Giulietto Chiesa non si smentisce. Quando si dà l’occasione di prendere le parti per l’Ovest o per l’Est, lui si schiera puntualmente dalla parte degli avversari dell’imperialismo occidentale. Che questi soggetti sono a loro volta imperialisti allo stesso titolo che gli odiai “occidentali”, ebbene questo per Chiesa rappresenta un dettaglio insignificante, mentre per me la cosa appare dirimente quando si tratta da che parte stare. Già, da che parte stare?
Per me bisogna stare sempre e comunque dalla parte della prospettiva dell’emancipazione dei dominati, ossia contro tutti gli imperialismi, contro tutti gli Stati-nazione (a cominciare dallo Stato-nazione di casa propria, a Kiev come a Roma, a Mosca come a Washington, a Pechino come a Tokyo), contro ogni forma di Sovranismo (economico, politico, culturale), in una sola parola: contro quel rapporto sociale capitalistico che oggi ha una dimensione planetaria. L’imperialismo sistemico (totale, globale, radicale nell’accezione più pregnante, direi “esistenziale”, del concetto) del XXI secolo fa impallidire l’Imperialismo analizzato a suo tempo da J. A. Hobson e impallinato da Lenin. Come mi è capitato di dire altre volte, è una miserrima illusione quella che spinge non pochi sinistri a credere di portare acqua al mulino delle classi subalterne occidentali appoggiando le ragioni delle classi dominanti che hanno interessi strategici diversi oppure opposti da quelli coltivati e perseguiti dai Paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Germania – magari solo fintanto che quest’ultima non deciderà di mettersi alla testa del partito antiamericano, come ai bei tempi di Adolf.
Illudersi di fare la storia, anziché limitarsi a criticarla (si parla di me, è ovvio!), saltando sulla groppa dell’Imperialismo ritenuto “tatticamente” più utile al progresso umano (sic!), può giusto allettare una mosca cocchiera. E qui ritorniamo all’ineffabile Chiesa.
Scrive Giulietto, sceso in guerra contro i politici e i massmedia occidentali proni ai biechi interessi dei poteri forti basati a Berlino e a Washington: «Cosa offrono? Un pesantissimo prestito del Fondo Monetario Internazionale che legherà l’Ucraina al carro dei mercati finanziari dell’Occidente. È aiuto? Io lo chiamerei ingerenza negli affari interni di un paese vicino. Invece – due pesi e due misure – si condanna il cattivissimo Putin, che ha concesso 15 miliardi di dollari di prestito a tassi d’interesse ridicolmente più bassi di quelli dei mercati occidentali e, in più, regala due miliardi di dollari all’anno di sconti sul prezzo dell’energia. Anche questa è ingerenza? Probabilmente. Ma costa meno» (Il baratro europeo di Kiev, Il Manifesto, 27 gennaio 2014). Naturalmente qui le parole chiave per decifrare il pensiero geopolitico (non faccio dell’ironia!) di Chiesa sono «probabilmente» e «costa meno». Sull’economicità dell’Imperialismo energetico russo rimando a un mio post di qualche mese fa. È anche superfluo dire che la “generosità” del virile Putin dalle mie parti non commuove neanche un po’.
«Ma allora», si chiede sconsolato Giulietto, «che cosa proponiamo all’Ucraina? Di tornare alle frontiere del 1943? Cedendo la Galizia alla Polonia? E quanti sarebbero gli ucraini d’accordo con questa idea? E poi che ne sarebbe della frontiera tra la Lituania e la Polonia? Ma l’Europa di Altiero Spinelli non nacque proprio, anche, per avviare una fase pacifica di cooperazione che cancellasse tutte le frontiere? Certo – dicono i Ponzio Pilato che abbondano in questa Europa dell’austerità, che sta mettendo in ginocchio tutto il sud-Europa, a cominciare dalla Grecia – è il popolo ucraino che deve decidere da che parte stare: se con la Russia o con l’Europa. Ma è solo questa l’alternativa?» Detto che solo degli ingenui sprovveduti, o dei cinici venditori di balle ideologiche, possono ancora dare credito alla chimera della “cooperazione pacifica” tra le classi e tra gli Stati nel vigente regime sociale hobbesiano (leggi capitalistico), vediamo la cosiddetta alternativa che ci propone il Nostro: «C’è anche – ma chissà perché nessuno ne parla – l’ipotesi di una Ucraina indipendente e sovrana, che sta in buoni rapporti con gli uni e con gli altri, che ne trae vantaggio per sé, contribuendo alla pace e alla sicurezza comune europea, senza farsi assorbire, per esempio, nella Nato». Alla chimera della spinelliana «pacifica cooperazione» dobbiamo insomma aggiungere la chimera dell’indipendenza nazionale nell’epoca del più spinto imperialismo sistemico. Andiamo bene! Tanto più se si riflette sulla storia dell’Ucraina e sui processi sociali in atto in Europa.
«Qualcuno», profetizza Chiesa, «punta a trasformare l’Ucraina in un mostruoso casus belli al centro dell’Europa: quello che si delinea è la rottura di tutti gli equilibri della sicurezza europea collettiva. È l’inizio di una rottura strategica tra Russia ed Europa. Agli ucraini non sarà dato di decidere pacificamente. Sarà un passaggio violento, e scorrerà il sangue. È stata l’Europa – promettendo sogni che non potrà soddisfare (e i primi a saperlo siamo proprio noi) – a volerlo». Quale bandiera impugnerà il nostro cattivo profeta nel caso in cui dovesse scorrere il sangue, lo si capisce bene, e d’altra parte egli scrive esibendo il metaforico elmetto sulla “spinelliana” (o “post-stalinista”?) capoccia.
Scrivevo a proposito dell’Intrigo ucraino: «Dal carcere di Kharkiv dove è rinchiusa, Yulia Tymoshenko ha invitato gli ucraini a sollevarsi contro Yanukovich: “Milioni di ucraini devono alzarsi, non lasciare le piazze finché le autorità non saranno state rovesciate con metodi pacifici”, scrive la leader dell’opposizione in una lettera letta ai giornalisti dalla figlia Evghenija. La sua liberazione era una delle condizioni centrali avanzate dalla Ue per la firma dell’Accordo di associazione» (Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2013). Ovviamente chi aderisce a un punto di vista minimamente critico-radicale non può che denunciare la tragica circostanza che vede i dominati ucraini affrontare la polizia per sostenere (magari ammaliati dalle sempre più false speranze di benessere e di libertà made in Occidente, ma forse anche memori della miseria e dell’oppressione made in Russia) il “partito occidentale”, oppure (magari nostalgici della grandeur della Russia Sovietica: «Si stava meglio quando si stava peggio!», ma forse anche atterriti dalla prospettiva di una guerra europea sul suolo ucraino) il “partito orientale”. “Oggi una guerra fra le grandi nazioni d’Europa è quasi impensabile”, scriveva Robert Kagan qualche anno fa. Appunto: quasi. D’altra parte, la guerra sistemica “fra le grandi nazioni” è in corso. Ovunque nel mondo, e non solo nel Vecchio Continente. Come dimostra appunto l’attuale intrigo ucraino, il cui esito è tutt’altro che scontato».
Le tesi di Giulietto Chiesa, il suo modo di approcciare il problema in oggetto, nonché le “alternative” che egli offre alla discussione politica, non escono di un solo millimetro dalla logica del confronto interimperialistico, e per questo le sue analisi geopolitiche (e ancora una volta non faccio della facile ironia) sono dense di violenza e grondano metaforico sangue. Metaforico, peraltro, solo fino a un certo punto.
Vedi anche L’ucraina da Lenin a Lucio Caracciolo.
Da tempo Isaia è il mio opinionista critico di riferimento, ma da ultimo ho anche simpatizzate per Giulietto Chiesa.
Qui vorrei difenderlo da una condanna che, seppure impeccabilmente motivata, mi pare in fondo profondamente ingiusta.
Gli é che lo stato di necessità.( o di oppressione come dice Isaia) nel quale l’umanità è immersa pone condizioni obbligate nel fare le scelte, che sono comunque dolorose, perché ognuna ne sacrifica un’altra, o altre possibili.
Il criterio utilitaristico qui adottato da Giulietto quel “probabilmente e costa meno” confligge forse allora con un altro superiore? Un principio etico? Non mi pare. Isaia ha in odio le Istituzioni e vede nello Stato la personificazione della violenza e della sopraffazione? Come conseguenza ogni scelta fatta da questa istituzione è intrinsecamente perversa? E’ necessariamente così? Mi viene da obiettare. Io odio lo Statalismo ma non lo Stato perché non posso prescindere da una Istituzione per attuare una forma di convivenza tra esseri umani che gravitano in un ambito territoriale, e che da quel territorio traggono le risorse di vita. Certo le confinazioni territoriali sono anche spesso artificiali ed arbitrarie ed i commerci le guerre e le migrazioni tendono a sconvolgerli e superarli, ma quegli stessi agenti che superano gli steccati territoriali hanno necessità di trovare o di dare a quel territorio una forma di convivenza, riconoscendosi in una Istituzione, che la renda proficua nell’esplicazione delle libertà di ognuno o quanto meno non conflittuale. Poi in realtà ogni Istituzione è anche corruttibile e pervertibile, ma anche forse convertibile e migliorabile. La mia opinione è che se Adamo Smith non avesse indagato l’economia sotto il profilo mitologico de “la ricchezza delle Nazioni” ma de “la felicità umana” o anche solo de “la felicità delle nazioni” noi oggi forse ragioneremmo con meno pessimismo.
Il fatto è che i sinistri profeti di cosa nostra, mi scuso, di casa nostra, non colgono quel rapporto sociale che fa girare questo disumano mondo, per cui le loro soluzioni se mai esaltano le loro stesse aporie.
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