ASPETTANDO IL 25 APRILE

Le polemiche sullo slogan scelto per caratterizzare sul piano politico la manifestazione di regime del 25 aprile (Cessate il fuoco ovunque) gettano un po’ di luce anche sulla natura della cosiddetta Resistenza antifascista che prese corpo in Italia dopo la caduta del regime fascista (25 luglio 1943) causata dall’irresistibile iniziativa bellica dell’imperialismo angloamericano dentro i confini della nazione italiana.

La comunità ucraina ha ragione da vendere, a mio avviso, quando rimprovera agli organizzatori della manifestazione nazionale che si terrà come sempre a Milano che lo slogan da loro scelto tradisce il vero spirito della Resistenza: «Se avessimo chiesto ai partigiani o agli alleati il cessate il fuoco durante la Seconda guerra mondiale, oggi avremmo un’Italia diversa». Ora come allora: Resistenza! In effetti, la Resistenza ucraina contro gli invasori russi si inquadra perfettamente, mutatis mutandis, nella logica e nella prassi della Resistenza antifascista, la quale fu, sempre all’avviso di chi scrive, la continuazione della guerra imperialista (deflagrata com’è noto nel 1939) nella nuova situazione militare e politica determinata dai successi degli Alleati, i quali causarono quel “rocambolesco” cambio di alleanze dell’Italia a tutti noto – e che si è prestato benissimo come trama anche in molti film comici.

Anche la guerra di resistenza ucraina ha una natura imperialista, oltre che nazionale, soprattutto per due motivi: 1. le sue cause di fondo vanno ricercate nella contesa interimperialistica totale (o sistemica: economica, tecnologica, scientifica, geopolitica, militare, ideologica) tra le grandi potenze; 2. senza il sostegno politico, militare ed economico dell’imperialismo occidentale (americano ed europeo) l’Ucraina non avrebbe potuto opporre alla Russia una così lunga guerra di resistenza. «”Cessate il fuoco ovunque“ è uno slogan che non condividiamo assolutamente. È uno slogan che mette sullo stesso piano aggrediti e aggressori. Nel caso dell’Ucraina, si tratta di un’invasione da parte della Russia». Così ha dichiarato alla stampa Kateryna Sadilova, una rappresentante della comunità ucraina in Italia. Non c’è dubbio: la Russia ha invaso l’Ucraina (continuando l’impresa iniziata nel 2014); ma l’esistenza dell’Imperialismo Unitario, che fa delle nazioni (grandi, medie o piccole che siano) i nodi di una sola gigantesca rete di interessi, fa letteralmente impallidire la distinzione fra aggrediti e aggressori, distinzione che peraltro trovò una critica radicale da parte di Lenin e di tutti gli anticapitalisti europei già nel 1914. Figuriamoci se questa distinzione possa trovare un qualche appiglio nella coscienza degli anticapitalisti che si confrontano con la società capitalistica del XXI secolo! Analogo discorso vale per la cosiddetta autodecisione dei popoli e delle nazioni, un’autentica menzogna alla luce dell’odierna Società-Mondo – la stessa Russia rischia di venire inglobata nello spazio vitale del Celeste Imperialismo.

Il fatto che la comunità ucraina e quella parte della comunità ebraica italiana che critica lo slogan sul cessate il fuoco (ritenendo evidentemente in qualche modo giustificato il massacro dei civili palestinesi a Gaza per mano israeliana), abbiano deciso di festeggiare insieme il 25 Aprile, questo fatto la dice lunga  sulla natura dei conflitti in corso in Ucraina e a Gaza. Questo senza nulla togliere al fatto che, come ho scritto molto prima del famigerato 7 ottobre, Hamas rappresenta per i palestinesi parte del loro annoso problema, non certo della sua soluzione. L’appoggio indiscriminato, acritico, subalterno, “senza se e senza ma” al nazionalismo palestinese non può certo far parte del baglio politico dell’anticapitalista, il quale mette avanti in primo luogo l’autonomia politica del proletariato e la solidarietà tra i subalterni di tutto il mondo – classismo contro nazionalismo.

Per ciò che concerne la guerra russo-ucraina, possiamo dire che dal punto di vista dell’imperialismo russo si tratta dell’estremo tentativo di non perdere definitivamente l’influenza sull’Ucraina, forse il pezzo più pregiato dello spazio imperiale russo dai tempi degli zar, a favore della concorrenza occidentale. Intendo dire che se ragioniamo sul terreno degli interessi nazionali, troviamo “ragioni” e “torti” sia fra gli aggrediti sia fra gli aggressori, ragioni che l’anticapitalista respinge in blocco in quanto applica alla contesa fra le nazioni una logica radicalmente diversa da quella plasmata, appunto, da quegli interessi, che sono poi gli interessi che fanno capo alle classi dominanti, le quali hanno nello Stato (qualsiasi sia la sua forma politico-istituzionale: democratica, autocratica, totalitaria) il loro supremo cane da guardia.

Sul merito della parola d’ordine Cessate il fuoco ovunque, occorre dire che il suo contenuto politico-ideologico oggi è tale «da seminare soltanto illusioni e fare del proletariato un trastullo nelle mani della diplomazia segreta dei paesi belligeranti. È questo il destino della propaganda non accompagnata da un appello all’azione rivoluzionaria delle masse» (*). È vero che oggi non esistono le condizioni perché quel tipo di appello possa avere un minimo di seguito fra le masse; ma tali condizioni non maturano spontaneamente, o per il semplice aggravamento della crisi internazionale: per mettere radici esse hanno anche bisogno del lavoro politico della soggettività rivoluzionaria. Alla nascita di questa soggettività chi scrive si sforma di dare il suo modestissimo contributo. Il pacifismo borghese va combattuto sul piano squisitamente politico, non su quello meramente ideologico, semplicemente perché per un verso esso non è in grado di evitare le guerre, né di “umanizzarle”, e per altro verso ostacola l’iniziativa autonoma delle classi subalterne, la sola iniziativa che può creare un serio problema al militarismo e al bellicismo radicati in profondità nei rapporti sociali capitalistici oggi dominanti su scala planetaria

«Il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così». E chi se ne importa, mi permetto di aggiungere con una grossolanità di pensiero che di certo urterà la sensibilità del fine intellettuale, tanto più se di simpatie sinistrorse. Me ne farò una ragione! Poco sopra ho citato il testo del monologo, che definire insulso è già un complimento, di Antonio Scurati per il 25 Aprile che oggi trova spazio su tutti i quotidiani e ovunque sui “social” per la nota polemica di cui a chi scrive importa meno di zero. La citazione mi serve solo per ricordare che il fascismo nasce in Italia in primo luogo per schiacciare con la violenza i lavoratori delle fabbriche e della terra che nel Primo dopoguerra minacciarono gli interessi della classe dominante e che simpatizzarono con la Russia rivoluzionaria: Fare come in Russia! La carota giolittiana (fiaccare e dividere  il movimento operaio concedendo briciole e facendo promesse) e il manganello mussoliniano (uccidere le avanguardie proletarie e distruggere le organizzazioni di classe) messi al servizio della borghesia italiana – la cui fazione liberale si era illusa di poter usare la violenza fascista senza pagare un prezzo politico troppo caro: l’autonomizzazione politica del manganello non era stato previsto! Carota democratica e manganello fascista: due facce della stessa capitalistica e controrivoluzionaria medaglia. Ieri come oggi – e sempre mutatis mutandis, si capisce.

Di qui l’abissale differenza che corre tra l’antifascismo anticapitalista, che combatte le radici sociali (capitalistiche) del fascismo, e l’antifascismo che anticapitalista non è, quello che si riconosce nella Costituzione borghese di questo Paese – che non a caso esordisce santificando il lavoro (salariato) come fondamento della Repubblica. Scriveva Max Horkheimer negli anni Trenta del secolo scorso: «Chi non vuole parlare del capitalismo non deve parlare nemmeno del fascismo, il quale è la verità della società moderna colta dalla teoria fin dall’inizio. L’ordine totalitario non è altro che l’ordine precedente senza i suoi freni. Oggi combattere il fascismo richiamandosi al pensiero liberale significa appellarsi all’istanza attraverso cui il fascismo ha vinto» (Gli ebrei e l’Europa).

(*) Lenin, Valutazione della parola d’ordine della “pace”, luglio-agosto 1915, Opere, XXI, Editori Riuniti, 1966.

Sul 25 aprile e sul fascismo:

CONTRO LA COSTITUZIONE. QUELLA DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI

MITI ULTRAREAZIONARI E FESTE COMANDATE. SUL 25 APRILE

UN 25 APRILE DI GUERRA (IMPERIALISTA). ESATTAMENTE COME ALLORA!

LIBERARSI DAL MITO DELLA LIBERAZIONE

FASCISMO STORICO, FASCISMO ETERNO, FASCISMO DEL XXI SECOLO, FASCISMO IMMAGINARIO…

OGGI COME ALLORA. ADORNO E IL NUOVO RADICALISMO DI DESTRA

LA PERFETTA CONTINUITÀ DELLO STATO. OVVERO: LO STATO ETERNO

Sulla guerra russo-ucraina come parte del conflitto interimperialistico totale:

ESSERE PARTE DEL PROBLEMA O DELLA SUA SOLUZIONE?

SULLA GENESI DEL REGIME PUTINIANO

LA SCONFITTA DEL PROPRIO PAESE NELLA GUERRA IMPERIALISTICA

CANNONI CONTRO BURRO. A DUE ANNI DALL’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA

SULLA COSIDDETTA AMBIGUITÀ STRATEGICA

MISERIA DELLA FILOSOFA

DALLA “NEUTRALITÀ BENEVOLA” ALLO “STATO DI BELLIGERANZA”. OVVIAMENTE CON LA COPERTURA DELL’ART. 11 DELLA COSTITUZIONE

Su Israele e Gaza:

CONTINUA LA GUERRA DI STERMINIO CONTRO I PALESTINESI

LA MACABRA FARSA SULLA PELLE DEI PALESTINESI – E NON SOLO

PRIMO LEVI CRITICO DI ISRAELE

LA DIALETTICA DELLO STERMINIO SECONDO HABERMAS

IL PUNTO SULLA CATASTROFE

OPERAZIONE CHIRURGICA…     

QUALCHE RIFLESSIONE SU HAMAS

LA QUESTIONE PALESTINESE DOPO IL 7 OTTOBRE

A GAZA COME IN UCRAINA E IN OGNI ALTRA PARTE DEL MONDO, LA GUERRA È TERRORISMO ORGANIZZATO E GENERALIZZATO

CONTRO LO STATO IMPERIALISTA ISRAELIANO E CONTRO HAMAS, PEDINA NELLO SCONTRO INTERIMPERIALISTICO

LA TEMPESTA E LA SPADA. LA GUERRA È SERVITA – DI NUOVO!

7 pensieri su “ASPETTANDO IL 25 APRILE

  1. TEORIA E PRASSI DELL’”AUTODECISIONE”

    DELLE NAZIONI NEL XXI SECOLO

    Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden: «Inviamo all’Ucraina nuovi aiuti militari importanti. L’assistenza economica degli Stati Uniti aiuterà a mantenere la stabilità finanziaria del Paese, a ricostruire le infrastrutture critiche dopo gli attacchi russi e a sostenere le riforme sulla via dell’integrazione euro-atlantica».

    Il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky: «Grazie, signor Presidente! Grazie, Congresso! Grazie, America»

    Intanto il tritacarne bellico lavora a pieno regime maciullando la carne di russi e ucraini. Stiamo parlando ormai di centinaia di miglia di giovani – sempre al netto delle opposte propagande interessate a massimizzare il numero dei morti del nemico e a minimizzare quello della propria nazione. Il tutto naturalmente in vista delle prossime (si parla di agosto) trattative diplomatiche che dovranno mettere fine, in un modo o nell’atro, a questa guerra. Della serie: Se vuoi che la “pace” ti sia favorevole, costruisci sul campo le condizioni di questa “pace” fruttuosa, sparando sempre un colpo in più del nemico, avanzando un metro in più del nemico, uccidendo un uomo in più del nemico, restando in piedi un secondo in più del nemico. Niente di personale, è la disumana logica della guerra!

  2. Non ci abbandonare! L’escrementizia apologia di Antonio Scurati del luglio 2022. Della serie: facce della stessa escrementizia medaglia!

    Con una lettera pubblicata nel luglio del 2022 sul Corriere della Sera, l’intellettuale e scrittore Antonio Scurati, Premio Strega 2019, invitava «l’Esimio Presidente Draghi» a desistere dall’idea di dare le dimissioni e a «rinnovare la sua disponibilità a governare il Paese». Si tratta di un testo a dir poco apologetico nei confronti dell’ex Presidente del Consiglio, forse oggi il massimo esponente del partito che si batte per la creazione di un polo imperialista europeo unitario. Eccone alcuni passi che definire “imbarazzanti” significa dar prova di un’infinita bontà nei confronti del prossimo.

    […] Qualunque cosa si voglia pensare di lei, non si può negare che la sua sia la storia di un uomo di straordinario successo. Durante tutta la sua vita, lei ha bruciato le tappe di una carriera formidabile. Prima da Governatore della Banca d’Italia e poi da Presidente della Banca centrale europea, lei ha retto le sorti di una nazione e di un continente; le ha tenute in pugno con il piglio del dominatore, sorretto da una potente competenza, baciato dal successo, guadagnando una levatura internazionale, un prestigio globale, un posto di tutto rispetto nei libri di storia. Ha conosciuto il potere, quello vero, ha conosciuto la fama degli uomini illustri, la vertiginosa responsabilità di chi, da vette inarrivabili, decide quasi da solo della vita dei molti.

    […] Letta in una prospettiva storica, la sua disponibilità a governare l’Italia in un momento di crisi epocale mi apparve e mi appare come un indubbio gesto di generosità al servizio del Paese. Si narra che questi diciassette mesi di governo siano stati per lei fonte di amarezza crescente. Non so se sia vero ma non credo che la questione sia di ordine psicologico. L’ultimo anno e mezzo è stato sicuramente, oggettivamente, per lei e per noi tutti, tra i più difficili e terribili della storia recente. Ciò che sta accadendo in queste ore ripropone, purtroppo, un copione già andato in scena molte volte sulla ribalta del nostro Paese, irresistibilmente sedotto dalla commedia: la tragedia che scade in farsa. Ora lei, pur dovendo fronteggiare una pandemia, una guerra, una crisi economica con pochi precedenti e una ambientale senza uguali, è spinto alle dimissioni da un accanito torneo di aspirazioni miserabili, da sudice congiure di palazzo, da calcoli meschini, irresponsabili e spregiudicati di uomini che, presi singolarmente, non valgono un’unghia della sua mano sinistra.

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  5. Della serie i Padri della Patria.
    TOGLIATTI SECONDO IL MINISTRO DELLA CULTURA

    Per il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano chi è autenticamente antifascista non può non dirsi anche anticomunista, essendo stato il comunismo, o meglio: quello che lui pensa sia stato (e che sia: vedi la Cina) il comunismo, un regime dittatoriale esattamente come il fascismo e il nazismo. In effetti egli con “comunismo” chiama ciò che per me è l’esatto opposto del comunismo, cioè lo stalinismo – in tutte le sue diverse e ugualmente escrementizie varianti nazionali: cinese, vietnamita, albanese, cubana e via di seguito. Fascismo e stalinismo come due facce della stessa medaglia chiamata controrivoluzione antiproletaria. Per quanto mi riguarda sono antifascista così come sono nemico di tutte le forme politico-istituzionali che può assumere la dittatura sociale delle classi dominati: da quella più “democratica” a quella più “totalitaria”. Ma non è questo il problema su cui volevo brevemente soffermarmi. Scriveva il Nostro sul Corriere della Sera di qualche giorno fa:

    «In Italia non c’è stata una dittatura comunista [leggi: stalinista] ma c’è stato un partito che ha operato a lungo per instaurarla, finanziariamente e politicamente legato all’Unione Sovietica di Stalin e Breznev, guidato da un leader stalinista. Palmiro Togliatti fu, infatti, fra i massimi dirigenti del Comintern, appena un gradino sotto il leader sovietico. Durante le violente purghe staliniane degli anni Trenta non solo Togliatti non disse una parola su quei massacri ma dopo collaborò allo sterminio di tutti i dirigenti del partito comunista polacco, come scrisse Piero Ostellino, rei di difendere la propria nazione dalle mire di Stalin, e ancora organizzò, in nome e per conto di Stalin, l’assassinio degli anarchici spagnoli, ritenuti non allineati al vero bolscevismo». Tutto vero. Ma dall’elenco delle vittime dello stalinismo con caratteristiche togliattiane mancano quei comunisti italiani che, perseguitati dal regime fascista, si rifugiarono in Russia credendo di poter trovare riparo e conforto in quella che, a torto, credevano fosse la “Patria del Socialismo”. Caddero vittima dello stalinismo italiano anche non pochi militanti comunisti che nel 1945 cercarono di trasformare la cosiddetta Resistenza in una guerra civile anticapitalista, scontrandosi in tal modo con il partigianesimo di matrice appunto stalinista. Accusati di trotskismo o di bordighismo (sinonimi di “agente al servizio del nemico”), diversi militanti operai italiani subirono in Russia e in Italia la persecuzione degli stalinisti togliattiani, che non raramente ebbe come tragico epilogo la loro morte.

    Per approfondire il tema:

    • Emilio Guarnaschelli, Una piccola pietra. Le lettere di un operaio comunista morto nei gulag di Stalin, prima edizione Garzanti 1982 con prefazione di Alfonso Leonetti, poi Marsilio 1998.
    • Giorgio Sacchetti, Otello Gaggi. Vittima del fascismo e dello stalinismo, BFS edizioni 2015.
    • Alfonso Leonetti, Vittime italiane dello stalinismo in URSS, Milano, La Salamandra 1978.

  6. Purghe Staliniane
    SCOMPARSI CHE GRIDANO VENDETTA

    Qui di seguito la mia recensione del libro Una piccola pietra comparsa su Programma Comunista del 9/4/1983.

    Da qualche tempo a questa parte, stampa, TV e pubblicazioni varie sono tornate ad occuparsi, e negli ultimi tempi con vera insistenza, delle vittime provocate dallo stalinismo durante il periodo più violento (dall’uccisione di Kirov nel ’34 al 1939) della controrivoluzione che spazzò via le conquiste rivoluzionarie dell’Ottobre 1917. In passato, al centro dell’attenzione erano stati messi gli esponenti dell’opposizione della sinistra russa capeggiata da Trotsky e, in seguito, da Zinov’ev, prima calunniati e poi assassinati; oppure le schiere di rivoluzionari massacrati in Spagna dagli stalinisti a partire dal ‘36, cioè nel pieno della guerra civile, perché riluttanti nei confronti della strategia capitolarda dettata da Mosca. Oggi i riflettori sono puntati sui comunisti italiani “scomparsi” in Unione Sovietica in quel drammatico frangente.
    Nel settembre dello scorso anno, per esempio, è uscito un libro, intitolato Una piccola pietra (Garzanti) che raccoglie le lettere di Emilio Guarnaschelli, operaio comunista scomparso in URSS nel ‘39, scritte al fratello Mario, anch’egli comunista, e ad altri suoi familiari. Perseguitato dal fascismo, Guarnaschelli si rifugiô a Mosca nel 1933; politicamente assai capace e vivace, fu arrestato due anni dopo e condannato «in base all’articolo 58/10 del Codice penale sovietico [agitazione e trotzkismo], a tre anni di esilio a Pinega, a 1300 Km d11 Mosca». Nelle lettere è racchiusa la drammatica vicenda di un comunista, il Guarnaschelli, che lentamente, attraverso un’attenta osservazione degli avvenimenti che andavano maturando, e che erano già maturati in precedenza in quello che dal ‘17 in poi era stato il punto di riferimento e di orgoglio del proletariato mondiale, abbandona dolorosamente i primi entusiasmi per quello che per anni aveva creduto fosse il « cantiere del socialismo», e si rese conto che, come scrive nella sua lettera al fratello Mario del 25 giugno 1935, «in Russia […] si fa di tutto all’infuori del socialismo».
    Dopo l’uccisione di Kirov a Leningrado il 1° dicembre 1934, Guarnaschelli e altre decine di rivoluzionari italiani emigrati in URSS vennero messi sotto accusa dagli stalinisti Made in Italy ed operanti in Unione Sovietica, perché nel frattempo i primi avevano manifestato una qualche simpatia per l’opposizione russa che, seppure afflitta da tante contraddizioni e debolezze, fu l’unica forza organizzata che in Russia cercò di ostacolare la locomotiva controrivoluzionaria lanciata a pieno vapore contro il movimento operaio russo ed internazionale. Racconta Mario Guarnaschelli: «Il robot-staliniano Paolo Robotti, cognato di Togliatti, dirigeva la sezione italiana del club degli immigrati politici a Mosca, da cui dipendeva la sorte degli italiani e quindi anche quella di Emilio. […] Paolo Robotti organizzò in questo club sedute di autocritica preconizzate da Stalin e ogni italiano dovette fare il suo mea-culpa, cioè, in poche parole, dovette rievocare davanti a una commissione, già diffidente in anticipo, il sia pur minima ricordo delle più piccole colpe commesse in passato».
    Questa descrizione dei fatti combacia perfettamente con quella che sugli stessi drammatici avvenimenti ha fatto recentemente Dante Corneli, un altro comunista arrivato in Unione Sovietica nel periodo fascista e lì arrestato per – indovinate! – «trotskismo». Racconta Comeli: «Il 28 dicembre di quell’anno – 1934 – ci fu l’arresto di un primo gruppo di una decina di emigrati politici italiani. L’1 o il 2 gennaio successivo venne arrestato Emilio Guarnaschelli. Robotti nell’occasione convocò un’assemblea degli emigrati politici, a cui parteciparono anche Togliatti e Longo. Guarnaschelli venne definito come una spia fascista, gli emigrati furono invitati ad approvare gli arresti. Si trattava, a sentire Robotti, di traditori e controrivoluzionari» (L’Espresso, 20/3/83).
    Adesso si “scopre”, anche grazie alle confessioni fatte dallo stesso Robotti poco prima di morire, che nella comunità italiana residente in Unione Sovietica il “pentimento” non risparmiò nessuno e che i comunisti italiani arrestati e successivamente “scomparsi misteriosamente” in quel Paese nel pieno della campagna stalinista contro l’opposizione politica e sociale, non furono “solo” poche decine, come si bisbigliava già allora, ma molte decine. Simili “rivelazioni” non sono tali per la Sinistra Comunista, la quale dallo stalinismo ha ricevuto, oltre che “severe scomuniche”, altrettanto severo piombo. Piuttosto queste “scoperte” avvalorano quello che il nostro movimento ha sempre sostenuto, e cioè che la controrivoluzione stalinista, partita certamente dalla Russia, investi e trasformò radicalmente in senso antirivoluzionario l’intero movimento comunista internazionale che dello stalinismo assorbì ed adottò l’essenziale, a cominciare dai suoi efficientissimi e mostruosi sistemi di controllo e di repressione politica, psicologica e fisica.
    Comeli, sempre sul già citato Espresso, racconta come ogni compagno italiano emigrato in URSS venisse accuratamente schedato dai vari Robotti; per quanto riguarda i “pezzi grossi” del partito togliattiano che dall’Italia fascista arrivavano nel “Paese dei soviet”, egli ci mette a parte di una verità che la dice lunga sulla buonafede del “comunismo”nostrano: « Nel compilare le loro schede stavano attenti a non inserire dati che insospettissero i sovietici. Ad esempio, le trascorse simpatie per Bordiga [che imperdonabile errore!] i sovietici le avrebbero lette come simpatie per il trotskismo. Longo, Amadesi, Dozza, Vitali e Polano erano stati bordighiani fino al ‘25. Ero stato bordighiano anch’io» (5). In effetti, fino al completo trionfo in Unione Sovietica del nuovo corso stalinista nel Partito italiano solo pochi militanti potevano vantare un trascorso antibordighiano. Chi non ha peccato, scagli la prima pietra!
    In pieno clima di “riscoperte storiche”, gli stessi professionisti dell’insabbiamento, delle menzogne e delle deformazioni che hanno lavorato per il partito di Togliatti, oggi “riscoprono” le vittime italiane dello stalinismo: che dire? Senza dubbio alla base di queste rivalutazioni storiografiche, che spesso si accompagnano a “riflessioni autocritiche” e a “ripensamenti critici” (si salvi chi può dalle ipocrite terminologie di Lor Signori!), c’è anche il tentativo di una certa parte del PCI, quella capeggiata da Enrico Berlinguer, di dare un ultimo strappo al cordone ombelicale che ha legato quel partito allo stalinismo, un’eredità piuttosto imbarazzante per una forza politica che lavora per una “alternativa democratica”. L’operazione però non si presenta del tutto agevole, anche perché il maggior incriminato per le scomparse dei comunisti italiani in Unione Sovietica è proprio Togliatti, il quale, fino a prova contraria, non è stato ancora messo in soffitta a far compagnia a papà Stalin.

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