Si fa più feroce la guerra che il regime iraniano ha dichiarato contro i manifestanti che ormai da oltre due mesi scendono in strada rischiando la vita, il carcere e le torture. Di una vera e propria guerra si deve ormai parlare, perché la Repubblica Islamica usa contro i manifestanti anche le armi pesanti, nel tentativo di affogare letteralmente nel sangue una ribellione sempre più generalizzata che non arretra di un solo millimetro nonostante la cieca violenza esercitata dalle forze della repressione. I morti ad oggi sono oltre 400, 58 sono bambini; migliaia sono i feriti, molti dei quali si curano come possono nelle loro abitazioni per evitare il carcere; quasi 17mila sono i manifestanti rinchiusi nelle carceri, moltissimi di loro rischiano la pena di morte. La violenza sessuale sulle donne e la tortura sugli uomini per estorcere loro confessioni e “pentimenti” sono all’ordine del giorno. Sono già 6 le condanne a morte emesse dalla Corte rivoluzionaria [sic!] di Teheran nei confronti di altrettanti manifestanti arrestati nelle scorse settimane. Appare qua e là il tentativo dei manifestanti di contrastare la violenza repressiva con mezzi violenti. La misura appare ormai colma e il regime sembra voler provocare una risposta violenta di massa per scatenare l’offensiva militare definitiva. Ovviamente il regime fa ricadere la responsabilità della crisi sociale ai suoi nemici occidentali e regionali, ma il consenso interno è ormai ridotto ai minimi termini e la carta nazionalista è assai svalutata. «Questa volta i giovani iraniani hanno deciso di sfidare il cuore e il simbolo stesso del regime degli ayatollah. E hanno assaltato e incendiato con bottiglie molotov la casa dove è nato l’imam Khomeini, il padre spirituale della Rivoluzione islamica. L’abitazione è stata trasformata in un museo in onore della prima Guida Suprema. La casa si trova nella città di Khomein, nella regione Markazi. “Quest’anno è l’anno del sangue”, alcuni dimostranti sono stati sentiti cantare. E ancora: l’attuale leader supremo Ali Khamenei “sarà rovesciato”. Un altro video mostra i manifestanti che incendiano parti del seminario sciita della città sacra di Qom» (Il Giornale). Domenica notte l’esercito iraniano ha bombardato il Kurdistan irakeno accusato di fomentare la rivolta nel Kurdistan iraniano; l’operazione militare continua. A sua volta il Presidente turco Erdogan, alle prese con una crisi economica che non riesce ad arginare, ha ordinato all’esercito turco di bombardare i “terroristi” curdi di Kobane, Tal Rifaat, Ain Daqna e Sinjar, in Siria. Si tratta dell’operazione Spada ad artiglio che ha l’obiettivo di creare una zona cuscinetto di 30 chilometri al di sotto del confine turco-siriano, a danno delle popolazioni curde. Come scrivevo su un post precedente, come sempre e ovunque la politica estera è la continuazione della politica interna, e viceversa. Qui di seguito riporto una parte di una trasmissione radiofonica.Come scrivevo su un post precedente, come sempre e ovunque la politica estera di un Paese è la continuazione della sua politica interna, e viceversa. Qui di seguito riporto una parte di una trasmissione radiofonica.
Dalla Turchia Mariano Giustino, Radio Radicale, 20/11/2022
Mentre vi parliamo la città curda iraniana di Mahabad è sotto assedio ed è in corso un massacro da parte del regime della Repubblica Islamica. Mahabad, cuore del Kurdistan iraniano, era insorta e da giorni era sotto il controllo della popolazione che era riuscita a liberarla. Proprio circa cinque ore fa, a mezzogiorno ora locale, le forze di sicurezza hanno radunato la popolazione di Mahabad dietro una collina per farle ascoltare un discorso del Governatore. Da una parte tutte le forze delle unità speciali erano disposte di fronte ai cittadini dei vari quartieri e dall’altra le forze di terra del corpo delle Guardie Rivoluzionarie erano schierate con equipaggiamenti da combattimento. La popolazione era terrorizzata; le persone sulla collina impaurite hanno ascoltato le parole propagandistiche del Governatore che giustificava l’attacco con armi pesanti avvenuto nella notte appena trascorsa. Ma era una trappola, perché subito dopo gli abitanti sono finiti sotto il fuoco dei Pasdaran. Il regime sta seminando il terrore: è questa la strategia, è questa la disperazione della Repubblica Islamica che si sta manifestando con tutta la sua ferocia in questi ultimi giorni.
Ieri sabato 19 novembre migliaia di Pasdaran sono stati inviati in questa città del Kurdistan iraniano con armamenti pesanti. Artiglieria, elicotteri e droni per compiere un’azione coordinata casa per casa mirante a porre definitivamente fine alla pacifica insurrezione popolare; la popolazione curda di Mahabad ha subìto un vero e proprio rastrellamento. Il corpo delle Guardie Rivoluzionarie e le forze Basij non erano riuscite nonostante due mesi di brutale repressione a spegnere le manifestazioni di persone inermi che a mani nude avevano cantato e ballato per giorni e per notti attorno al fuoco, un rito simbolico questo in Kurdistan, al grido di Viva la libertà, Morte al dittatore e Fuori la Repubblica Islamica dal Paese. I Pasdaran giunti a migliaia nelle città del Kurdistan iraniano hanno subito interrotto la rete elettrica nelle zone dove era concentrata maggiormente la protesta, e hanno incominciato a bombardare le abitazioni con armi pesanti. È calato il silenzio nella notte, rotto solo da continui spari e dal cannoneggiamento delle milizie di Khamenei.
I primi resoconti diffusi in internet dalla stessa popolazione parlavano di decine di morti e feriti; si sono udite per tutta la notte grida di dolore e di terrore soprattutto di donne e bambini.
Il regime iraniano vuole scatenare una vera e propria guerra in questa regione del Paese, e per questo al calare della notte le abitazioni sono state sottoposte al fuoco incessante dei Pasdaran. Come stiamo documentando, il regime vuol trascinare il Kurdistan iraniano e la regione del Belucistan, dove vive una minoranza sunnita, in una guerra civile, per estinguere le simpatie che vi sono nel Paese verso i giovani manifestanti e dividere così e l’opinione pubblica muovendo la leva del nazionalismo e agitando lo spettro del separatismo e del ritorno della monarchia, come era avvenuto nelle manifestazioni degli anni precedenti. Ma fino ad ora questa strategia non ha prodotto alcun risultato, se non quello di alimentari le proteste. Non sta riuscendo perché anche i partiti curdi al momento si sono astenuti da ogni forma di violenza per non danneggiare la rivoluzione pacifica condotta dai giovani studenti in tutte le città del Paese.
Cosa straordinariamente sorprendente è il fatto che dopo l’attacco con armi pesanti di questa notte alle abitazioni civili di Mahabad da parte dei Pasdaran la gente era ancora scesa in strada a manifestare a mani nude riuscendo con semplici lanci di oggetti a mettere in fuga le forze di polizia in assetto antisommossa. Venerdì si era svolta una massiccia protesta anti-regime ad Hamadam: a mani nude e con le braccia alzate la popolazione ha cantato e gridato la voglia di libertà davanti ai cecchini armati di tutto punto appostati sui tetti per colpire i manifestanti che guidavano. Sono loro i padroni della piazza. Ieri in almeno diciotto città del Kurdistan sono ripresi gli scioperi.
Nell’Ovest dell’Iran, al confine con l’Iraq, le Guardi Rivoluzionarie islamiche scappano sotto il lancio di pietre della popolazione inferocita. I manifestanti hanno incendiato il quartier generale delle Guardie Rivoluzionarie nonostante l’atmosfera di guerra e spari diretti contro di loro e contro le loro abitazioni. A Mahabad questa mattina i Pasdaran sono andati casa per casa e con pugni e calci hanno sfondato porte e finestre; hanno portato via gli abitanti, hanno distrutto le loro case, rubato oltre al loro denaro i loro preziosi, il loro lavoro e persino i loro telefoni cellulari.
Nonostante l’uso della forza bruta da parte del regime alle manifestazioni si sono unite in quest’ultima settimana anche i commercianti artigiani dei bazar che sono sempre stati notoriamente conservatori e fedeli sostenitori del regime islamico e furono decisivi nella rivoluzione khomeinista del 1979. Sono scesi in piazza anche i lavoratori del settore petrolchimico. Si sciopera e si manifesta assieme agli universitari e liceali anche in diversi distretti conservatori di Teheran e nelle città che tradizionalmente sono state sostenitrici del regime, come nella città conservatrice di Mashad e nella città Santa di Qom, cuore del conservatorismo della Repubblica Islamica. Ma niente sembra poter fermare la determinazione del movimento rivoluzionario, se non la violenza più terribile, come sta tentando di fare nel Kurdistan iraniano, dove però il corpo delle Guardie rivoluzionarie e le forze paramilitari Basii, che erano abituate fino a poco tempo fa a disperdere la folla a colpi d’arma da fuoco, questa volta si trovano di fronte giovani a mani nude che non hanno paura e che li sfidano generando il loro stupore e il loro sconcerto. Si trovano davanti a un qualcosa di assolutamente nuovo che sta creando una crepa all’interno delle forze incaricate di reprimere le manifestazioni.
Sono diversi i casi di segnalazioni di insubordinazione e di fughe di membri del corpo dei Pasdaran e delle Basij, tanto che il regime è costretto a fare quello che ha fatto in altri in altre parti, come in Siria, e cioè a reclutare forze straniere come le Brigate afghane, quelle irachene filo iraniane e gli Hezbollah libanesi.
Nella seconda settimana di manifestazioni il regime aveva cercato anche di far mediare i riformisti, come l’ex Primo Ministro Hossein Mousavi, che aveva suggerito delle riforme, e poi è toccato all’ex Presidente Mohammad Khatami, al quale per la prima volta dopo dieci anni è stato concesso di rilasciare un’intervista; gli hanno dato visibilità nel tentativo di calmare un po’ le acque tempestose della rivolta, come è successo per l’ ex presidente Hassan Rouhani, anche egli presentato come un riformatore ma che ora è costretto a tacere perché non ha alcuna credibilità tra i giovani del movimento perché durante il suo mandato Rouhani impose il velo obbligatorio per le donne.
C’è comunque una corrente all’interno del blocco di potere iraniano, che è quella dominante, che pensa di usare il pugno di ferro, la violenza più brutale, che vuol impiccare tutti i manifestanti arrestati, circa quindicimila. C’è anche la possibilità che i Pasdaran possano mettere in atto un colpo di Stato, sacrificando la Guida suprema Ali Khamenei e addirittura tutti gli Ayatollah per portare al potere un Generale, ma anche questa ipotesi è molto improbabile perché i giovani e l’intera popolazione non vogliono non vogliono nemmeno i Pasdaran, soprattutto ora che si sono macchiati di crimini indicibili massacrando i loro figli. La strada dunque imboccata dalla nuova generazione iraniana sembra una strada senza ritorno.
IRAN. LA LOTTA CONTRO IL REGIME NON SI ARRESTA
CON I RIBELLI IRANIANI! CONTRO IL REGIME OMICIDA DEGLI AYATOLLAH!
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