LE BARREL BOMBS DEL REGIME SULLA MARTORIATA POPOLAZIONE SIRIANA

CMYK baseQuattro anni di mattanza, e non sentirli. Anche perché nel frattempo siamo stati distratti da altri bagni di sangue occorsi qua e là nel vasto mondo. Per non parlare della crisi ucraina, della crisi (fra tragedia e farsa) greca e dell’insorgenza del Califfato Nero a pochi chilometri dalla Sicilia, a proposito del quale ieri Renzi, da Sharm el-Sheikh, ha dichiarato che bisognerà quanto prima intervenire in Libia prima che sia troppo tardi. Segno che l’attivismo egiziano in Cirenaica comincia a destare qualche preoccupazione nella classe dirigente del Belpaese. La Libia “insiste” pur sempre nel nostro cortile di casa!

Rimane il fatto che sono trascorsi appunto quattro anni dal 15 marzo del 2011, quando migliaia di persone scesero in piazza ad Aleppo e Damasco, le due città più grandi della Siria, per protestare contro il regime del Presidente Bashar al-Assad. Fu una delle prime manifestazioni di dissenso di massa della storia recente del Paese. Nei giorni successivi, il regime reagì con arresti, uccisioni, sparizioni e torture, ma senza riuscire a fermare l’opposizione. In poche settimane le proteste si allargarono a tutta la Siria. A maggio Assad fu costretto a schierare l’esercito nelle strade. Le timide aperture economiche e politiche (più economiche che politiche, in verità) cui sono stati costretti i vecchi regimi arabi per sopravvivere allo tsunami della globalizzazione capitalistica*, sono state sufficienti perché il vaso di Pandora delle contraddizioni e delle magagne sopite per decenni si frantumasse. La transizione pacifica ed “equilibrata” (ossia centrata sul compromesso tra vecchi e nuovi interessi) dal vecchio al nuovo regime non sempre è possibile, come ha sperimentato anche Mubarak. Anche perché l’insidioso conflitto sociale è sempre in agguato.

L’opposizione siriana, sobillata e illusa dai nemici esterni della Siria (dall’Arabia Saudita agli Stati Uniti**), raccolse la sfida del regime e passò dopo qualche esitazione sul terreno dello scontro militare aperto. Da quel momento, la popolazione siriana è presa tra due fuochi, dal mio punto di vista egualmente ultrareazionari e quindi da non sostenere e anzi da combattere politicamente sulla scorta, per così dire, di un minimo salariale di “internazionalismo proletario” – lo so, roba aliena per i teorici dell’alleanza con «l’imperialismo più debole».

Insomma, abbiamo a che fare con una “sporca guerra” che ha causato finora 220mila morti (solo nel 2014 i morti tra i civili sono stati almeno 76mila), una media di 25mila feriti al mese, diversi milioni di rifugiati, oltre 10 milioni di sfollati ancora sequestrati nell’inferno siriano. Nel 2014 i bambini che hanno avuto bisogno di aiuto sono stati 5,6 milioni: il 31 per cento in più rispetto all’anno precedente. Un inferno coi fiocchi, non c’è che dire. E domani entriamo nel quinto anno di «una tragedia senza fine», «la più grande catastrofe umanitaria dopo la Seconda guerra mondiale». A mio modesto avviso «la più grande catastrofe umanitaria dopo la Seconda guerra mondiale» rimane la Società-Mondo del XXI secolo che rende possibile su questo pianeta ogni sorta di sfruttamento, di sofferenza e di violenza. Ma queste sono mere opinioni, si capisce. Andiamo ai fatti!

«A quattro anni dall’inizio del conflitto in Siria, questa guerra continua a vivere di una violenza brutale che non fa distinzione tra civili e combattenti, né rispetta lo status di protezione del personale e delle strutture sanitarie», ha dichiarato Joanne Liu, presidente internazionale di Medici Senza Frontiere. Secondo Human Rights Watch «Il governo siriano sta facendo piovere bombe di barili esplosivi sui civili a dispetto di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) votata all’unanimità, all’inizio di quest’anno». Vatti a fidare delle Risoluzioni targate Nazioni Unite! In effetti, l’esercito fedele al regime sanguinario di Assad sta facendo un largo uso delle cosiddette bombe a botte (barrel bombs), molto efficaci quando si vuole massacrare, storpiare e terrorizzare una popolazione inerme in poco tempo e in economia. Pare che gli effetti di una barrel bombs (esplosivo misto a pezzi di metallo) siano a dir poco orribili. La parola, come si dice, agli esperti:  «La barrel bomb è in sostanza un barile di acciaio, riempito di materiale esplosivo, schegge di ferro e spesso anche con materiale infiammabile come la benzina. Una volta sganciata dall’elicottero, oltre a provocare impressionanti danni materiali, la deflagrazione coinvolge anche le zone circostanti, soprattutto a causa delle schegge di acciaio contenute nel barile. L’effetto materiale è ovviamente devastante: tuttavia, il motivo che spinge l’esercito siriano all’utilizzo di tale arma è soprattutto l’effetto psicologico che sprigiona. Se da un lato, infatti, le armi regolari riescono – seppur con margini di errore – a discriminare tra differenti bersagli (militare, civile e così via), la barrel bomb non fa nulla di tutto ciò. Infatti, l’effetto combinato di schegge, benzina e materiale esplosivo rende impossibile anche solo prevedere sino a dove l’esplosione provocherà delle conseguenze, provocando un vero senso di terrore sia sulla popolazione civile che sui ribelli» (G. Farsetti, Europae, 30 aprile 2014).

Naturalmente il leader baathista amico di molti Social Sovranisti (notare l’acronimo: SS) italiani ha negato di conoscere cosa siano le barrel bombs, anche messo dinanzi alle schiaccianti prove fotografiche e televisive (ormai l’Orrore va in diretta streaming, e così il pubblico di casa ha modo di avvezzarsi): «Usiamo altre armi e bombe per contrastare i terroristi e difendere i civili, e d’altra parte ognuno è libero di fare ciò che vuole nel suo paese». Una risposta impeccabile, degna del ruolo escrementizio che egli ricopre al servizio di particolari interessi nazionali e sovranazionali – che fanno capo all’Iran, alla Russia e alla Cina.

Sempre secondo Human Right Watch «Il governo siriano sta usando mezzi e metodi di guerra che non distinguono tra civili e combattenti, rendendo gli attacchi indiscriminati e quindi illegittimi». Ma è almeno dalla Spagna 1937 che l’aviazione militare non discrimina più tra “civili” e “combattenti”! Di più: sono proprio i “civili” l’obiettivo strategico più importante da colpire, per affrettare la resa senza condizioni del nemico. Come disse una volta Hitler, supplicato dai suoi ultimi fedelissimi perché salvasse i pochi quartieri di Berlino risparmiati dai democratici bombardamenti aerei, «in questa guerra non ci sono civili: il fronte è ovunque». Tesi analoghe fanno parte del dibattito politico e culturale occidentale a partire dalla Grande Guerra, con una significativa anticipazione: la guerra franco-prussiana del 1870-71.

Invocare la legittimità internazionale in materia bellica significa fare dell’involontario cinismo. Né più né meno. Perché come sempre a giudicare della legittimità della carneficina sono i rapporti di forza, e il Diritto giusto è sempre quello affermato da chi vince sul campo – e il “tavolo diplomatico” è un’estensione di questo campo, è la continuazione della guerra con… . Il cinismo delle cose va dunque messo in questione radicalmente, anche perché lo sforzo di mitigare il Moloch attraverso Dichiarazioni e Petizioni si dimostra sempre di nuovo non più che una pia illusione. Di più: un inganno al servizio dello status quo.

«Dire che l’85% delle luci della Siria restano spente durante la notte forse farà aumentare i visitatori di qualche sito web e potrà anche essere “scientificamente” interessante, ma non potrà far capire qual è la situazione in Siria. E, soprattutto, non spiega come e perché la maggiore organizzazione internazionale del mondo, le Nazioni Unite, in Siria, abbia miseramente fallito» (A. Mauceri, Notizie Geopolitiche). Forse perché si tratta di un «covo di briganti», per esprimermi leninianamente, chiamato a ratificare e a difendere i rapporti di forza fra le Potenze sanciti dalla Seconda Carneficina mondiale? Non sarà che all’ONU non si muove foglia che l’Imperialismo (naturalmente a cominciare dalle Potenze maggiori: Stati Uniti, Russia, Cina, Unione Europea a trazione tedesca) non voglia? Avanzo solo delle ipotesi, intendiamoci. Qui nessuno ha la verità in tasca! È altresì vero che qui nessuno è così sciocco da farsi delle illusioni “umanitarie” sull’ONU.

 

* Il processo sociale che chiamiamo globalizzazione capitalistica ha messo in crisi equilibri di potere tanto sul terreno geopolitico (ossia nel confronto fra le grandi, medie e piccole potenze, fra imperialismi mondiali e fra imperialismi, più o meno “straccioni”, regionali), quanto su quello politico-sociale nazionale. Tutto l’edificio capitalistico mondiale, da Nord a Sud, da Ovest a Est, è stato scosso dal terremoto capitalistico che dura ormai dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando appunto il processo di globalizzazione subì una brusca accelerazione, registrata dai sismografi come “rivoluzione” – o “controrivoluzione”, punti di vista – neoliberista (reaganismo, thatcherismo, finanziarizzazione dell’economia, ecc.) e come ascesa degli ex Paesi poveri (Cina e India, in primis) al vertice del Capitalismo mondiale. Naturalmente questo terremoto non è stato causato, come sono inclini a pensare la gran parte degli storici e degli analisti geopolitici, dal trionfo del Capitalismo sul Comunismo (o «socialismo reale») come esito della Guerra Fredda. Questo per il semplice fatto, almeno a mio modo di vedere, che ciò che allora (e purtroppo ancora oggi) veniva rubricato come “Comunismo” non era che un Capitalismo di Stato gravato da molte e alla fine fatali magagne. La storia del Capitalismo mondiale è punteggiata da brusche accelerazioni, le quali si registrano soprattutto in corrispondenza di acute crisi economico-sociali. Come osservava Marx, per il Capitalismo le crisi rappresentano sempre un punto di svolta positivo. Salvo impreviste “precipitazioni rivoluzionarie”…

Dicevo che tutto l’edificio mondiale è stato scosso violentemente dal processo sociale della globalizzazione, e la crisi scoppiata nel 2008 ha mostrato le crepe che si sono aperte negli anni nella sua struttura. Non si comprendono le cosiddette “Primavere Arabe”, né gli eventi europei degli ultimi anni (accelerazione nella “germanizzazione” dell’UE, conflitto nell’Est europeo, ecc.), se non alla luce di questo quadro generale.

Il terremoto capitalistico scuote dunque equilibri di potere internazionali e nazionali, e spinge le masse più povere del pianeta a rivendicare una ricchezza vista magari solo in televisione e su Internet. Ma la “colpa”, ovviamente, non è della tecnologia massmediologica occidentale, come pensano certi ideologi ammalati di feticismo. Così come la delusione e la frustrazione delle masse giovanili mediorientali (e dei giovani immigrati arabi di seconda e terza generazione che vivono in Europa) non si spiegano certo tirando in ballo una supposta cattiva interpretazione del Corano.

* * «Già nel 2014 l’ex Segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha ammesso in modo sorprendente che l’Isis “è stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler mettere in piedi una guerriglia anti al-Assad credibile. La forza di opposizione che stavamo creando era composta da islamisti, laici e da gente nel mezzo: l’incapacità di fare ha lasciato un grande vuoto che i jihadisti hanno ormai occupato. Spesso sono stati armati in modo indiscriminato da altre forze e noi non abbiamo fatto nulla per evitarlo”. […] A fronte di questo quadro John Kerry ha detto due giorni fa in un’intervista alla Cbs che “alla fine dobbiamo negoziare » (E. Oliari, Notizie Geopolitiche, 17 marzo 2015). Scrivevo lo scorso agosto: «La “proposta indecente” di Bashar el Assad agli odiati nemici americani ha fatto molto rumore. Molto rumore per nulla, a giudicare dalla freddezza con cui il Presidente Obama sembra aver accolto la “generosa” iniziativa politico-diplomatica del rais siriano. Ma la situazione è, come si dice, fluida, e scenari impensabili solo pochi giorni fa oggi possono concretizzarsi a dispetto di ogni logica nutrita a pane e ideologia – filo o anti-occidentale». Alla fine pare che la strategia sanguinaria del macellaio di Damasco stia avendo successo. Complici l’Iran e la Russia, si capisce.

 

 

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