A DIECI ANNI DALLA “GRANDE CRISI”

Il post che segue si compone di una serie di appunti messi insieme da chi scrive in un ordine forse discutibile. Appunti che non ho avuto il tempo, né la voglia in verità, di rivedere, e di ciò mi scuso con i potenziali lettori. Penso tuttavia che la loro lettura non sia del tutto impraticabile, né forse del tutto inutile, e per questo li pubblico.

Yanis Varoufakis e altri cosiddetti “marxisti irregolari” hanno paragonato la Grande crisi iniziata nel 2007 negli Stati Uniti al crollo del «Comunismo reale» iniziato nel 1989 con la caduta del famigerato Muro. L’analogia non regge neanche un poco; e non solo perché il Capitalismo è lungi dall’essere crollato definitivamente, mentre del regime “sovietico” non è rimasto che un pessimo ricordo, ma soprattutto perché allora non crollò il Comunismo, né un Socialismo più o meno reale, quanto un regime capitalistico incapace di reggere il confronto con il più forte e dinamico assetto capitalistico di “stampo occidentale” che aveva negli Stati Uniti il suo più importante pilastro. È tipico dei nostalgici del mondo perduto centrato sul confronto USA-URSS confortarsi pensando che se il “Comunismo” è morto, il Capitalismo non sta poi messo tanto bene. E via con la solita tiritera sulla «stagnazione secolare» teorizzata dall’ex Segretario al Tesoro Larry Summers e dal premio Nobel per l’Economia Paul Krugman – per la serie: un Nobel non si nega a nessuno. È difficile non sentirsi dei giganti del pensiero dinanzi a quei nostalgici. Persino un microbo come chi scrive subisce quell’antipatica tentazione. D’altra parte, Come diceva quello tutto è relativo!

Martin Sandbu sul Financial Times del 15 agosto 2017 si è lanciato in un ardito paragone tra il centenario della Rivoluzione d’Ottobre e il decennale della crisi finanziaria internazionale che di fondato ha solo il trauma che hanno subito i sostenitori del vigente regime sociale a causa di quello shock economico. Secondo Sandbu la menzogna accomunerebbe i due eventi, da Lenin a Lehman.  «Il comunismo ha fallito perché ha perseguito due tipi di menzogne. La prima è stata tradire un sogno. […] La seconda menzogna è stata propagandare la validità di un sistema economico basato sull’inganno e l’illusione. […] In pratica, come era ovvio, la vera pianificazione centralizzata si è rivelata una soluzione terribile per la produzione e per la distribuzione delle merci di cui avevano bisogno i cittadini. Ma invece di correggersi, l’economia pianificata ha trasformato il progetto in un’enorme bugia». Già il solo parlare di «produzione e distribuzione delle merci» nell’ambito del «comunismo» deve far sorridere lo scolaretto di Marx che già da bambino ha appreso che le merci non sono cose (beni) socialmente neutre ma l’espressione più verace di peculiari rapporti sociali di produzione e di scambio – una distinzione puramente formale. Dove c’è merce, c’è Capitalismo!

Come ho già scritto, la vera enorme bugia è consistita nel vendere all’opinione pubblica internazionale, e al proletariato di tutto il mondo in particolare, un Capitalismo di Stato largamente assistito dall’economia “informale” (privata e perlopiù illegale) spacciandolo per Comunismo o per «socialismo reale». Veniamo adesso all’«enorme bugia» che secondo Sandbu ha rischiato di mandare in frantumi il Capitalismo centrato sul modello liberoscambista che tanto piaceva a Friedrich von Hayek: «Se il piano quinquennale è stata la grande menzogna del blocco sovietico, questa è quella del Capitalismo: i valori di mercato degli assets finanziari, riflettono fedelmente il valore economico che essi rappresentano. Quello che è accaduto in questi stessi giorni, di dieci anni fa, è stata l’agghiacciante realizzazione che i diritti finanziari accumulati negli anni di boom economico precedenti non quadravano, che la futura produzione economica, di cui tanto si cianciava, non era sufficiente per onorare appieno i debiti. In breve: il benessere economico che le persone pensavano di possedere, di fatto, non esisteva». In termini marxiani, la scoperta dell’acqua calda. Conclusione più che scontata del nostro: «L’inganno produce fragilità. Il libero mercato è in pericolo perché il suo sistema finanziario ci ha permesso di mentire a noi stessi. I populisti di destra e di sinistra trafficano in nostalgia, aspettando la primavera dell’economia mista. Hanno ragione quando asseriscono che il confronto fra la pianificazione ed il laissez-faire si deve risolvere in un mix dei due [si tratta della mitica “Terza via”?]. Ma la lezione più grande che si può imparare da questa competizione è che un qualsiasi sistema sociale o economico deve essere onesto, non solo imparziale, ma attendibile». Il lettore più “scafato” ha già capito: ho citato Sandbu per riconfermare, guardando a “destra”, quanto detto prima a proposito della tentazione di sentirsi dei giganti del pensiero guardando alla mia “sinistra”.

Dieci anni dopo, sembra che il “bugiardo” Capitalismo non abbia ancora imparato la lezione, visto che il debito globale, pubblico e privato, ha ormai superato i 70mila miliardi di dollari, una cifra che non è poi così distante da quella relativa alla capitalizzazione delle Borse mondiali (72mila miliardi di dollari) e da quella del Pil annuo mondiale (77mila miliardi di dollari). «Negli Stati Uniti a marzo il livello dell’indebitamento delle carte di credito revolving ha raggiunto gli stessi livelli d’allarme del 2008, superando quota 1.000 miliardi di dollari. […] Il castello del debito potrebbe crollare» (Il Sole 24 Ore). In effetti i castelli di carta hanno la pessima abitudine di cadere quando meno te lo aspetti, e solo pochissimi professionisti del gioco d’azzardo speculativo  sanno cogliere l’attimo fuggente che fa ricco chi scappa un minuto prima del disastro, lasciando in mutande la «mandria elettronica», i milioni di piccoli – e il più delle volte ignari – speculatori che pensano di potersi arricchire alla velocità della luce – o quantomeno alla velocità della connessione elettronica resa possibile da Internet.

Personaggi come Sandbu non capiranno mai che non di onestà [sic!] né di «attendibilità» [risic!] si tratta quando parliamo delle magagne che riguardano l’economia capitalistica, e quindi la società nel suo complesso, ma di ineliminabili contraddizioni che si annidano nel cuore stesso che genere la ricchezza sociale nella vigente forma storico-sociale.

Nella primavera del 2008 Giulio Tremonti pubblicò, con invidiabile tempismo, La paura e la speranza, un saggio che allora apparve agli analisti politici alla stregua di una profezia; ne cito un passo: «Possiamo chiamarla come vogliamo: turbamen­to, crisi, tempesta, collapse, storm, turmoil, distress, crunch. Possiamo – o no – paragonarla a quella del 1929, pur sapendo che la storia non si ripete comunque mai per identità perfette. Possiamo chiamarla o vederla come vogliamo. Ma è certo che, a partire dall’agosto 2007, dalle profondità misteriose del Ca­pitalismo finanziario salgono in superficie scosse fortissime, che spezzano certezze fino a ieri assolute» (*). E dieci anni dopo, come stanno messe le cose secondo l’ex Ministro del Tesoro del Governo Berlusconi? Male! Stampa Ascolta Email «Dal 2007 a oggi le cause della crisi sono ancora tutte lì. Se allora c’erano numeri eccessivi, oggi sono esplosivi. La liquidità eccessiva che ha causato la crisi dieci anni fa, oggi è esponenzialmente superiore. La finanza sta subendo una mutazione genetica spaventosa. Ci sono tutti gli elementi in cui nascono le famigerate “bolle”» (Il Corriere della Sera). Come si spiega la disastrosa coazione a ripetere dell’economia drogata dal credito? Può fare a meno di questa “droga”, peraltro assunta a dosi sempre crescenti, il Capitalismo del XXI secolo? Tremonti: «Davanti alla Bastiglia Luigi XVI chiese se era in corso una rivolta, gli risposero che era una rivoluzione, ma lui continuò a pensare alla sommossa, e si sa come è finita. Un minimo di riflessione sulla situazione attuale andrebbe fatta». È ciò che intendo fare io. «Un minimo di riflessione», beninteso, non prometto altro!

Continua qui.

(*) G. Tremonti, La paura e la speranza, p. 12, Mondadori, 2008.

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