LA REGOLA DELLA CASA UMANA

breakfast-in-the-garden-1883_by-De-Nittis-1024x709Cercate dapprima di soddisfare i vostri bisogni umani,

e il Regno della libertà vi arriverà da solo.

Nel 1992 io e alcuni (pochissimi) compagni concepimmo un’idea davvero bizzarra, stravagante, in ciò in perfetta armonia con le nostre teste e con le nostre esistenze: scrivere un opuscolo intorno al significato della società fondata sul profitto e sulla necessità/possibilità della Comunità umana ispirandoci agli opuscoletti distribuiti dai Testimoni di Geova “porta a porta” («Si invitano i signori Testimoni di Geova a non disturbare»!) e in ogni quartiere popolare della nostra città. Ne compulsammo alcuni per studiarne il format (linguaggio e grafica) ma anche il tipo di approccio con le “problematiche” esistenziali della cosiddetta gente comune.

L’opuscoletto, peraltro mai distribuito forse per un soprassalto di pudore, portava questo impegnativo (velleitario?) titolo programmatico: Ribellarsi per costruire il Mondo Nuovo. Cercavamo di rispondere in modo semplice e conciso a domande di questo tipo: «Perché il mondo in cui viviamo è così violento e ingiusto?»; «Chi potrà liberarci dallo sfruttamento e dalla disumanità?», e via di questo passo. Come si vede, un taglio decisamente “testimoniale”, e difatti in quei giorni ci piaceva molto prenderci in giro chiamandoci I Testimoni di Marx.

A pagina 8 del sacro opuscolo ponevamo al fantomatico lettore il seguente quesito: «È possibile costruire una nuova Comunità fondata non più sulla ferrea legge del profitto ma sull’umana legge dei bisogni?» Rispondevamo all’impegnativa domanda con questo (ingenuo?) esempio:

«Se una fontanella della nostra città si mettesse “per miracolo” a sputar fuori freschissima aranciata, anziché normalissima acqua, certamente assisteremmo a questo genere di spettacolo:

a) La notizia si propagherebbe alla velocità della luce e la gente si precipiterebbe come una mandria impazzita nel posto dei miracoli, per bere quanta più aranciata possibile. Ne berrebbe fino alla nausea, fino a scoppiare, perché certi miracoli difficilmente si ripetono.

b) Le stesse persone sature di aranciata riempirebbero con quel liquido tutti i recipienti a portata di man, per portare a casa una bella scorta della gustosa bevanda, magari con la speranza di poterla vendere in parte a chi non fosse riuscito ad approfittare della miracolosa occasione.

Ma se una fontanella sotto ogni casa erogasse aranciata a volontà e, soprattutto, gratuitamente, tutti i giorni, tutte le ore, sempre, a nessuno verrebbe in mente di bere a più non posso quella bevanda, né di farne una scorta anche per usi commerciali. Se posso avere gratuitamente aranciata tutte le volte che ne ho desiderio, e se per tutti vale la stessa regola, la regola dei bisogni e dei desideri soddisfatti gratuitamente, sarebbe davvero bizzarro se riempissi il mio stomaco e la mia casa con un bene che non ha alcun valore di scambio, ma solo un valore d’uso che mi è sempre accessibile, appunto secondo il bisogno.

Ora, si tratta di estendere questo esempio a ogni bene e a ogni genere di bisogno, ed ecco che avremo realizzato per “magia” la Comunità dell’uomo in quanto uomo. Ma prima occorre sbarazzarci della società fondata sul valore di scambio e sul profitto, e questo “miracolo” può farlo solo chi non ha alcun interesse da difendere in questa società ed è convinto che abbia invece tutto un mondo nuovo da conquistare».

Mi scuso per la volgarizzazione di principi che certamente abbisognano di un approccio assai più articolato e “dialettico”. Ma si trattò di un tentativo, di una sperimentazione. Andata a male, lo ammetto. E naturalmente chiedo venia ai compagni Testimoni di allora, inopinatamente sputtanati (anche se in forma anonima) oggi.

Seguivano poi dei passi che cercavano di rispondere alla solita legittima, ancorché infondata, obiezione: «Ma come la mettiamo con il comunismo fallito in Russia, in Cina e ovunque nel mondo?» Rispondevamo negando alla radice la natura comunista/socialista di quei Paesi: «La loro stessa esistenza è servita a ingannare gli sfruttati di tutto il mondo, a fargli credere che il “comunismo” non è un paradiso terrestre ma un vero e proprio inferno. La classe dominante ci ha derubato perfino del futuro: riprendiamocelo!»

Ma, al di là della scarsa qualità teorica e politica dell’opuscolo in questione, è sulla regola dei bisogni che invito a riflettere.

Dal lavoro come misura del valore di scambio al bisogno sociale (individuale e comunitario) come regola della produzione e della distribuzione della ricchezza sociale consistente in meri valori d’uso, in beni materiali e immateriali a cui tutti possono accedere gratuitamente, appunto secondo il bisogno. La regola della casa umana è dunque il bisogno, non il lavoro (magari secondo la formula paolina, ripresa dai bolscevichi, «Chi non lavora non mangia»*), né il merito.

Per Marx l’umanissimo salto dal Regno della necessità al Regno della libertà si avrà solo quando il lavoro perderà ogni carattere coattivo e normativo, e acquisterà i caratteri di una libera espressione dell’individuo, di un’attività esercitata liberamente alla stregua di altre attività non finalizzate direttamente alla creazione di valori d’uso strettamente indispensabili alla conservazione della nuda vita degli individui**. Nella Comunità regolata dai bisogni l’uomo «mangia» solo perché egli esiste nella sua qualità di uomo, con ciò che questo concetto presuppone e pone sul terreno della prassi sociale, a iniziare dalla capacità degli individui di padroneggiare completamente le leve essenziali che rendono possibile la loro esistenza come uomini. Cosa che nell’odierna società dominata dalle necessità economiche non è concessa a nessuno, nemmeno ai capitalisti.

In questo stretto senso si può ben dire che mai la merce sfamerà l’uomo, compito che spetterà, semmai, al bene, cioè a dire al valore d’uso.

Ho sviluppato questi ardui temi in Eutanasia del Dominio. La dolce morte del Dominio sociale nella Comunità umana.

Scrive Chris Anderson, inventore e capitalista, teorico della manifattura digitale, del Capitalismo fai da te (sul modello Web) e dell’alleanza «rivoluzionaria» tra atomo e bit: «Come diceva Marx, il potere appartiene a coloro che controllano il modo di produzione» (Il ritorno dei produttori, Rizzoli, 2013). Ora, chi sono io per dar torto a Chris Anderson?

Il-mangia-fagioli-Carracci* «Se qualcuno non vuole lavorare, neppure deve mangiare» (Seconda lettera ai tessalonicesi). Scriveva Lenin commentando il marxiano Programma di Gotha: «Così, nella prima fase della società comunista (comunemente chiamata socialismo), il “diritto borghese” non è completamente abolito, ma solo in parte. […] Esso sussiste quale regolatore (fattore determinante) della distribuzione dei prodotti e del lavoro fra i membri della società. “Chi non lavora non mangia”: questo principio socialista è già realizzato; “a uguale quantità di lavoro, uguale quantità di prodotti”: quest’altro principio socialista è anch’esso già realizzato. Tuttavia ciò non è ancora comunismo, non abolisce ancora il “diritto borghese” che attribuisce a persone disuguali e per una quantità di lavoro disuguale (di fatto disuguale) una quantità uguale di prodotti. […] Lo Stato si estingue nella misura in cui non ci sono più capitalisti, non ci sono più e quindi non è più possibile reprimere alcuna classe. Ma lo Stato non si è ancora estinto completamente, poiché rimane la salvaguardia del “diritto borghese” che consacra la disuguaglianza di fatto. Perché lo Stato si estingua completamente occorre il comunismo integrale» (Lenin, Stato e rivoluzione, Opere, XXV, pp. 438-439, E. R., 1967).

* * Quelli che J. M. Keynes chiamava bisogni assoluti, «nel senso che essi sono avvertiti indipendentemente dalle condizioni delle altre persone» (Prospettive per i nostri nipoti). Soddisfatti questi incomprimibili bisogni, «si preferirà destinare le ulteriori energie a fini non economici». Per Keynes sostenere lo sviluppo delle forze produttive del Capitalismo aveva il significato di rendere possibile, “un bel giorno” (e attraverso un progresso sociale pacifico non “perturbato” dall’incivile lotta di classe) il superamento del «problema economico», ossia della scarsità di beni e della precarietà esistenziale per la gran parte degli individui.

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A proposito di Chi non lavora non mangia! Ho postato su Facebook quanto segue:

CHI NON LAVORA NON MANGIA! BAMBINI INCLUSI!!

«In Bolivia almeno un terzo dei bambini lavora. Sono numeri più alti di quelli medi di una regione, l’America latina, dove secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro almeno 13 milioni di bambini e bambine devono darsi da fare piuttosto che studiare. Nel paese andino sono almeno 850.000 i minori dai 5 ai 17 anni occupati, quasi tutti in attività legate a condizioni estremamente umili e spesso inadatte, nelle miniere, nella pastorizia in località remotissime a 4.000 metri di quota, nell’edilizia, nell’informale. Da oggi il nuovo codice del minore prova ad arginare questo fenomeno storico.

L’approvazione del codice è passata attraverso un percorso travagliato e lo stesso presidente Evo Morales ha preso posizioni dubitative: «Parlo per esperienza di vita: bisogna eliminare lo sfruttamento ma non si può eliminare il lavoro di bambine e bambini. Nelle aree rurali [gran parte del Paese] dal momento che si impara a camminare ciò comporta prestare un servizio alla famiglia e questo contribuisce a formare la coscienza sociale. Non è sfruttamento ma è parte del sacrificio che comporta la vita» (dal Blog di Gennaro Carotenuto).

D’altra parte, non si può chiedere al non-ancora-nato se accetta il «sacrificio che comporta la vita». E questo ovviamente vale dappertutto, nel Primo come nel Terzo o Quarto mondo. Certo sarebbe bello poter chiedere in anticipo al potenziale bambino se accetta di buon grado di firmare il contratto di cittadinanza. Immaginate disastri demografici? L’anima del buon Malthus di certo non ne soffrirebbe, questo è sicuro.

Il “compañero” Morales è stato assai criticato per le sue «posizioni dubitative». Da un “anticapitalista” come lui forse ci si aspettava qualcosa di più, magari un riformismo un po’ più spinto. Non condivido queste critiche. In fondo il Presidente si sta impegnando al massimo per promuovere in Bolivia uno sviluppo capitalistico sostenibile, nonché equo e solidale, comunque tale da meritare, ad esempio, il plauso del paludato Corriere della Sera, di solito freddino con i guru dell’”anticapitalismo”. Naturalmente alludo all’”anticapitalismo” dei soliti boccaloni “de sinistra”.

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