Su Limes (17 novembre) Enrico Beltramini fa un’analisi delle cause che hanno prodotto la secca sconfitta politica di Barack Obama, resa evidente dall’ultima tornata elettorale di midterm, e cerca di individuare il tema forte che potrebbe rilanciare nel prossimo futuro l’America del Nord come potenza globale in grado di vincere le sfide del XXI secolo – il riferimento al Celeste Imperialismo cinese è, come si dice, nelle cose. Beltramini disegna un quadro della società americana a tinte fosche*, comunque tale da evocare senz’altro il concetto di crisi di identità, di una crisi esistenziale di ampio respiro e a largo spettro: «Frustrati da un’economia che manda segnali ambigui, preoccupati per la possibilità che l’annunciata ripresa sia poco più che una chimera, in preda a una profonda ansia, gli americani si chiedono da dove proverrà il senso ultimo delle cose».
Da quale sfera della prassi sociale arriverà dunque questo «senso ultimo»? Cosa sarà in grado di ripristinare il tradizionale ottimismo degli americani? L’economia? la politica? la difesa (intesa come «sistema industriale-militare»)? la religione, oppure, dulcis in fundo, la tecnologia? In effetti, secondo Beltramini è proprio dalla tecnologia che può arrivare quella scossa strutturale capace di rispondere adeguatamente alla ricerca di senso degli americani e al bisogno di riaffermare la leadership sistemica mondiale statunitense, «così urgentemente richiesta dal paese».
Ed eccoci finalmente arrivati al saggio di vero e proprio feticismo tecnologico che intendo condividere con il lettore: «Se nei prossimi vent’anni si rendesse autonoma dalla Difesa e arrivasse a dominare il capitalismo, la tecnologia può diventare – nel vuoto creato dalla crisi di politica e religione – la forza egemone, o quantomeno la fonte di leadership degli Stati Uniti. Perché questo avvenga occorre un ulteriore elemento: che la tecnologia si doti di un’autocoscienza (come si sarebbe detto nell’Ottocento). La tecnologia deve produrre una nuova Weltanschauung». Qui siamo già oltre, ben oltre, il concetto di tecnologia intelligente. Qui davvero ha senso parlare del Capitale come spirito del mondo. Perché la tecnologia e la scienza che la presuppone in modo sempre più stringente sono in realtà la quintessenza del capitalismo. Il solo immaginare una Weltanschauung della tecno-scienza come cosa diversa dalla Weltanschauung del Capitale la dice lunga sulla scienza sociale borghese, sempre più impigliata in quel velo tecnologico che non le consente di cogliere il rapporto sociale di dominio e di sfruttamento che si cela dietro la compatta materialità delle cose.
«Se la tecnologia arrivasse a dominare il capitalismo»: come se essa fosse cosa diversa dal capitalismo! Com’è noto, per Marx si può parlare propriamente, in senso stretto, di moderno capitalismo solo con l’introduzione nel processo di produzione della tecno-scienza, la quale provocò il passaggio dalla «sussunzione formale del lavoro al capitale» a quella «reale», realizzando in tal modo il rapporto sociale veramente peculiare della nostra epoca storica. Come la scienza è l’intelligenza del Capitale concepito in quanto potenza sociale, così la tecnologia è il suo più potente mezzo teso a incrementare incessantemente la produttività del lavoro, ossia lo sfruttamento del «capitale umano» e il saccheggio della natura. «Nella macchina la scienza realizzata appare di fronte agli operai come capitale. […] La scienza, come prodotto intellettuale generale dello sviluppo sociale, agisce come forza produttiva del capitale di contro al lavoro, appare come sviluppo del capitale» (Marx, Il Capitale, capitolo sesto inedito). Ma di certo non proverò nemmeno a convincere della bontà di queste astruserie dottrinarie chi concepisce lo stesso Capitale, non come potenza sociale e come rapporto sociale, bensì alla stregua di una mera tecnologia economica al servizio degli individui, ai quali spetterebbe la responsabilità del suo buono o cattivo uso: «il coltello, ad esempio, può fare del bene ma può anche fare del male». Insomma, anche il Capitale sarebbe una questione di libero arbitrio.
È appena il caso di ricordare al lettore di questo blog che per il sottoscritto la Weltanschauung del Capitale si compendia nella ricerca del massimo profitto, con tutto quello che ne segue necessariamente in ogni aspetto della nostra esistenza, ridotta a riserva di caccia messa a disposizione di una bestia sempre più famelica e aggressiva. «Oggi la tecnologia si propone già in una versione ludica – tecnologie per il buon vivere – e salvifica – per sconfiggere la morte e il dolore. Si è dunque proposta di ridisegnare non soltanto l’umano ma anche il cosmologico. È proprio grazie a questa crescente autodefinizione intellettuale che essa potrebbe avere la possibilità di guidare l’America nei prossimi decenni». Nei passi appena citati insiste, ovviamente all’insaputa dell’autore e al di là del riferimento specifico (gli Stati Uniti), il concetto di totalitarismo sociale del Capitale che cerco di sviluppare con maniacale insistenza.
NON È UN MONDO PER BAMBINI. SOPRATTUTTO SE SONO POVERI…
Scrive Alessandro Mauceri su Notizie Geopolitiche (18 novembre): «Il problema dei bambini poveri costretti a vivere per strada non è nuovo. Il fatto è che il problema persiste e, anzi, pare che la situazione stia peggiorando. Il National Center on Family Homelessness ha lanciato l’allarme: un bambino su trenta è senzatetto. E questo non in qualche sperduto paese africano, ma nei civilissimi Stati Uniti d’America. Secondo i risultati dello studio dal titolo “America’s Youngest Outcasts”, nel 2013, due milioni e mezzo di bambini americani non ha una casa. Solo nell’ultimo anno la povertà infantile è cresciuta dell’8%. E la situazione non è migliore in altri Paesi “civili” del mondo. La verità, però, è che i senzatetto sono la prova tangibile e viva del fallimento di un certo sistema di gestire la società, un sistema basato solo sul denaro e sui beni di consumo. Un sistema che non ha in nessuna considerazione i diritti umani, neanche quando sono quelli di un bambino. Anzi, di milioni di bambini». Si chiama sistema capitalistico, caro Mauceri. Scriveva infatti nel 2011, sempre su Notizie Geopolitiche, Enrico Oliari commentando il rapporto del Centro nazionale per le famiglie senzatetto diffuso negli Stati Uniti nel dicembre di quell’anno:
«A riportare i dati sono, ovviamente, fonti estere, poiché sia la stampa statunitense che i politici a stelle e strisce stragi urano che le cose nel Paese dello zio Sam continuano ad essere perfette. È un po’ come vedere i telefilm americani alla tv, dove tutti sono snelli ed agili, ma poi, scendendo dalla scaletta dell’aereo a New York piuttosto che a San Francisco, ci si rende conto di rotondità evidenti e piuttosto ingombranti. D’altro canto la bugia del “Paese delle libertà” si è improvvisamente eclissata nel momento in cui centinaia di newyorkesi, impegnati nelle pacifiche manifestazioni dell’Occupied Wall Street, sono state arrestate e malmenate dalla polizia: se non vi fossero stati i grattacieli ed il marcato accento slang, si sarebbe pensato alle scene di un film di repertorio di un paese del blocco sovietico. D’altronde è essenziale per gli Usa e per la politica estera tenere alta la linea e mostrare urbi et orbi che là, nella terra del capitalismo, le cose vanno sempre bene. Madama la marchesa».
Come si dice, tutto il mondo è Paese, anzi: Capitalismo. Capitalismo con caratteristiche americane, capitalismo con caratteristiche cinesi, capitalismo con caratteristiche europee, e così via: ce n’è per tutti i gusti. Quanto ai cosiddetti «diritti umani» lamentati da Mauceri, è meglio stendere un velo pietosissimo.