’italica Sinistra Sovranista? È presto detto: ripristinare il funzionamento del motore del Capitalismo italiano, «da tempo inceppato», e scongiurare alla Patria quel destino di servaggio economico e politico cui esso sembra inesorabilmente avviato dopo il suo inserimento organico nello spazio politico-economico europeo egemonizzato dalla Germania.

Si dirà che la Destra Sovranista coltiva gli stessi obiettivi. E difatti è proprio così, e basta leggere, ad esempio, i documenti prodotti da Casapound sulla necessità di difendere i «campioni nazionali» dell’industria tricolore dalla selvaggia ingordigia del «capitale straniero» (germanico e cinese, in primis) per averne piena contezza. Questo, fra l’altro, a ulteriore dimostrazione di quanto assimilabili a uno stesso ceppo ideologico (quello che ha nel Capitalismo di Stato e nella Nazione il suo riferimento materiale) siano lo stalinismo, di vecchio (quello che pregava con la faccia rivolta verso la Mecca del «socialismo reale») e di nuovo conio (quello che ha in Chávez il suo nuovo santino), e il fascismo, anche qui di vecchio (quello che sospirava nostalgicamente pensando alla Repubblica Sociale di Salò) e di nuovo conio (quello che guarda con simpatia alla Grecia di Alba Dorata).

Provoco? Nient’affatto! Mi limito a osservare la situazione del Bel Paese e del mondo da un punto di vista completamente estraneo e ostile tanto alla Sinistra Sovranista quanto alla sua degna e speculare controparte destrorsa. Si tratta del punto di vista che vede nello Stato nazionale, e in ogni forma di Stato (compreso l’ipotetico Stato sovranazionale europeo che tanto inquieta i Sovranisti d’ogni razza e colore), il Leviatano posto a guardia dei rapporti sociali capitalistici, non importa se orientati in direzione del Capitalismo di Stato, come sognano gli ultrareazionari di cui sopra, oppure in direzione del cosiddetto Capitalismo liberista-selvaggio, spauracchio di destri e sinistri.

imagesQ5JI5K1UCome Marcello De Cecco, i Social-Sovranisti (acronimo SS) vedono nel nazionalismo, nel protezionismo e nella regolamentazione dei mercati, soprattutto di quelli finanziari, la via maestra per uscire dalla perdurante crisi, le sole reali soluzioni ai drammatici problemi posti da essa: «Averle screditate e messe da parte per più di un cinquantennio come se si trattasse di pulsioni peccaminose e indegne di una nuova e superiore organizzazione internazionale è stato colpevole e persino stupido, perché in forma blanda esse dovevano rimanere in voga, persino il nazionalismo» (M. De Cecco). Qui ogni gesto scaramantico, inteso a esorcizzare la stessa idea di un’infausta precipitazione bellica (si celebra pure il centenario della Grande Guerra!) è più che legittimo, secondo il detto non ci credo ma

Per Sergio Cesaratto, sinistro critico dell’internazionalista Marx e ammiratore del nazionalista Friedrich List, «lo Stato nazionale costituisce il playing field in cui si articola la battaglia per la giustizia ed in questo senso l’autonomia nazionale è un obiettivo per la classe lavoratrice» (Fra Marx e List). È, con rispetto parlando, la stessa escrementizia tesi che sostenne alla fine degli anni Novanta Fausto Bertinotti contro il secessionismo leghista: la Nazione come indispensabile spazio di agibilità politica delle lotte operaie. Difendere l’unità della nazione, sostenne allora il teorico del kashmir in fatto di abbigliamento, significa difendere lo spazio all’interno del quale si dà ogni articolazione democratica della società civile. Con ciò veniva sdoganato persino lo sventolio – “da sinistra”: vedi la coppia Rame-Fo – del tricolore anche al di fuori delle competizioni sportive. Questo solo per dire che dal punto di vista “dottrinario” nulla di nuovo si muove sotto il cielo di questo sinistro Paese.

Secondo Cesaratto «La necessità del consenso della classe lavoratrice alla costruzione dello Stato nazionale ha storicamente portato le borghesie nazionali a prendere l’iniziativa nella creazione delle istituzioni dello stato sociale. Il caso di scuola è quello della Germania di Bismarck». Detto che «il caso di scuola» citato rappresenta un caso di successo per la classe dominante tedesca (e non solo), e non certo per la classe lavoratrice tedesca (e non solo), e che evocare oggi, nell’epoca della sussunzione totalitaria e planetaria degli individui agli interessi del Capitale, la «Germania di Bismarck» è quantomeno anacronistico (notare l’eufemismo), solo degli sprovveduti possono parlare ancora in termini lusinghieri del cosiddetto «stato sociale», la cui crisi non è imputabile alla «controrivoluzione liberista» (Carlo Formenti), bensì ai meccanismi interni che regolano l’accumulazione capitalistica, la creazione e la distribuzione della ricchezza sociale nella sua vigente forma storico-sociale. A proposito: la «controrivoluzione liberista» postula per il passato una «rivoluzione» che mi è passata sotto il naso senza che ne avessi alcuna contezza?  Misteri del sinistrismo, nostalgico del mondo perduto caratterizzato dalla Guerra Fredda e dallo statalismo nelle sue diverse gradazioni e coloriture ideologiche: stalinista, cattocomunista, socialdemocratico, keynesiano.

Scrive Antonio Pagliarone: «L’ideologia keynesiana dominante nel passato aveva generato l’illusione di un capitalismo in crescita permanente all’interno del quale i lavoratori avrebbero beneficiato del sostegno statale in eterno. In realtà i lavoratori lo stato sociale se lo sono pagato, eccome. Anzi attraverso la tassazione dei salari è stato possibile addirittura finanziare le avventure belliche del secondo dopoguerra. Anwar Shaikh arriva alla conclusione per gli Stati Uniti secondo la quale: “Nel complesso è la tassazione sulla popolazione lavorativa che essenzialmente finanzia le spese statali relative alla salute, all’istruzione, alla previdenza, alla disoccupazione, ai sussidi statali, alle abitazioni e a tutta una serie di programmi sociali”» (Introduzione a La crisi. Raccolta di saggi di Anwar Shaikh, Connessioni Ed., 2012).

Ma ritorniamo, per concludere rapidamente, ai militanti della Sinistra Sovranista di MPL, galvanizzati dal successo («oltre le nostre aspettative») di una loro recente iniziativa pubblica, il convegno di Chianciano Oltre l’Euro. La sinistra. La crisi. L’alternativa.

«Alle altre forze che vogliono ripristinare la sovranità popolare rivolgiamo un appello all’unità d’azione. Invitiamo tutte le forze democratiche e costituzionali a mettere da parte le diversità in questo momento di emergenza. Formiamo un Comitato di liberazione nazionale. La Costituzione italiana sia la cornice dell’unità, la sovranità politica e monetaria i suoi obbiettivi». Naturalmente chi scrive non si sente chiamato in causa da questo commovente appello. Di più: non posso che confermare l’abissale distanza che mi separa dalla concezione ideologica e politica che lo informa, essendo io un noto disfattista antinazionale “a 360 gradi” (nel campo degli interessi economici come in quello degli interessi politici del Paese, il quale effettivamente attraversa tempi molto tribolati; ma non abbastanza, par i miei rivoluzionari gusti…), nonché un nemico della democrazia costituzionale, la quale si è rivelata essere il migliore strumento di controllo politico-ideologico dei lavoratori ridotti a massa informe al servizio del Capitale, nazionale e internazionale, pubblico e privato, produttivo e speculativo – distinzioni, queste, che hanno un significato dirimente solo per chi non padroneggia la reale dinamica del processo sociale.

L’auspicato – da MPL, beninteso – Comitato di liberazione nazionale offre l’occasione per un’altra toccatina scaramantica, che in ogni caso male non fa, anzi!

«Una volta riconquistata la leva della sovranità e messo in sicurezza il Paese, il Cln avrà compiuto il suo compito, e quindi i cittadini potranno liberamente scegliere il loro futuro, quale tipo di società essi riterranno più giusta». Siamo ancora allo schema resistenziale: ma questi personaggi ci fanno o ci sono? Che cosa? Fate un po’ voi: usate la definizione che riterrete più giusta. Do il mio piccolo contributo alla causa rimandando il lettore al post della scorsa settimana, che a ben considerare ha molto a che vedere con quanto appena scritto.

86033-rublochavezDefinire il Sovranismo come la malattia senile del Nazionalismo mi sembra ancora troppo poco. Anche perché esso, soprattutto nella sua variante sinistrorsa, ha ancora molto da dare al Dominio sociale, tanto più quando la crisi economica rischia di spingere i dannati della terra (coloro che vivono di salario) oltre i confini dello status quo.