IL PUNTO SULLA CRISI GRECA

tsipras-varoufakis-by-benny-686979Come commentare l’ultima messa in scena parlamentare greca? Il risultato è quello che un po’ tutti gli analisti politici del mondo si attendevano: il famigerato Terzo Memorandum approvato con i voti dell’opposizione, spaccatura di Syriza, cambiamento nella natura politica del governo Tsipras, i leader dell’opposizione “responsabile” pronti a incassare il giusto compenso. Sotto la pressione dei «superiori interessi nazionali» e della minaccia di un’imminente ondata populista di destra può anche darsi che la ferita inferta dal Memorandum sul corpo del Partito del Premier greco possa rimarginarsi rapidamente. Ma può anche aprirsi uno scenario politico completamente diverso: tutto è estremamente fluido e caotico. Non ci resta che seguire gli eventi. Da spettatori, ahimè!

Ciò che invece appare sempre più chiaro è quello che è avvenuto nell’Unione Europea dopo il 5 luglio, ossia all’indomani dello «storico» referendum che ha visto trionfare alle urne i No (non si sa bene esattamente a cosa). I falchi tedeschi guidati da Wolfgang Schäuble hanno approfittato dell’azzardo tentato dall’ex strana coppia di Atene per prodursi nel più classico dei contropiedi. O, per rimanere nella metafora calcistica, Tsipras e Varoufakis sono stati protagonisti di un bellissimo autogol. Ma, come si dice, chi non fa non falla, chi non risica non rosica: si tratta piuttosto di vedere la natura del gioco, più che di criticare l’astratta volontà di giocare dei protagonisti.

Un azzardo, va detto subito a scanso di antipatici equivoci, concepito e realizzato, con i risultati che vediamo, interamente sul terreno delle compatibilità capitalistiche. Solo degli sprovveduti (alludo ad esempio ai socialsovranisti fissati con il neoliberismo o “liberismo selvaggio” e con la “filosofia austerica”*) possono scomodare, a proposito della strategia negoziale dell’ex strana coppia di Atene, i concetti di “rivoluzione”, “lotta di classe” e perle di simile conio. Oggi il simpatico Massimo D’Alema ha dichiarato in un’intervista che «Syriza ha una matrice eurocomunista»: ciò avvalora quanto da me sostenuto circa la natura “organicamente” borghese di quel partito. (Detto en passant, una buona parte di Piattaforma di sinistra, l’ala sinistrorsa di Syriza, ha una forte matrice «eurocomunista», ossia eurostalinis ta, e non a caso essa soffre molto la concorrenza del KKE).

Chiarito questo, bisogna brevemente considerare la dialettica interna all’ex strana coppia del Partenone: mentre per il Premier greco l’azzardo non doveva in ogni caso, nel modo più assoluto, spingersi oltre un certo limite, per non superare la soglia del non ritorno che avrebbe proiettato il Paese oltre l’attrazione gravitazionale dell’euro (e magari dell’Unione Europea), per l’ex Ministro “Marxista” delle Finanze il Game of chicken andava invece spinto fino alle estreme e necessarie conseguenze, e come egli stesso ha ammesso in un’intervista a l’Harry Lambert per New Statesman (13 luglio), all’interno del suo Ministero si era formato «un gruppo piccolo, un “gabinetto di guerra”, di cinque persone: abbiamo lavorato sulla teoria [della Grexit], abbiamo messo su carta tutto ciò che andava fatto. Ma una cosa è lavorare con quattro-cinque persone, un’altra è preparare il paese intero. Per preparare il paese serviva una decisione esecutiva, e questa decisione non è mai stata presa. La mia opinione era: dobbiamo stare molto attenti a non attivarla. Ma ho anche creduto che nel momento in cui l’Eurogruppo avesse fatto chiudere le banche, avremmo dovuto mettere in moto il processo». Ecco perché la stessa domenica del «trionfale successo referendario» Tsipras ha pregato gentilmente Varoufakis di farsi da parte.

«Non obbligo nessuno del mio partito a fare ciò che non vuole», ha dichiarato il Premier greco nella sua intervista televisiva del 14 luglio; «ma certe volte l’ideologia purista non serve». A cosa alludeva Tsipras con «ideologia purista»? Naturalmente al populismo sinistrorso che oggi ha nel bel tenebroso Yanis la sua nuova bandiera e forse il suo nuovo leader politico. «Essere un eccellente studioso non significa necessariamente essere un buon politico», ha detto di lui Tsipras dopo che l’ex sodale politico l’ha accusato praticamente di essere parte di un vero e proprio colpo di stato: «Nel 1967 le potenze straniere usarono i carri armati per mettere fine alla democrazia greca. Nel 2015 c’è stato un altro golpe delle potenze straniere, che hanno usato le banche invece dei carri armati». Qui l’ex Ministro sa di toccare corde sensibilissime: quelle che legano il «popolo greco» al carro del più ottuso nazionalismo, tipico dei popoli che hanno la ventura di vivere in Paesi tanto capitalisticamente deboli quanto ricchissimi di – infondate – velleità di potenza – magari chiamando in causa un lontanissimo retaggio storico.

Marcello Esposito esprime bene la confusione e lo stupore che dal 6 luglio regnano nella testa di gran parte degli analisti che da mesi seguono (non pochi indossando la casacca del tifoso) la crisi greca e che sono rimasti completamente spiazzati dall’esito dell’azzardo (o bluff, secondo alcuni critici): «Attaccare il premier greco Alexis Tsipras quando anche il suo ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis e la “brigata méditerranée” gli voltano le spalle non fa molto onore. Ma la successione degli eventi in questi ultimi quattordici giorni e l’esito finale, peraltro ancora tutto da scrivere, sono così surreali da generare la sensazione di aver vissuto come in un sogno collettivo. Qualcuno dovrà prima o poi spiegare al popolo greco su cosa abbia votato domenica scorsa e perché lo stesso premier che aveva invitato a votare Oxi a un piano – peraltro scaduto – abbia poi trattato per ottenere condizioni ancora più dure di quelle originali» (Linkiesta, 14 luglio 2015). Io ho provato a dare una prima risposta in un post del 9 luglio, prima cioè che l’Asse del Nord guidato dalla Germania concretizzasse il contropiede ai danni del governo greco:

«Come si spiega l’improvviso “voltafaccia” di Tsipras? Probabilmente il Premier greco aveva paura di spaccare il suo partito, che ha cercato di ricompattare attraverso la drammatizzazione dello scontro. «Uno degli uomini più fidati di Alexis Tsipras riassume, sorseggiando un caffè in un bar di Monastiraki: “Abbiamo vinto il referendum, ricompattato Syriza, messo a tacere l’opposizione, che ci appoggia in tutto, e messo all’angolo la Germania» (Tonia Mastrobuoni, La Stampa, 8 luglio 2015). Il clima da ultima spiaggia che si è creato in Grecia potrebbe anche far ingoiare al Paese il rospo dell’”inaccettabile diktat” rifiutato solo ieri, magari in cambio di un riconoscimento politico delle ragioni del “popolo greco”, cosa che peraltro anche il Super Falco Wolfgang Schäuble non ha mancato di fare con la consueta teutonica schiettezza: «Rispettiamo l’esito del referendum ma, nel quadro delle regole dell’Eurozona, senza un programma non è possibile aiutare la Grecia. È chiaro però che la Ue ha anche una certa responsabilità verso la Grecia. Tutto dipende dal governo greco». Oggi Schäuble ha riproposto la sua ricetta, tutt’altro che provocatoria, per la Grecia: uscita del Paese dall’euro per un periodo congruo, ossia almeno cinque anni di dure riforme strutturali (rese sostenibili sul versante “umanitario” attraverso generosi finanziamenti dell’Unione e delle altre “Istituzioni”), di abbattimento del debito («un vero taglio del debito è inconciliabile con l’appartenenza all’unione monetaria») e di “rivoluzione culturale” idonea a introiettare nella società civile ellenica i principi che ispirano tutte le formiche del mondo. Sono sicuro che in Grecia non pochi la pensano come lui, anche se non lo direbbero nemmeno sotto tortura. D’altra parte, che il decrepito Capitalismo ellenico abbia bisogno di una radicale modernizzazione non lo nega nessuno, a cominciare da Varoufakis: «Fin dall’inizio io l’ho pensata così: la Grecia è un paese che si è arenato tanto tempo fa. È chiaro che dobbiamo riformare il paese – siamo d’accordo [con Tsipras] su questo punto» (New Statesman). Anch’io, nel mio infinitamente piccolo, l’ho sempre sostenuto: euro o dracma, Unione Europea o (più o meno chimerica) autonomia nazionale, per i nullatenenti e per tutti gli strati sociali rovinati dalla crisi si apre un orizzonte di più duri sacrifici.

new-drachma-goldcore_-620x291 (1)«Se la Grecia geograficamente si trovasse al posto del Portogallo, anziché nel mezzo del Mediterraneo fra Siria e Turchia, sarebbe già fuori dall’euro. Conoscendo bene la geografia politica Tsipras l’ha usata per cercare di ricattare l’Europa. Gli è andata male» (Alesina e Giavazzi, Il Corriere della Sera, 14 luglio 2015). Diciamo che i frutti della sponda geopolitica, che Tsipras (e chi verrà dopo di lui) non smetterà di coltivare, non si sono ancora visti. E diciamo anche che probabilmente l’ex strana coppia greca ha gravemente sottovalutato il decisionismo tedesco, il quale non si è (ancora) lasciato intimorire dal fuoco di sbarramento proveniente dalla concorrenza imperialistica: Stati Uniti e Russia, in primis.

Scrive il filosofo “marxista” Alain Badiou: «Sullo sfondo, si agitano timori geopolitici. E se la Grecia si rivolgesse verso qualcun altro di diverso dai padri e dalle madri fustigatori dell’Europa? Allora, io direi: ogni governo europeo ha una politica estera indipendente. Contro le pressioni alle quali è sottomessa, la Grecia può e deve avere una politica altrettanto libera. Siccome i reazionari europei vogliono punire il popolo greco, quest’ultimo ha il diritto di cercare degli appoggi esteriori, per diminuire o impedire gli effetti di questa punizione. La Grecia può e deve rivolgersi alla Russia, ai paesi dei Balcani, alla Cina, al Brasile, e anche al suo vecchio nemico storico, la Turchia». Cito questa posizione perché essa esprime bene l’esatto opposto di quanto vado predicando – inutilmente, lo so – io: l’autonomia di classe, sul terreno nazionale come su quello internazionale. Molti “marxisti” credono di poter fare la storia della lotta di classe nello stesso momento in cui partecipano alla storia della lotta interborghese e interimperialistica, ossia alla lotta che il Dominio fa all’umanità in generale e alle classi subalterne in particolare. Non si insisterà mai abbastanza sulla sindrome della mosca cocchiera in guisa “marxista”.

Sul famigerato Terzo Memorandum ho davvero poco da dire, anche perché il testo è talmente chiaro, soprattutto nelle sue intenzioni e implicazioni politiche, che difficilmente esso si presta a equivoci, se non sul terreno della propaganda politica, come in questi giorni ha cercato di fare penosamente Tsipras per vendere in patria una pessima merce. «Abbiamo dato una lezione di dignità», ha detto oggi il Premier greco; la «dignità nazionale» è l’ultima merce politico-ideologica che rimane da vendere alla gente in momenti di acuta crisi sociale. Certo, dovremo fare dei sacrifici, pure duri, ma nessuno potrà toglierci la nostra dignità, mai! Magari le mutande sì, ma la dignità… Ovviamente più penoso di Tsipras c’è solo il suo fan italiano che cerca di difenderlo “a prescindere”. Si capisce, anche quelli che volevano usare Tsipras come un Cavallo di Troia antieuropeo e adesso lo accusano di essere diventato (eterogenesi dei fini? astuzia della storia?, destino cinico e baro?) un Cavallo di Troika al servizio di Berlino e Bruxelles non scherzano quanto a penosità, se così posso esprimermi.

merkel-grexit-grecia-tsipras-cavallo-troika-689649Scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera: «Tsipras è tornato solo da una serie di vertici a Bruxelles. In che misura sia ancora vivo per la politica ellenica ed europea, lo potranno dire solo i prossimi mesi. Ma la domanda alla quale fin da subito vorrebbero poter rispondere in molti attorno a lui è ancora più spiazzante: a soli 40 anni, un leader è abbastanza duttile per potersi trasformare in 20 giorni da una versione europea di Hugo Chávez in una di Ignacio Lula da Silva?». La domanda può spiazzare solo chi ha visto nell’ex caudillo venezuelano un modello del «socialismo del XXI secolo», e non una variante altrettanto reazionaria del vecchio populismo latinoamericano. Non c’è dubbio che il populismo in salsa sinistrorsa messo in piedi da Syriza per cavalcare il disagio sociale ha presentato a Tsipras un conto da pagare in termini di realismo, perché come gli ha detto il perfido Schäuble «non puoi fare alla tua gente promesse che sai di non poter mantenere». Intanto «La Bce ha alzato la liquidità d’emergenza (Ela) alla Grecia perché “le cose sono cambiate” con il voto al Parlamento greco, ha detto Mario Draghi» (Ultim’ora ANSA). Il “realismo” paga?

schaeuble-schauble-tsipras-grexit-grecia-689651* Un solo esempio: «Personalmente, devo ancora capire se Tsipras sia un erede di Marx o se sia l’ennesimo personaggio degno dello shakespeariano “tanto rumore per nulla”. Tutto questo farebbe ridere, se non facesse piangere. Di pagliacci della sinistra del gruppo Bilderberg ce ne sono già troppi in giro. È una tragedia storica di portata epocale. A giudicare dal suo operato nelle ultime ore, che ha mai a che fare il signor Tsipras con Marx e Gramsci? Nulla, ovviamente. Tsipras ha assistito al genocidio finanziario del suo popolo causato dall’euro e dalle folli politiche finanz-naziste dell’austerità selvaggia: egli stesso è greco [oh, vile traditore della Sacra Patria!]. E, non di meno, vuole mantenere l’euro: non passa giorno senza che egli rassicuri le élites finanziarie circa la propria volontà di non toccare l’euro. E, in questo modo, offre una fulgida testimonianza – se ancora ve ne fosse bisogno – del fatto che Marx e Gramsci stanno all’odierna “sinistra Tsipras” venduta al capitale come Cristo e il discorso della montagna stanno al banchiere Marcinkus. Il solo modo di riscattarsi da parte di Tsipras sta – non v’è dubbio – nel rovesciare la gabbia eurocratica guidando il suo popolo fuori dal deserto chiamato Unione Europea. [Non v’è dubbio]. È sempre più difficile, purtroppo, pensare che si vada in quella direzione» (Diego Fusaro). Difficoltà per difficoltà, tanto vale lavorare per un’uscita dell’umanità dal Capitalismo (sans phrase, come scrivono i filosofi colti)! Scherzo, si capisce. Giusto un “marxista” come Fusaro, teorico – tra le altre dialettiche cose – dell’assetto multipolare dell’Imperialismo Mondiale, poteva farsi delle illusioni sulla «sinistra Tsipras», lodata fino al 5 luglio come fulgido esempio di socialsovranismo.

A proposito della crisi greca citare il celebre aforisma marxiano sulla ripetizione della storia è quasi d’obbligo, e nemmeno Gideon Rachman ha resistito: «L’intera saga ricorda un detto di quel grande tedesco, Karl Marx: “La storia si ripete, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa“. La questione del debito greco riesce ad essere sia una farsa che una tragedia, allo stesso tempo» (Financial Times, 13 luglio 2015). La stessa cosa si può senz’altro dire per molti ex tifosi di Tsipras, mutatis mutandis: la prima volta come farsa, la seconda come macchietta.

143220388-4975abf8-45e7-4705-b673-c1c26890a340Aggiunta del 23 luglio

TIFOSERIA SUL SOFÀ

Il blogger greco Alex Andreou, scrittore e artista sostenitore di Tsipras («un uomo buono, onesto e coraggioso»), ha scritto qualche giorno fa: «Ci scusiamo con i marxisti di tutto il mondo se la Grecia si è rifiutata di commettere un suicidio uscendo dall’euro. So che avete sofferto, dai vostri divani». Qui per «marxisti» occorre intendere i sovranisti di “sinistra”, i quali peraltro sono sostanzialmente identici ai sovranisti di “destra”, salvo che per un piccolissimo ma molto antipatico aspetto: i socialsovranisti di solito amano definirsi col nome del vecchio comunista di Treviri.

Naturalmente anche rimanendo nell’euro le classi subalterne della Grecia non hanno di che gioire, esattamente come accade nel resto d’Europa e del capitalistico mondo. Ma il blogger qui menzionato rivendica un punto di vista rigorosamente patriottico («Si è coraggiosamente combattuto. E astutamente, perché la Grecia vive per combattere un altro giorno»*), non “internazionalista-proletario”, e di certo non sarò io a smuoverlo da quella ultrareazionaria posizione. Ai miei occhi egli ha solo il merito di non scomodare l’animaccia del noto Tedesco (no, non alludo a Schäuble!) per difendere il governo greco.

A proposito di tifoseria comodamente accucciata sul sofà! Scrive Paul Krugman: «Ho avuto uno choc. Non mi era passato per la testa che quelli del governo greco potessero prendere una posizione così dura senza un piano di riserva». Ma non era lui (insieme all’altro collega geniale Joseph Stiglitz) che tutti i giorni donava illuminati consigli all’ex strana coppia del Partenone Tsipras-Varoufakis? Vatti a fidare dei premi Nobel!

Continua Andreou: «Sembrava che ci fosse una fervente, irrazionale, quasi evangelica credenza che un piccolo paese, affogato nei debiti e a corto di liquidità, avrebbe in qualche modo (e quel qualche modo non viene mai specificato) sconfitto il capitalismo globale, armato solo di bastoni e pietre». No, i “marxisti” con cui polemizza Andreou non sono poi così esigenti: il loro nemico non è il «capitalismo globale», qualunque cosa questa locuzione voglia dire per il blogger greco, ma la sua variante ideologizzata come «neoliberismo» o «liberismo selvaggio». Il massimo cui aspirano questi cosiddetti “marxisti” è il vecchio Capitalismo di Stato, una rancida merce che essi cercano di vendere sul mercato politico reclamizzandola con una terminologia pseudo postmoderna (tipo: economia dei beni comuni) che per adesso inganna solo loro.

Il nostro amico greco invita comunque i “marxisti” (e i premi Nobel per l’economia) a non scoraggiarsi: «Non abbiate paura. L’accordo potrebbe rivelarsi impraticabile comunque. Syriza potrebbe spaccarsi dall’interno, il Grexit potrebbe essere forzato da coloro che hanno cercato per anni di farlo accadere. Poi valuterete quale sarà stato il migliore risultato». Dal modesto punto di vista di chi scrive la salvezza del malridotto Capitalismo greco è un pessimo risultato, sotto qualsiasi bandiera politico-ideologica tale obiettivo verrà conseguito: europeista, sovranista, neoliberista, statalista, “socialdemocratica”, “marxista”. Non c’è dubbio, comunque vada chi scrive non avrà nulla da festeggiare. Salvo imprevisti sociali che oggi non riesco nemmeno a scorgere. E non è detto che si tratti solo della mia confessata miopia! Ma, come amiamo dire col bravo artista di Poggio Bustone, lo scopriremo solo vivendo. Il guaio è che vivere non basta…

* «Il dettaglio dell’accordo resta da vedere, ma se contiene ristrutturazione, tre anni di finanza e il pacchetto di sviluppo, penso che fondamentalmente è un affare migliore [che il Grexit]. Per lo meno, ora che l’opinione sta cambiando, esso darà alla Grecia la possibilità di respirare, di valutare, riorganizzarsi e, eventualmente, pianificare un’uscita ordinata». Quando si dice onesta realpolitik!

Ultim’ora Ansa: «Il Parlamento greco ha approvato in tarda notte il secondo pacchetto di riforme concordato da Tsipras con l’Ue. Vota sì anche Varoufakis. Il premier guadagna consensi in Syriza». La realpolitik (qui contrapposta alla pura e semplice demagogia dei populisti di “destra” e di “sinistra”) si sta facendo strada anche fra i “marxisti”, più o meno irregolari, presenti in Syriza?

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