CHI CONTROLLA IN SALA COMANDO?

Scrive Carlo Lottieri: «Se Carl Schmitt ha richiamato l’attenzione sul rapporto tra sovranità e “stato di eccezione”, Michel Foucault ha evidenziato la centralità della “biopolitica”, ossia di quel dominio che il potere esercita sui corpi umani in nome della lotta alla follia, alla malattia, alla criminalità e alle devianze sessuali. Oggi comprendiamo meglio come lo studioso francese avesse visto bene quando aveva richiamato l’attenzione sul Panopticon di Jeremy Bentham: in effetti, il carcere progettato nel 1791 dal filosofo inglese con lo scopo di permettere a un solo sorvegliante di vedere tutti i prigionieri, senza che loro si rendano conto di quando sono controllati rappresenta una formidabile metafora di quanto sta avvenendo o potrebbe avvenire. È un’immagine cruciale per cogliere questi nostri tempi sempre minacciati da logiche totalitarie. Ai nostri giorni non è la paura di invasioni, guerre intestine o conflitti civili che offre alla classe politica una legittimazione del suo potere e le permette di estenderne il raggio d’azione. È invece il nostro timore di essere colpiti da un virus a rafforzare la posizione di quanti controllano la sala di comando. C’è però da domandarsi, oggi come quattro o cinque secoli fa, se sia giusto sacrificare la libertà in nome della sicurezza, o se non avesse invece ragione Benjamin Franklin quando disse che “quanti abbandonerebbero la loro libertà per ottenere una temporanea sicurezza non meritano né l’una né l’altra”» (Istituto Bruno Leoni).

Da buon liberale/liberista Lottieri non può coglie un aspetto cruciale, dirimente della questione: questa società impedisce in radice l’estrinsecazione di rapporti umani autenticamente liberi, e questo semplicemente perché gli individui di questa epoca storica (capitalistica, sul piano mondiale) non padroneggiano le attività che rendono possibile la loro vita, ma ne sono piuttosto asserviti. Anche «quanti controllano la sala di comando» sono assai meno liberi di agire di quanto il liberale non sia disposto a credere. E poi, esiste davvero una «sala di comando»? Personalmente ne dubito.

Le «logiche totalitarie» di cui parla Lottieri vanno a mio avviso declinate in termini profondamente sociali, così da cogliere criticamente il processo sociale nella sua compatta (ma estremamente contraddittoria e conflittuale) totalità. Viceversa, si commette l’esiziale errore di attribuire la progressiva riduzione degli spazi di autentica libertà e di vera umanità all’arbitrio di una volontà (qualunque essa sia: ognuno può scegliere quella più affine al proprio modo di pensare) che agirebbe in piena autonomia rispetto alla totalità sociale cui accennavo prima.

Lo Stato moderno (borghese) non nasce affatto come «proposta di una serie di misure per combattere la paura accrescendo la sicurezza», secondo il noto mito hobbesiano su cui si fonda l’ideologia borghese del contratto sociale, e che per il nostro liberale/liberista costituisce un po’ il vizio d’origine della statualità nell’Europa continentale; questo Stato nasce piuttosto per assicurare la difesa, la continuità, il rafforzamento e l’espansione del «diritto che corrisponde a questo modo di produzione» (K. Marx). Soprattutto nella società capitalistica del XXI secolo il dominio esercitato sui corpi umani ha una natura essenzialmente economico-sociale, perché la nostra intera esistenza è plasmata da esigenze in qualche modo riconducibili alla sfera economica, da bisogni che devono necessariamente fare i conti con il lavoro salariato (venduto da qualcuno e acquistato da qualcun altro in cambio di denaro) e con la forma-merce, la quale presuppone un intero mondo (individui compresi!) fatto a sua immagine e somiglianza.

È su questo terreno mercificato/reificato/alienato, e quindi necessariamente e radicalmente disumano, che attecchiscono e fioriscono le nostre mille paure e fragilità, le nostre insicurezze e debolezze. Non è dunque lo Stato «la fonte primaria delle nostre insicurezze», come crede Lottieri, sostenitore dello Stato “minimo-liberale” e al quale ovviamente ripugna la tesi dello Stato come cane da guardia posto a difesa dello status quo sociale. Posto da chi? Dalle classi dominanti e dal reale (oggettivo) processo sociale capitalistico. Oggi come e più di ieri, centrale nella comprensione del mondo non è il concetto, pure assai importante, di “biopolitica”, ma quello di rapporto sociale dominante – su scala planetaria.

È sufficiente analizzare criticamente il dibattito mainstream sulla cosiddetta Intelligenza Artificiale, dominato da una concezione feticistica della tecno-scienza, per capire quanto poco il pensiero comune (compreso quello scientifico) riesca a cogliere l’essenza della nostra società. Addirittura l’algoritmo che “anima” le macchine self-learning ultimamente è stato accusato dai soliti “esperti” di coltivare e diffondere pregiudizi sessisti e razzisti!

 

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2 pensieri su “CHI CONTROLLA IN SALA COMANDO?

  1. CENTRO E PERIFERIA

    Paolo Di Paolo, autore di Svegliarsi negli anni Venti (Mondadori, 2020), intervistato da Radio Radicale (13 Aprile 2021): «Veniamo al discorso su centro e periferia. È l’illusione di essere al centro di qualcosa che questo nuovo secolo, se non addirittura quest’ultimo decennio, ha scardinato. Non siamo più al centro di niente, e probabilmente nessuno è al centro di niente. […] Non ha senso affermare che l’America è al centro del mondo, come non lo è l’asse India-Cina, o l’Africa che cambierà molto nel corso dei prossimi decenni. E questo appunto perché non esiste più centralità, perché non ha più senso il concetto stesso di una stabile centralità. La crisi pandemica, che rappresenta un cambiamento epocale e sotterraneo allo stesso tempo, un cambiamento che non appare ma che lavora in profondità, dimostra che non c’è più centro semplicemente perché non c’è che periferia. Siamo tutti alla periferia di qualcosa».

    E se fosse il rapporto sociale capitalistico di produzione, con tutto quello che un simile rapporto presuppone e pone sempre di nuovo in ogni ambito della sfera sociale, il vero centro gravitazionale che fa di ogni esistenza e di ogni attività una semplice periferia? E se fossimo tutti periferia del Capitale?

  2. Pingback: DUE PAROLE SULLA P2 | Sebastiano Isaia

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