1914-2014

scalariniPagine di storia avverse al Socialnazionalismo di ieri e di oggi. Il socialnazionalista somiglia a quella mosca che stando sul capo del bue che tirava l’aratro esclamava con sussiego: «Noi ariamo!» Noi, cioè il Moloch.

Ecco un classico esempio di mosca cocchiera d’annata:

«In qual campo militeremo noi? Se ci sono in Italia dei giovani pronti al sacrificio per una causa nobilissima; se ve ne sono che intendono salvare e la civiltà e il socialismo dal turbine teutonico e feudale e sono pronti ad impugnare un fucile e a porre a caro prezzo il sacrificio della loro giovinezza piena di sogni lieti e di speranze care, sanno qual è in quest’ora il loro dovere. Se non è giunto ancora il momento di morire con profitto sulle piazze d’Italia per il trionfo del socialismo, c’è da salvare, morendo sui campi di Francia, la Civiltà e la Libertà che precedono e preparano il Socialismo» (L. Caiano, Grido d’allarme, in L’avanguardia, 9 agosto 1914).

 

difesa-lavoratrici«La cosa più penosa nella crisi attuale è la vittoria del nazionalismo borghese, dello sciovinismo sulla maggioranza dei rappresentanti ufficiali del socialismo europeo […] La posizione della borghesia è chiara. Non meno chiaro è che gli opportunisti ripetono ciecamente i suoi argomenti … La questione della patria, risponderemo agli opportunisti, non si può porre ignorando il carattere storico concreto della guerra attuale. È una guerra imperialistica, cioè una guerra dell’epoca del capitalismo sviluppato al massimo grado. La classe operaia deve inizialmente “costituirsi in nazione”, dice il Manifesto comunista, indicando così in quali limiti e a quali condizioni noi riconosciamo la nazionalità e la patria come forme necessarie del regime borghese e, di conseguenza, della patria borghese.

Gli opportunisti travisano questa verità trasferendo ciò che è giusto per l’epoca del capitalismo nascente all’epoca della fine del capitalismo. E a proposito di quest’epoca, dei compiti del proletariato nella lotta per l’abolizione non del feudalesimo, ma del capitalismo, il Manifesto comunista dice con chiarezza e precisione: “Gli operai non hanno patria” … La borghesia inganna le masse mascherando la rapina imperialista con la vecchia ideologia della “guerra nazionale”. Il proletariato smaschera questo inganno proclamando la parola d’ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile […] La Comune è stata la trasformazione di una guerra tra popoli in guerra civile» (Lenin, Situazione e compiti dell’internazionale, 1° novembre 1914, pp. 27-30 Opere, XXI, Editori Riuniti, 1966).

images3C689DZJ«È del tutto naturale che elementi della democrazia moderna – e Marx, come loro rappresentante – ispirandosi al principio incontestabile della borghesia progressiva contro il feudalesimo, dovessero allora risolvere questo problema: “il successo di quale parte”, cioè di quale borghesia è preferibile? Il movimento popolare nei principali paesi coinvolti nella guerra aveva allora un carattere democratico generale, cioè democratico borghese, per il suo contenuto economico e di classe. È del tutto naturale che allora non si potesse neppure un’altra domanda, fuorché questa: il successo di quale borghesia, con la disfatta di quali forze reazionarie (feudali e assolutiste, che frenavano l’ascesa della borghesia) promette più “spazio” alla democrazia moderna? […] Anche nella nostra epoca i conflitti internazionali sono rimasti, per la loro forma, uguali ai conflitti della prima epoca, ma il loro contenuto sociale e di classe è cambiato radicalmente. La situazione storica obiettiva è oggi completamente diversa» (Lenin, Sotto la bandiera altrui, gennaio 1915,  pp130-131).

Gattocomunista!

Gattocomunista!

«La guerra attuale ha un carattere imperialista. Essa è generata dalle condizioni dell’epoca nella quale il capitalismo ha raggiunto la fase suprema del suo sviluppo […]

Le guerre effettivamente nazionali, che si svolsero specialmente tra il 1789 ed il 1871, avevano come base una lunga successione di movimenti nazionali di massa contro l’assolutismo e il feudalesimo, per l’abbattimento del giogo nazionale e la creazione di Stati su base nazionale, i quali erano la premessa dello sviluppo capitalistico.

L’ideologia nazionale, sorta in quel periodo, lasciò tracce profonde nelle masse della piccola borghesia e in una parte del proletariato. Di questo fatto si valgono oggi, in epoca assolutamente diversa, vale a dire nell’epoca dell’imperialismo, i sofisti della borghesia e i traditori del socialismo che si mettono al loro rimorchio per dividere gli operai e distoglierli dai loro obiettivi di classe e della lotta rivoluzionaria contro la borghesia. Le parole del Manifesto comunista: “Gli operai non hanno patria”, sono più vere che mai» (Lenin, Conferenza delle Sezioni estere del POSDR, 19 febbraio 1915, pp.142-143).

LA SIRENA SOCIALNAZIONALISTA

“Socializzo” quanto segue per polemizzare con una posizione politica (non con qualcuno in particolare) che sta prendendo piede in alcuni ambienti del “movimento di opposizione sociale”. Ho infatti idea che tra lo stalinismo old style e il socialnazionalismo, variamente “declinato”, dei nostri giorni non corra affatto un abisso, e che non poche persone abbiano già compiuto il salto dalla padella del primo nella brace del secondo. Per quanto riguarda il termine socialnazionalismo tengo a precisare che con esso non intendo dare corpo a nessuna allusione offensiva; trattasi di una definizione “tecnicamente” ineccepibile: socialismo-nazionale.

«Sta collassando il capitalismo?», si chiede Leonardo Maselli, che così risponde:
«Sento fra di noi opinioni secondo me sbagliate e illusorie sulla attuale crisi economica, generate da una grave mancanza di informazioni sul mondo e in particolare sul mondo non occidentale, come se gli Usa e la Ue fossero il mondo intero e non lo fossero invece i miliardi di persone, che sono la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, che vivono nei tre continenti (Asia, Africa, America Latina) per secoli sottomessi, sfruttati, rapinati, saccheggiati, oppressi dal colonialismo imperialistico occidentale. Questi compagni sostengono erroneamente, vedendo ciò che succede all’economia degli Usa e dei paesi della Ue, che è il capitalismo che sta collassando. Io non credo che sia così. Non credo che il capitalismo stia collassando, anzi dico di fare attenzione alle illusioni.

Ciò che è entrato in crisi e che sta effettivamente collassando è un certo tipo di capitalismo, il capitalismo liberista senza limiti, controlli e direzione pubblica, il capitalismo finanziario non produttivo, il capitalismo imperialistico fondato sulla rapina di altri popoli e paesi. I paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) non sono niente affatto in crisi, anzi sono in crescita vertiginosa, eppure sono paesi non certo ad economia socialista ma ad economia capitalistica, ma molto diversa da quella Usa e Ue: una economia non liberista ma a forte controllo, direzione e presenza pubblica nei settori strategici; non finanziaria ma fortemente produttiva; non imperialista ma cooperante. La stessa Turchia, per fare un altro esempio, è un paese capitalistico eppure non è affatto in crisi. Come mai ? Perché non riflettiamo seriamente da questa crisi su cos’è il mondo reale (non quello raccontato in tv), su cos’è il capitalismo, su cos’è il socialismo, senza schemi e preconcetti ? Perché, di fronte a questa crisi così catastrofica, non si prende neanche in considerazione la possibilità di sganciarsi dal carro fallimentare della Ue e di rafforzare le nostre relazioni economiche coi paesi del BRICS ed con altri in fortissima ascesa?

Non sarebbe certo il socialismo ma ci farebbe uscire dalla crisi e contribuirebbe a mettere fine al secolo del dominio americano e alla guerra permanente e a costruire un mondo nuovo fondato sul multipolarismo cooperante e non belligerante, sul governo pubblico mondiale, lungimirante, dei problemi del pianeta e dell’umanità e non sul miope interesse privato».

Fin qui il post di Maselli, che ho pubblicato per intero. Adesso il mio commento, che ho postato su FB. Ho fatto un semplice copia-incolla e quindi mi scuso per i possibili “refusi”.

Ho letto il tuo post, caro Leonardo, e mi permetto di commentare, assai brevemente, come segue. Condivido assolutamente la tua messa in guardia da ogni illusione crollista, anche perché la fine del Capitalismo presuppone non solo una crisi economico-sociale devastante, ma la trasformazione delle attuali masse dominate in classe sociale autonoma (sul piano politico e ideologico) e cosciente. Per dirla col forte bevitore di Treviri, la classe deve farsi Soggetto Rivoluzionario. Oggi siamo abissalmente lontani da questa possibilità. Abissalmente.

Sbagli, a mio avviso, a contrapporre il «modello occidentale» di Capitalismo a quello orientale, o latinoamericano, solo perché quel Capitalismo non è – ancora – in crisi. Tieni presente che l’accumulazione capitalistica nei paesi “ritardatari” necessariamente deve essere diversa (forte presenza dello Stato) e assai più sostenuta rispetto a quella che si dà nei paesi capitalisticamente assai più “maturi”. Non a caso solo dopo il secondo macello mondiale l’Occidente (e il Giappone) conobbe ritmi di accumulazione assai sostenuti. Ma ciò che più mi inquieta, per così dire, è la speranza che riponi su paesi ultrareazionari al pari di quelli occidentali. Non comprendo perché la Cina, o il Brasile, o altri paesi del cosiddetto BRICS dovrebbero rappresentare un’allettante alternativa per le classi subalterne del pianeta. Perché lì il Capitalismo di Stato (altro che “socialismo di mercato”, nel caso della Cina) è più forte?

Personalmente non condivido tutta questa simpatia “antiliberista”, anche perché si fonda su una contrapposizione ideologica – non dialettica, si sarebbe detto una volta – tra “pubblico” e “privato”. E poi lasciami esprimere una grande perplessità (sono ironico, lo ammetto) sulla tua illusione circa «un mondo nuovo fondato sul multipolarismo cooperante e non belligerante, sul governo pubblico mondiale, lungimirante, dei problemi del pianeta e dell’umanità e non sul miope interesse privato». La Cina, la Russia, la Turchia e così via sarebbero alla testa di questo eccezionale processo sociale mondiale “rivoluzionario”? Perché in Occidente insiste la coazione a ripetere nel riporre la propria fiducia nell’esperienza più sbagliata (dal punto di vista dell’emancipazione umana) in circolazione?