L’IRREALTÀ DEL PACIFISMO IDEOLOGICO

Ernesto Galli Della Loggia torna oggi a praticare il suo sport preferito: prendere a sberle il pensiero “pacifista” da sempre (dal PCI di Togliatti in poi) coltivato dalla “sinistra” del nostro Paese. La pratica sportiva gli riesce molto bene; Ernesto vince sempre e vince facile, e questo per un semplice motivo: egli si muove sullo stesso terreno dei suoi avversari ma con maggiore perizia storica e politica, e con maggiore coerenza di questi ultimi, i quali amano sguazzare nel pantano dell’ideologia progressista – salvo poi assumere una postura politica più “realistica” una volta arrivati al governo. Il terreno di cui parlo è naturalmente quello borghese, capitalistico; è il terreno della “Costituzione più bella del mondo”, di chi difende, da “destra” o da “sinistra” non ha alcuna importanza, gli interessi del Paese (cioè delle classi dominanti e dello Stato capitalistico), facendo a gare a chi la sa più lunga in termini di patriottismo (eventualmente includendo quello di marca europeista) e di interessi nazionali da difendere – come osserviamo a proposito della farsa parlamentare sull’autonomia ragionale e sul premierato.   

Per l’ennesima volta Della Loggia ricorda ai “pacifisti” che non ha alcun senso chiamare in causa il mitico articolo 11 della nostra Costituzione per fondare una posizione radicalmente ostile a ogni genere di impegno militare dell’Italia, considerato che proprio quell’articolo stabilisce la natura e i limiti di quell’impegno. Natura e limiti, è sempre bene ricordarlo, che originano da un fatto storico macroscopico che però i “pacifisti” non sembrano evidentemente capire nel suo vero significato: l’Italia esce dal Secondo conflitto imperialistico mondiale come un Paese sconfitto, insieme alla Germania e al Giappone (ma anche la Francia non ne è uscita benissimo, diciamo), le cui Costituzioni non a caso prevedono articoli “pacifisti” del tipo dell’articolo 11. Il mito della Resistenza, che è servito alla classe dirigente di questo Paese per mitigare/mascherare la sconfitta e per creare una “narrazione” da vendere all’opinione pubblica, non poteva ovviamente cancellare la realtà.   

Scrive Maurizio Caprara sempre sul Corriere della Sera: «Esiste un grave distacco tra il dibattito politico italiano e la realtà del mondo, grave fino al punto di indurre talvolta il primo a negare evidenze. Benché non sia atto di guerra e lo sia di sostegno indiretto a un Paese amico, l’autorizzazione dell’uso delle armi verso la Russia richiesta dall’Ucraina viene respinta da alcuni obiettando che secondo l’articolo 11 della Costituzione “l’Italia ripudia la guerra”. Questo non è vero, malgrado giustamente oggi il nostro Paese non abbia propensione a entrare in guerra. L’articolo va letto nella sua interezza: quello che ripudia è “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Se fosse stato diversamente, dopo la parola “guerra” i costituenti avrebbero messo un punto che non c’è. Qualora fossimo attaccati o lo fossero nostri alleati o Paesi amici, la Costituzione non impone per niente di bendarci gli occhi e legarci le mani». La Costituzione «ripudia» dunque la “guerra ingiusta” e prevede e autorizza la “guerra giusta”: si tratta di vedere chi giudica, e con quali criteri, il carattere (“ingiusto” o “giusto”) di una guerra. E qui non ci si può sbagliare, se ci si muove sul solido terreno dei fatti, se non si ragiona a testa in giù (cioè ideologicamente): tutti i Paesi del mondo giudicano ingiusta la guerra che fanno i loro nemici, soprattutto se li vede coinvolti in qualche modo, e giusta la guerra che fanno i loro amici, soprattutto se sono in qualche modo coinvolti nell’avventura bellica. Il criterio è altrettanto semplice e implacabile: esso punta dritto al cuore degli interessi, immediati e strategici, delle classi dominanti e degli Stati.  

L’esito della Seconda guerra mondiale ha stabilito il “campo di amicizie” dentro il quale l’Italia, in quanto Paese sconfitto, ha l’obbligo di muoversi, con un’autonomia politica che non può mai, salvo mutamenti di alleanze, varcare i confini di quel campo tracciati prima con bombardamenti aerei e navali, e poi con prestiti a fondo perduto e creazioni di basi militari americane e Nato in tutta la Penisola. La nascita dell’Unione Europea va inquadrata in questo processo sommariamente richiamato, sebbene il suo sviluppo sia anche il risultato di contraddizioni interne al campo di alleanze centrate sull’imperialismo statunitense.   

L’appartenenza dell’Italia alla Nato e l’articolo 11 della Costituzione si corrispondono perfettamente, sono due facce della stessa medaglia, e per questo Caprara può scrivere giustamente (al netto dei soliti stucchevoli richiami alla “pace” e alla “giustizia”) quanto segue: «Nell’articolo 11 non esiste il punto neppure dopo “controversie internazionali”. Ci sono un punto e virgola e ancora, sull’Italia, le seguenti parole: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Dunque il nostro Paese deve tener conto anche della “giustizia”, dei mandati che possono essere dati dalle Nazioni Unite (i quali possono consistere in uso della forza militare) e delle sue alleanze volte a garantire pace e giustizia». Caprara ricorda, a chi lo avesse dimenticato o a chi non avesse mai letto la Costituzione (borghese) di questo paese, pur ritenendola «la più bella del mondo» [sic!], che «Nella versione vigente della carta fondamentale dello Stato la parola “guerra” è citata sei volte. Oltre che nell’articolo 11, lo è nel 60 che prevede possibilità di proroga di ciascuna Camera “soltanto in caso di guerra”, nel 78 secondo cui “le Camere deliberano lo stato di guerra”, nell’87 in base al quale spetta al presidente della Repubblica dichiarare “lo stato di guerra deliberato dalle Camere”, nel 103 e nel 111 riguardo ai tribunali militari “in tempo di guerra”». Diciamo pure che definire “pacifista” la Costituzione italiana non è del tutto esatto. Faccio della facile ironia, signori “pacifisti”.

Caprara pensa che fornire armi all’Ucraina «non significa un nostro ingresso in guerra»: qui egli ha torto marcio, e non fa che ripetere la propaganda governativa sul significato del sostegno (militare, economico e politico) italiano all’Ucraina. «È stata Mosca a invadere uno Stato sovrano, ed è legittimo che esso si difenda con risposte armate contro i luoghi dai quali sono resi possibili gli attacchi. Negare l’autorizzazione a farlo con mezzi occidentali ha il sicuro effetto di avvantaggiare l’aggressione russa su un popolo e su un assetto geopolitico aggrediti. Inoltre, può ridurre la capacità di deterrenza della Nato e il credito dell’Italia al suo interno». Qui il Nostro mette in luce, ovviamente senza volerlo, la natura imperialista del conflitto russo-ucraino anche se considerato dal punto di vista dell’Ucraina: la Russia ha aggredito non solo quel Paese, ma anche «un assetto geopolitico» che tendeva a integrare Kiev al suo interno. Si scontrano (e non da oggi) due interessi, entrambi legittimi dal punto di vista imperialista (che è il punto di vista dell’articolo 11): quello della Russia, che non vuole perdere definitivamente la sua presa sulla preziosa Ucraina, e quello del cosiddetto Occidente collettivo, che ha attratto nella sua orbita quel Paese soprattutto con la sua “forza gravitazionale” economica. Una vittoria della Russia  «può inoltre ridurre la capacità di deterrenza della Nato e il credito dell’Italia al suo interno»: ancora una volta emerge chiaramente il momento egemone che caratterizza il conflitto russo-ucraino come conflitto imperialista da entrambi i fronti.  Essendo un sostenitore dell’”Occidente collettivo”, Caprara stigmatizza la «corrosione dell’influenza degli Stati Uniti e dell’Occidente» sul mondo, cosa che avvantaggia l’”asse del male” capeggiato dalla Russia e dalla Cina.

Concludo ritornando da Ernesto Galli Della Loggia. «Il modello classico di questo pacifismo sono i “partigiani della pace” di antica memoria, l’organizzazione dei Partiti comunisti, quindi anche di quello italiano, che negli anni della guerra fredda in obbedienza agli ordini di Mosca “difendeva la pace” dipingendo gli Stati Uniti come una sorta di aggressore in servizio permanente: militarista, imperialista, desideroso solo di scatenare alla prima occasione una guerra atomica contro l’Unione Sovietica. La quale dal canto suo veniva invece dipinta come un Paese per definizione “amante della pace”, tutto sani principi e opere di bene». I Partiti stalinisti degli anni Cinquanta (che con il comunismo nulla a che fare avevano, se non l’immeritato nome) avevano ragione sugli Stati Uniti, mentre mentivano spudoratamente sull’Unione Sovietica, Paese capitalista/imperialista esattamente come i suoi concorrenti occidentali – i quali comunque alla fine si dimostreranno più forti, in primo luogo sul terreno della competizione economica, che è poi il terreno sul quale si vincono e si perdono le guerre, come sapevano benissimo quei pochi dirigenti tedeschi e giapponesi che supplicarono Hitler e l’Imperatore di non mettersi contro gli Stati Uniti d’America, la cui potenza industriale alla fine avrebbe fatto la differenza. Oggi sono soprattutto gli italici sostenitori del campo imperialista centrato sulla Cina e sulla Russia i più vicini, sul piano ideologico, ai famigerati “partigiani della pace”.

Ma più che con gli eredi dei “partigiani della pace”, Della Loggia polemizza con il «pacifismo dell’irrealtà», il quale nega la realtà della guerra come fenomeno sociale che la società umana non è ancora riuscita a superare e che forse non potrà mai farlo, magari a ragione di una magagna antropologica iscritta nella “natura umana”.  Nonostante «millenni di storia umana, i suoi adepti sono convinti che la guerra non sia, ahimè, una tragica regola di quella storia, il modo da sempre adoperato dalle più diverse collettività umane e dagli Stati per regolare i propri contrasti quando pensano non solo che tutti gli altri modi per farlo siano inutili ma altresì, com’è ovvio, di poter avere la meglio». Su un punto fondamentale il prestigioso intellettuale ha ragione da vendere: posta la società divisa in classi sociali, che ha nell’antagonismo sociale,  nella politica e nello Stato la sua espressine più vera e puntuale; posta la competizione interimperialistica totale (economica, scientifica, tecnologica, geopolitica, ideologica) del XXI secolo, parlare di “pace” e di superamento della guerra (la quale è la continuazione di quella “pacifica” competizione con altri mezzi), non è semplicemente irreale, è soprattutto menzognero.

PACE IMPERIALE O PACE IMPERIALISTA? GRAN BELLA SCELTA!

CAMPISMO E IMPERIALISMO UNITARIO

SULLA PAROLA D’ORDINE DEGLI STATI UNITI D’EUROPA

ESCALATION!

LA DIMENSIONE MONDIALE DEL CONFLITTO RUSSO-UCRAINO

RIDIAMO E SCHERZIAMO, SPERANDO CHE LA GUERRA NON CI PRECIPITI ADDOSSO  

LA SCONFITTA DEL PROPRIO PAESE NELLA GUERRA IMPERIALISTICA

CANNONI CONTRO BURRO. A DUE ANNI DALL’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA

DALLA “NEUTRALITÀ BENEVOLA” ALLO “STATO DI BELLIGERANZA”. OVVIAMENTE CON LA COPERTURA DELL’ART. 11 DELLA COSTITUZIONE

MITOLOGIA E REALTÀ DELL’ARTICOLO 11

Un pensiero su “L’IRREALTÀ DEL PACIFISMO IDEOLOGICO

  1. ANDATE VOI AL FRONTE!

    Scrive Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera di oggi: «I tre poliziotti cercano di fermare il giovane uomo che non intende mostrare i documenti. Lui si divincola, scappa, loro lo inseguono, gli strappano la maglia con violenza, lo gettano a terra. Intervengono alcune donne, una pare sia la moglie. “Polizia ladra, criminali, andate voi al fronte!”, urlano spintonando gli agenti. Accadeva tre settimane fa nel centro di Dnipro. Il tema è bollente: trattarlo significa andare diritti al cuore delle tensioni sociali e politiche che lacerano l’Ucraina 29 mesi dopo l’inizio della guerra imposta da Vladimir Putin. Lo riassumeva bene ieri Deniza Gezina, studentessa 23enne animatrice del “Mare di Kharkiv”, festival giovanile mirato a dare coraggio alla città bombardata, dove però gli uomini in età di leva quasi non si fanno vedere nel timore di retate. “Il nostro Paese ha bisogno di soldati: se non vanno al fronte, i russi vincono. Sappiamo bene che possono morire o restare feriti orribilmente. Tanti hanno paura, non se la sentono di finire nel tritacarne delle trincee. Ciò non significa affatto che siano filorussi. Tutt’altro! Ecco perché è necessaria la legge sulla leva, non abbiamo alternative. Lo dico sempre al mio fidanzato, Vlad, che ha 27 anni e purtroppo fa l’imboscato a casa da amici: se non ci difendiamo a nostro rischio, perché altri dovrebbero farlo per noi?” Terminato il periodo quasi magico delle folle di volontari di ogni età, che sin dalle primissime ore dell’invasione si sono offerti con slancio generoso di andare a combattere, l’Ucraina adesso ha bisogno urgente di soldati. Conseguenza: dal 18 maggio al 17 luglio tutti i maschi di età compresa tra i 18 e 60 anni hanno il dovere di presentarsi ai 27 centri di reclutamento sparsi nel Paese. Ad oggi si sono registrati un milione e 600mila. Tra loro, chi ha più di 25 anni può venire reclutato immediatamente. Ma tanti mancano all’appello, compresi i circa 600 mila fuggiti all’estero».

    Solidarietà ai disertori e ai renitenti alla leva militare ucraini e russi. Contro la reazionaria e mortale logica della difesa della patria, che è la galera delle classi subalterne.

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